R.Y.C Mura Masa 17 gennaio 2020
6.8

Penso esista una maledizione. Io stessa sono la portatrice di questo "malocchio", se così lo vogliamo chiamare, e ciò va a discapito sia mio che dell'artista in questione. In sostanza, quando esce un album di un artista che mi piace molto e ho la possibilità di recensirlo, capita che questo disco non sia dei migliori. Per non dire sotto la media della mie aspettative o dei lavori precedenti di suddetto artista. Oggi parliamo di Mura Masa.

Quando ho saputo dell'uscita del nuovo album di Alex Crossan – AKA Mura Masa - ero al settimo cielo perché lui è uno dei miei artisti da "fissa". Mi ritrovo molto spesso ad ascoltare i suoi pezzi in loop senza stancarmi del repeat infinito. I cinque singoli usciti prima della release del 17 gennaio di R.Y.C. mi avevano convinta – chi più, chi meno -. Nonostante questi non fossero in linea con le sue canzoni che mi piacciono di più e che si rifanno a quelle sfumature cupe e dark dei suoi primi lavori come gli album Someday Somewhere e Soundtrack To A Death. Ma mi sono detta hey, diamogli un'opportunità! Non diventerà commerciale come tutti gli altri.
Esce il primo singolo I Don't Think I Can Do This Again e per le prime due volte nelle quali lo ascolto non mi piace, non riesco a farmelo piacere. E invece poi, piano piano, è diventato uno dei brani punta della mia estate. Quindi mi convinco che sarà un bell'album. Esce il secondo brano No Hope Generation e non mi convince nemmeno questo, anche se poi mi ritrovo a canticchiarlo e mi entra in testa come un tarlo. Ma non è una bomba come i suoi soliti brani, ma orecchiabilmente pop. Esce il terzo Deal Wiv It in collaborazione con slowthai e su questo non c'è nulla da dire, si ha già la garanzia del successo. Finalmente, mi dico, la maledizione è svanita. E poi arriva la possibilità di poter recensire l'album. La colgo al volo. Da lì sono usciti altri due singoli. E non me ne è piaciuto nemmeno uno.

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Prima di scrivere questa recensione mi sono ascoltata i singoli, l'album e ho letto alcune recensioni di altre webzine. C'è chi lo osanna dandogli il non plus ultra dei punti e dei favori in classifica mentre chi si chiede dove sia finita l'originalità di questo ragazzo. C'è anche chi la chiama l' "evoluzione" di un artista che deve ancora scoprire tutto il suo immenso potenziale. Nel suo primo album Soundtrack To A Death Mura Masa crea un universo orientaleggiante nel quale l'EDM, la chillout e la dance si mescolano per dare forma alla sua musica. In Someday Somewhere, invece, si sposta più verso il mondo dance, come ne è la riprova Firefly: canzone dai toni caldi e profondi, caratteristici del ragazzo inglese. Ma senza tralasciare i suoi suoni tipici che richiamano la cultura asiatica. E poi arriva Mura Masa, disco omonimo, che nel 2017 gli regala delle prestigiose nominations come Best Producer e New Artist of the Year e vari premi. I featuring arricchiscono solamente la dimensione che si è creato Alex: A$AP Rocky, Charlie XCX, Desiigner, Nao e Damon Albarn hanno sicuramente dato quella spinta in più ad un album che già di suo vince e convince.
Anche in questo nuovo lavoro le collaborazioni sono tante, come i già citati slowthai e Clairo, ma anche la futura stella dell'elettronica Georgia o la vecchia conoscenza dei Wolf Alice. Però, questo disco si allontana dalla strada tracciata della dance per avvicinarsi più al mondo di un indie rock condito da tanto tanto pop. Certo: i synth, le basi e i droop tipici del mondo EDM ci sono e persistono ma quello che vuole delineare Alex è più l'introspezione di questo progetto con il quale vuole raccontare la sua storia.

