Matt Berninger tu lo sai che io ti venero, l’ho ripetuto più di una volta, che altro ti posso dire? Lui, uno dei pochi cantautori contemporanei che qualsiasi cosa faccia sai per certo che non ti deluderà, per la sottoscritta potrebbe cantare anche l’elenco telefonico, ma quella caratteristica voce baritonale, che sembra quasi sussurrata direttamente al tuo orecchio, colma di un’innata malinconia, toccherà sempre le corde più nascoste del mio animo, che parli dell’amore per la moglie o del molto vicino tracollo degli Stati Uniti. Questo è quello che è sempre successo con i National, la sua geniale e perfetta creatura, che dall’inizio degli anni 2000 ci culla nelle giornate grigie, nella disperata ricerca di una voce amica e famigliare che proprio Berninger ci regala; una band che album dopo album è stata in grado di maturare insieme ai propri membri, senza mai arenarsi in un genere languido e stereotipato, ma sperimentando, provando ad aggiungere alla propria musica leggeri tocchi di sintetizzatori e voci femminili. Ad un anno di distanza dall’ultima gemma regalataci dai National I Am Easy To Find, a diversi anni di distanza dall’album in coppia sotto lo pseudonimo di El VY, il frontman veste finalmente i panni dell’artista solista e si mette in gioco con il suo debut Serpentine Prison.
Per quanto tu ti possa discostare dal tuo progetto principale, se ci hai convissuto per gli ultimi 20 anni, probabilmente esso avrà un influsso su di te e sui tuoi eventuali progetti collaterali. Ed è proprio quello che succede con questo disco: ad un primo ascolto le 10 tracce sembrano i provini per un nuovo disco dei National, le idee preliminari scarabocchiate su un taccuino da Berninger e messe in atto in una sessione preliminare in studio. Infatti, dietro il dipinto dallo stile realista del protagonista usato come cover si celano chiari rimandi ai lavori precedenti della band, da High Violet a I Am Easy To Find, che persino l’orecchio più disattento può cogliere. Ne sono esempi Silver Spring, un lento, un duetto, la voce di Berninger che fa eco e lascia egual spazio a quella già nota di Gail Ann Dorsey, protagonista indimenticabile proprio dell’ultimo disco disco dei National, oppure All For Nothing, con quelle note di piano iniziali che danno il via anche a England e quella struttura in crescendo, che secondo dopo secondo prende sempre più corpo terminando con un finale decadente e maestoso dove si mescolano voci e archi in un connubio potente come quello di Venderlyle Crybaby Geeks. In quel crescendo questa volta vengono aggiunti i fiati, strumento dalle sfumature malinconiche per eccellenza che ritroveremo poi anche in Take Me Out of Town.

Questo non è l’unica trovata che dona al disco quei toni agrodolci che abbiamo imparato a conoscere con Berninger: infatti in My Eyes Are T-Shirts si sente il suono di una lap steel guitar, quel riverbero ondeggiante che si sente in tutti i film ambientati alle Hawaii, tra una dichiarazione d’amore e l’altra «When I see you something sad goes missing, I stop crying, lay down and listen», oppure in One More Second dove tra gli arpeggi di chitarra acustica troviamo uno di quei vecchi organetti Hammond B3 anni ’60 alla A Whiter Shade Of Pale. Una ballatona romantica, un instant classic nel classico stile folk americano, un po’ rassegnato e un po’ nostalgico, che lo stesso cantante ha detto essere la sua risposta a I Always Will Love You di Dolly Partson.
Non è un caso che nelle righe precedenti si parli dell’icona del folk a stelle e strisce e si pensi facilmente alle Hawaii, perché il fil rouge di questo disco secondo chi scrive sono proprio gli Stati Uniti: in tutto Serpentine Prison aleggia un timbro, un sapore marcatamente americano. Lo si sente nel cantautorato sporco alla Tom Waits, nell’onnipresente chitarra acustica che lega ogni singolo pezzo in un continuum lineare, in quelle atmosfere sconfinate, abbandonate e desolate che percorrono da Est a Ovest l’immenso stato; questo disco potrebbe essere la colonna sonora di “Sulla Strada” di Kerouac, è così che me lo immagino. Nell’evocare questo immaginario viaggio Coast to Coast troviamo Love So Little, che si aggancia alla precedente One More Second, dando il via al pezzo con un cenno di organetto, che però poi sfuma impercettibile in un semplice binomio chitarra - voce a cui viene aggiunta un’armonica a bocca e un violino, che danno vita ad un groviglio ipnotico e sperimentale, che sa di barbon, strade infinitamente rettilinee e sabbia rossiccia. Con Distant Axis invece torniamo a toni più dolci, quasi rassicuranti, un’ingannevole ballata, dove il romanticismo ormai è appassito tanto che il ritornello che cadenza il singolo termina con queste parole: «I feel like I'm as far as I can get from you».

Tutti questi elementi si trovano per l'appunto alle radici del folk americano, quello tenero e pervaso costantemente da una sottile vena di tristezza, una forma semplice e senza troppi orpelli di cantautorato che ritroviamo anche nella seconda parte del disco con Oh Dearie e Collar Of Your Shirt, in cui la voce di Berninger si fa quasi paterna e si fonde alle viole, tipico strumento della tradizione. A chiudere l’album troviamo Serpentine Prison, la title track, quello che Berninger descrive come il perfetto epilogo per il disco, nonché la prima traccia scritta dopo aver chiuso I Am Easy To Find. Il risultato è una ballata lenta, dove le note di chitarra sembrano provenire direttamente dalle dita del frontman, di quelle dove stringersi per 4 minuti e muoversi lentamente prima di dirsi addio, con un ritornello che difficilmente si staccherà dalla vostra testa: «Total submission, I've seen a vision, Everyone's screaming, I've been daydreaming».
Quindi per tirare le fila del discorso, com’è questo disco solista di Matt Berninger? Per la sottoscritta suona come un volersi tenere allenato tra un disco dei National e un altro. Il risultato è un album intimo, casalingo, come se una sera nel proprio salotto di casa Matt abbia incontrato i molteplici personaggi che lo hanno aiutato nella costruzione di queste canzoni, da Andrew Bird a Brent Knopf, e avessero dato inizio ad una jam session lunga 40 minuti. La voce di Berninger ci coccolerà sempre, sarà sempre un porto sicuro su cui attraccare, anche grazie alle parole dei suoi testi, misurate, infuse da un affetto che non abbandona mai i pensieri e la penna del cantante, ma si percepisce la mancanza dei ritocchi e delle ricercatezze sonore dei fratelli Dessner che avrebbero elevato il disco ad un altro livello.