I Got Heaven Mannequin Pussy
8.7

La recensione di I Got Heaven, il nuovo album dei Mannequin Pussy

L'abito non fa il monaco. Mai proverbio fu più azzeccato, dopo aver visto la copertina e aver apprezzato il contenuto di I Got Heaven, nuovo album dei Mannequin Pussy.

Il disco segue Patience, uscito nel 2019, con cui la band di Philadelphia aveva già messo le cose in chiaro: premere forte sull'acceleratore per lanciarsi verso un futuro di successo.

Il quartetto punk rock, capitanato dalla cantante Marisa Dabice, è riuscito ad alzare ancora di più l'asticella, con un lavoro completo sotto tutti i punti di vista, che coinvolge l'ascoltatore dall'inizio alla fine, anche grazie al lavoro in regia di John Congleton, produttore con alle spalle collaborazioni del calibro di Angel Olsen, Anna Calvi, Explosion in the Sky, Cloud Nothings e The Murder Capital.

Mannequin Pussy promo photo recensione
Mannequin Pussy | Credits: CJ Harvey

Le danze si aprono già in paradiso, con la title track I Got Heaven che sprigiona tutta l'energia rimasta sopita in questi cinque anni. Il brano rimbalza tra strofe colme di rabbia e un ritornello leggero, accompagnato da un synth che smorza i ritmi forsennati, soprattutto della parte cantata del brano.

I Mannequin Pussy sono una macchina perfetta, con una grande sintonia che li unisce e lo si nota fin da subito: le parti melodiche, il cantato e la struttura del brano sono incastrate tra di loro in un meccanismo impeccabilmente oleato.

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Nella successiva Loud Bark, la cantante racconta se stessa, persona sensibile ma che riesce a mordere e a lottare per la propria indipendenza e a dimostrarlo a tutti gli ascoltatori con quel pieno di energia che riesce a sprigionare durante i live.

Segue Nothing Like e vengono subito risvegliate tutte le vibes 90s pop punk: è la classica canzone da ascoltare in auto sulla strada per il college. Da qui emerge un altro punto di forza di questo disco, ovvero la sua capacità di mescolare molti generi, dall'hardcore punk allo shoegaze/noise rock senza mai perdere il focus.

La quarta traccia I Don't Know You è leggera e compassata, dominata da un synth arpeggiato su un tappeto di chitarre distorte. I toni sono molto più pacati: si parla di amore, sentimenti ed emozioni nei rapporti di coppia. Il punk può aspettare.

A chiudere la prima parte dell'album c'è Sometimes, un brano delicato ma con un ritornello che fa venir voglia di ballare, accompagnati dai cori e dal basso di Colins "Bear" Regisford. Sicuramente una delle migliori tracce dell'album.

Arrivati a questo punto si inizia a percepire la direzione che vuole prendere la band, mixare canzoni lente e veloci, sapientemente costruite e unite ad un songwriting eccellente, punto di forza di Marisa, che portano l'ascoltatore quasi a subire un effetto headbanging.

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Con OK?OK!OK?OK! veniamo riportati con i piedi per terra: brano puramente punk, veloce, graffiante, urlato, colmo di chitarre e con interessanti innesti di synth che si mescolano nel brano in maniera impeccabile. Si parla di futuro incerto, di assegni da portare a casa dopo il lavoro, di attualità e di tutte le difficoltà della vita quotidiana. Il punk d'altronde è il genere di riferimento dei Mannequin Pussy e qui stanno giocando in casa.

Dopo questa traccia si apre un secondo ramo dell'album che in alcuni tratti risulta persino più imponente del precedente, soprattutto dal punto di vista dei volumi, grazie anche alla presenza della seconda chitarra di Maxine Steen e alla batteria di Kaleen Reading che richiama il lavoro di Daniel Fang e le sonorità dei Turnstile.

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Si arriva così a Softly. Tutte le promesse che si fanno da innamorati sono il tema di questo brano, ma vengono infrante nel finale con un crescendo che culmina in un breakdown di urla, lamenti, chitarre e distorsioni.

Arriviamo a Of Her, canzone che riesce a spiegare più di qualsiasi recensione la vera essenza dei Mannequin Pussy. Brano potente, chitarre e una scrittura sempre azzeccate e una durata che riuscirà a mettere d'accordo tutti i fan del genere. Si scherza.

Aching potrebbe essere il continuo del brano precedente, un piccolo vezzo dell'artista come era già capitato con i brani Clams e F.U.C.A.W. nel precendente album Patience.

L'ultimo brano Split Me Open è un inno alla disillusione e con l'ossessiva ripetizione di "Nothing's gonna change?" chiude un disco dalle mille sfaccettature, che tratta temi come emozioni, politica e attualità, passando da una carezza ad uno schiaffo in un lampo.

I Got Heaven, nonostante sia stilisticamente molto simile al precedente, (e non per forza è una cosa negativa dato che il loro lavoro del 2019 è vicino alla perfezione) ci ha dimostrato di cosa sono capaci i Mannequin Pussy.

Brani catchy, energici, guidati dal loro stile ma con una messa in musica stratificata e più complessa che ci dimostra come la band sia cresciuta e si sia evoluta con il passare del tempo. Un mix perfetto di punk rock e power pop con elementi shoegaze che aggiungono qualcosa di nuovo al loro sound rendendo il tutto ancora migliore. Ad oggi sono una delle migliori band punk rock in circolazione (vedere dal vivo per credere).

E se ancora non siete riusciti ad ascoltarti dal vivo non vi resta che ascoltare questi 30 minuti crudi e puri, che una volta terminati necessitano di ripartire in loop per poter essere apprezzati in tutte le loro sfumature.

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