Semplice Motta
7.5

L'idea di un nuovo album di solito è complessa, parte da basi complicate, come solo anche il dover portare a termine dalle 9 alle 12 canzoni che siano coerenti e coese tra loro. E invece Francesco Motta – in arte solamente Motta – ha voluto riportarci la semplicità di questo complesso processo artistico. Con Semplice - per l'appunto - vuole sottolineare la grandezza delle piccole cose, dei fuggenti attimi così intensi e ricchi eppure brevi. Il cantautore ha ricercato la semplicità ma non il minimale, ha trasportato in musica l'insegnamento di Italo Calvino che lui stesso ha preso come guida per il raggiungimento del suo obiettivo: «La leggerezza non è una piuma che cade, ma l'uccellino che batte le ali per rimanere in volo». Anche se di semplice questo disco non ha niente, è un lavoro corposo e pieno di particolari entusiasmanti, di parti strumentali ricche e coinvolgenti, di testi mai banali e significativi.

La cosa più difficile per arrivare alle cose semplici è capire cosa andare a levare, concentrarmi sulle cose importanti mi ha reso contento.

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Il disco è stato rilasciato il 30 aprile per Sugar mentre il singolo E poi finisco per amarti ha cullato noi e la nostra curiosità dall'inizio del mese. Perché, dopo Vivere O Morire del 2018, il cantautore pisano non si era fatto più sentire se non per la sua partecipazione a Sanremo o per i gossip riguardo il matrimonio ultra segreto con Carolina Crescentini.

Per la prima volta Motta non ci mette la faccia. Infatti, con i primi due album il suo ritratto era la copertina del disco stesso. Mentre ora, ancora una volta, vuole sottolineare l'importanza della semplicità e dare risalto ai brani contenuti nel disco perché «le canzoni sono più importanti di chi le scrive». Dà risalto anche testi che non raccontano più storie intere ma attimi indelebili che durano per sempre. Doveva essere diversa la faccia di questo nuovo lavoro eppure, alla fine, è arrivato a questo "manifesto", alla copertina «più punk» che lui abbia mai realizzato. «L'ho fatto per me» dice lo stesso autore in più di qualche intervista. Semplice è un racconto che si sviluppa durante 39 minuti e del quale Motta ci ha invitati alla lettura e all'ascolto. Un racconto che lui stesso dice di aver avuto il tempo di scrivere con tranquillità in quello che è stato un anno e mezzo in cui le cose sono andate a rilento, se non in molti casi - come in quello della musica - si sono fermate sotto molti aspetti. Anche se confessa che durante il primo lockdown ha messo in pausa il disco per dedicarsi alla soundtrack di un film che, dice, spera uscirà presto. E noi siamo ancora più curiosi.

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L'incipit di questo racconto è sicuramente il primo brano A te che, anche se non dichiarato, è usato come vero e proprio intro di Semplice. Gli archi avvolgono e stravolgono la parte strumentale dell'album, diventando un filo conduttore lieve ma presente durante tutti i capitoli. Così come invece Quando guardiamo una rosa è l'outro del disco ed è, al contempo, una fine e un inizio. Infatti, nonostante gli archi siano ancora parte integrante e strutturalmente fondamentali, si differenzia dal resto delle nove tracce presentate poiché chiude con una parte elettronica del tutto estranea agli aficionados del cantautore. Mentre lui lo reputa un possibile «mondo che sto esplorando e mi piace pensare che un eventuale prossimo album partirà da lì», racconta durante la conferenza stampa.

L'outro è un pezzo quasi rappato e molto cupo. Eppure questa sensazione e questa musicalità la ritroviamo anche nel singolo E poi finisco per amarti, nel brano L'estate d'autunno e nell'entusiasmante e accattivante bridge di Dall'altra parte del tempo. Atmosfere cupe e potenti che centrano il punto facendo svolgere al contrabbasso, nel caso del singolo, un ruolo fondamentale nell'emotività stessa del pezzo. Forte (forse) del nuovo progetto cinematografico alcune delle canzoni sono musicalmente adatte per essere raccontate e trasportate in un film. Via della luce e Le regole del gioco ci avvolgono con la loro leggerezza, con il loro «Sai che c'è? C'è che alla fine qui va tutto bene».

Che poi, come dicevamo, di semplice non c'è proprio niente in questo disco e lo dice anche lo stesso Motta in Via della luce «Ma semplice è difficile / E difficile è per sempre». Lo capiamo dalle parti ricche di interventi e l'incastro perfetto delle orchestrazioni insieme agli assoli di chitarra e ai temi portanti messi in risalto dal pianoforte, come si può sentire nel singolo o in Semplice. Motta ci trascina nel suo mondo fatto di suoni, accordi, percussioni travolgenti, note stridule e modulazioni continue che però riescono a lasciare il giusto spazio ai nuovi testi del cantautore senza risultare barocco o rindondante. E questo grazie anche la collaborazione più che riuscita di Mauro Refosco e Bobby Wooten – già musicisti di David Byrne - per la parte ritmica ed elettronica.

Alcune delle canzoni hanno acquisito significati diversi durante la revisione e la pausa per l'inserimento o meno nel disco. «È il bello delle canzoni, che non cambiano ma assumono un significato diverso se cambia il mondo attorno a loro», dice durante un'intervista ad Elle. E così è successo per alcuni brani, tra i quali Qualcosa di normale. Perché quello che racconta il cantautore nei suoi testi è scaturito anche dello stare a contatto con le persone, dal provare e vivere momenti di socialità che durante questo ultimo anno mezzo ci sono stati tolti. Questa canzone era nata subito dopo la fine del tour e durante l'evoluzione del disco ha cambiato dimensione, significato. Soprattutto dopo un sogno premonitore in cui compariva De Gregori. Così Francesco pisano ha deciso di mandare alcuni brani dell'album al Francesco romano che, dopo averlo rassicurato sulla riuscita del pezzo in questione, gli ha detto di cantare questa canzone con una donna. E la scelta è ricaduta su sua sorella, «la voce femminile che preferisco».

Motta tramite Instagram ci ha anche rivelato le prime date del nuovo tour. Infatti il 21 luglio sarà al Carroponte a Milano mentre il 10 settembre all'Auditorium Parco della Musica di Roma. Il lavoro che sta dietro a queste date sarà il triplo del normale perché, come dice lui stesso in un'intervista ad Elle «per ogni evento devi pensare a un piano a, b e c. E poi magari il giorno prima arriva la notizia che non va bene nessuno dei tre.».

Ma sarà un tour incentrato sulla musica, sul suonare insieme a una band, come ha già fatto al'’interno di questo disco che di jam strumentali ne ha veramente tante così come di potenziale per essere strabiliante e ammaliante live. Il suo ultimo concerto risale alle fine del settembre del 2019 e lui, che quando i locali erano pieni e non riusciva a suonarci, andava per strada a cantare con i Criminal Jokers. A questo è dedicata Quello che non so di te, un brano «indie vecchia scuola». Parla di quel niente che bastava a lui a Dublino quando si guadagnava da vivere suonando per strada insieme a Pellegrini. Non come i ragazzi di oggi che hanno un'urgenza nel fare musica, che sanno molte cose ma perdono il focus su cos’è la loro passione, da dov'è iniziata e perché la perseguono. Non come per lui che «se non faccio musica, se non faccio questo a prescindere da tutto, io muoio.»