Questa volta, l’enciclopedia delle canzoni di Lucio Corsi si è fermata alla voce «uomo». L’essere che faceva da sfondo ai paesaggi si è ribellato alla musica del suo compositore, ha sovvertito il paradosso per trionfare come protagonista. Il nuovo «uomo» di Corsi si trova nelle tracce di Volevo essere un duro, freschissima uscita del cantautore maremmano per Sugar, opera scritta insieme al suo fratello artistico Tommaso Ottomano.

Che siano di un gracilino, di un figlio di una guardia o semplicemente del fotografo Francesco Cerutti, nome d’arte Francis Delacroix, non c’è differenza. Le voci di questi tipi di «uomo» si mescolano in quel baccano che è la vita. Volevo essere un duro è, come afferma Corsi, un album che parla «d’infanzia, di amicizia e d’amore. È un disco di fantasia con i piedi per terra. È un disco di ricordi personali mescolati a storie di altra gente. Sono nove canzoni diverse che ho convinto ad andare ad abitare nello stesso palazzo».
Le tracce di Volevo essere un duro sono le dolci note delle ballad tipiche del cantautorato, ma anche tanto buon vecchio rock 'n' roll, il solo genere che permette di divertirsi senza regole. Corsi gioca a fare il menestrello raccontando l’agiografia del suo amico fotografo in Francis Delacroix – chissà quanti miracoli sono stati omessi – e si scatena in una personalissima Jailhouse Rock in onore a Rocco Giovannoni, il bullo della scuola media cantato in Let There Be Rocko, brano che potrebbe far parte della colonna sonora di un ipotetico terzo capitolo di The Blues Brothers o riecheggiare tra le strade della Napoli di Edoardo Bennato.

Un’orchestra ammanta la title track Volevo essere un duro, la traccia che milioni di italiani hanno ascoltato lo scorso febbraio al festival di Sanremo, quell’ode ai vinti che si somma ai tanti manifesti Millennial usciti recentemente. Così la presenta Corsi: «Parla del fatto che spesso non si riesce a divenire ciò che si sognava e della difficoltà di stare in equilibrio su questa terra tonda». Il resto è ormai parte degli annali della musica italiana: tutti hanno assistito alla nascita di una stella, che però come quelle vere emetteva luce da tempo (non a caso sono anni che scriviamo di lui qui su Noisyroad).

In questo nuovo album, gli strumenti classici si sfidano a duello con le sonorità del glam, già sentito nel disco La gente che sogna, quasi volessero segnalare la recente direzione del cantautore. La magia si ripete quando un ritmo da banda partecipa in quell’abile numero di giocoleria chiamato Il Re del rave, leggero equilibrio di tasti di piano, archi ariosi e trombe sbarazzine, una canzone alla Renato Zero quasi sussurrata.
Persino il sogno, l’attività preferita di Corsi da ormai due EP e tre dischi, viene narrato in una versione nuova. Lo conferma lui stesso: «In questo album ho cercato di trovare il sogno non fuggendo nel cielo ma strisciando sui marciapiedi, passando sotto i tavoli da pranzo o nascondendomi negli armadi». L’habitat della «Commedia umana» di Volevo essere un duro non è più tra le nuvole e le stelle: è la campagna, il bagno di una scuola, il labirinto brutalista della stazione di Bologna, persino la corte di re Carlo del Regno Unito. È dove scappa il narratore di Situazione complicata, che si è messo in un bel guaio: ama la moglie dell’amico. Canticchiare la vecchia canzone Astronave Giradisco alla fine di questa ballata dalle chitarre elettriche impazzite, alla ricerca di rassicuranti space vibration, è inutile.

Che quelle di Volevo essere un duro siano storie vere o inventate di sana pianta non ci è dato sapere. In mezzo al nuovo volume della «Commedia umana» di Corsi, appare un Lucio narratore che si cuce addosso stracci e stoffe di storie tutte diverse, come a formare un arcobaleno. Lo stesso che appare nella briosa e distruttiva Questa vita, quando il cielo è sempre più blu – citazione di Rino Gaetano d’obbligo per questo brano – sul finire di una tempesta tra il narratore e la sua testa. Il Lucio di Volevo essere un duro non teme di addentrarsi fino all’autobiografia, per esporre come trofei le sue fragilità e i suoi vizi, come il fumo narrato in Sigarette, un amore effimero come la vita che lentamente sta bruciando, difficile perché nocivo meccanismo di difesa, ma eterno perché sempre ricambiato.
C’è un Lucio che in Tu sei il mattino narra senza timidezza le sue prime volte, dai suoi primi tiri delle sue fedeli sigarette fino ai suoi primi passi verso il mondo dei grandi, con l’esplorazione del proprio corpo e di quello degli altri. È il primo brano di questo album, presentato da Corsi al fittizio festival di Sanremo di Carlo Verdone, nella stagione della serie tv Vita da Carlo uscita lo scorso novembre. Un episodio che senza dubbio è stato profetico per il cantautore maremmano, che ha sfiorato la vittoria dell’ultimo Sanremo – quello vero di Carlo Conti– per un 0,4% di voti, a un soffio da Balorda nostalgia di Olly.
A chiudere il disco c’è un altro singolo, Nel cuore della notte, uscito la Vigilia di Natale 2024. È il lungo viaggio a bordo di un piano al chiaro di luna che può avvenire in qualsiasi luogo e in qualsiasi stagione, è un racconto quasi vendittiano che narra di vite ferite dal giorno che si incrociano nella quiete.

Volevo essere un duro è il regalo di Lucio Corsi e Tommaso Ottomano a due cantautori italiani scomparsi troppo presto, Ivan Graziani e Rino Gaetano: l’Ivan narratore dei volti tristi, facce di un mondo squadrato come un diamante che brilla nella sua normalità e il Rino che come un libro aperto si sfogliava da solo, a soli pochi mesi prima del buio. Due fantasmi che non fanno paura ma che influenzano delicatamente queste nove tracce di uomini che vivono sotto lo stesso disco. Forse Volevo essere un duro è anche un regalo che Corsi ha fatto a se stesso, lui che è sempre alle prese con una nuova spinta dalla musica. D’altronde lo sa, la musica può portare «verso l’infinito e oltre», come diceva un personaggio musicato dal suo idolo Randy Newman. Fino al prossimo racconto della «Commedia umana».