È una storia guidata più da brani strumentali composti da chitarra e basso effettando le voci ed arrivando pian piano ad un possibile – e non sempre presente – cambio di atmosfera. In una recente intervista ad NME, infatti, pare abbia detto che se si è abbastanza intelligenti, ora come ora, si dovrebbe fare musica con la chitarra. «Io sento come la gente ora stia pregando per qualcosa di autentico e quel tocco umano nella musica. E non c'è modo più semplice se non con la chitarra e il piano.». Infatti R.Y.C. è la sigla e si rifà al titolo della prima canzone dell'album Raw Youth Collage. È un disco dove Alex si ripromette di raccontare la verità nuda e cruda – raw – della vita adolescenziale in toni nostalgici. Fatta e creata di tutte quelle esperienze vissute, di quei pezzi formati da vari ricordi di quell'età inconsapevolmente bella che accomuna tutti nella propria unicità.
Ma andiamo con ordine, anche per capire se la mia recensione pende più dal lato degli osannatori o degli azzannatori. Raw Youth Collage, l'apripista del disco, è lineare, basica e vuole raccontare ciò che il titolo si è riproposto di fare. «Do you ever wish you could forget the good times?» è solo una delle lyrics che dà già un indizio sullo spirito del disco. Di una prematura richiesta d'aiuto di un età meravigliosa che non se n'è ancora andata del tutto ma che si ha paura possa finire troppo presto. E nello stesso modo fa No Hope Generation, come già detto secondo singolo estratto prima della release. Sento come se i Blink 182 fossero stati remixati o prodotti da un dj contemporaneo in un mix tra gli anni '90 del punk rock e gli anni '90 dell'autotune e delle discoteche. L'avevo già anticipato: oltre a dei bei momenti di tensione dati dal basso questa canzone non è nulla di che. Sì, certamente ballabile. Sì, certamente ti entra come un tarlo in testa e non se ne va. Ma non è tra i migliori brani di Alex.

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Nemmeno I Don't Think I Can Do This Again in collaborazione con Clairo – giovane cantautrice americana affetta da artrite idiopatica giovanile - è una canzone da 10 e lode. Ma i suoni del ritornello così cupi, battuti mi fanno finalmente ricordare quel Mura Masa che mi piaceva così tanto due-tre anni fa. Suoni, tra l'altro, dati grazie al campionamento di quella bomba dei Basement Jaxx dal titolo Where's Your Head At. Forse è il brano migliore dell'album insieme all'altro collaborazione con slowthai. La quarta traccia è un tappeto di chitarre spruzzate in alcuni momenti con la famosa e ben consolidata formula del glitch. Ned Green in a meeting at an oak tree racconta la storia vera di quello che potrebbe essere un tipico film adolescenziale americano. Dove lui sale dalla finestra della camera di lei alle 3 del mattino e scappa nudo al rientro del padre della ragazza. Un incontro segreto che il padre non scoprirà mai ma che viene raccontato come una favola giovanile in questo album. Arriva finalmente Deal Wiv It con slowthai, che riporta l'energia con il terzo singolo estratto. Vengono calcati i punti giusti e dà l'esatto spazio sia al rapper che alla musica di Mura Masa. Questa è sicuramente una canzone che vorrei poter ascoltare live. Speriamo pesto. In vicarious living anthem risento per l'ennesima volta le linee vocali tipiche del producer e che mi ricordano terribilmente il secondo brano di questo album. Il tutto ha più un aria rock che EDM al contrario di In My Mind: piccola chicca nascosta del disco dai suoni sgargianti che regala delle variazioni di tema ballabili. Molto ballabili. Non convince del tutto invece il seguente brano, Today, in collaborazione con Tirzah. Invece Live Like We're Dancing si propone come il pezzo funk del disco, l'ultimo estratto prima della release. Perché si sa, ci deve sempre essere almeno un brano dalle influenze funk all'interno del disco altrimenti non si sono vagliate tutte le possibilità per avere qualcosa che almeno funzionasse. Perché il funk tira sempre. Bello, ballabile ma mi sarei aspettata qualcosa di più innovativo dal nuovo astro nascente dell'elettronica internazionale e da un artista già pluri-premiato. Il testo è scontato e, ahimè, anche musicalmente non ci trovo nulla di nuovo.

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Il disco riserba ancora due brani: il penultimo è il singolo con Ellie Roswell e Wolf Alice, mentre l'ultimo è l'unico pezzo strumentale dell'intero album. Teeneage Headache Dreams è un bel pezzo (per chiunque non sia Mura Masa). È in linea con In My Mind ed è la ricerca continua di un bel momento che abbiamo vissuto e che cerchiamo di ricreare per stare ancora bene. Ma quei momenti non torneranno mai. Il bridge e con quelle voci effettate e il racconto nostalgico, come l'intervento puramente rock per mano della band, sono i momenti più originali del pezzo. Mentre per (nocturne for strings and a conversation) non possiamo dire nulla. Distende l'atmosfera del racconto di questa giovinezza piena di problemi, amori, dipendenze e scorribande per, magari, augurarsi qualcosa di migliore per il futuro. Il tutto condensato in 2:19 minuti.

Molto probabilmente faccio parte di coloro che boicottano questo disco anche se, leggendo la recensione, potrete aver capito che in realtà molte cose mi sono piaciute e le ho apprezzate. O forse non lo so, forse sono io che mi aspetto sempre troppo da coloro che porto nell'olimpo dei miei artisti preferiti. Purtroppo per me il nero è nero e il bianco rimane bianco. Non ci sono altre vie di mezzo. Ma se a voi è piaciuto il disco provate a convincermi che esista questo grigio nel mezzo. Vi prego: fatelo! Ne va della mia sanità mentale e del mio amore nei confronti di Alex.