MADRA NewDad
7.0

I NewDad vengono dall’Irlanda, ma non suonano come le altre band conterranee. Non possiedono quella ruvidezza post-punk che abita la maggior parte dei nuovi gruppi nati a Dublino e dintorni. Forse è perché loro provengono da Galway, o forse semplicemente perché hanno un background diverso. Julie Dawson (frontwoman, cantante, autrice e chitarrista), Cara Joshi (bassista) e Fiachra Baslow (batterista) hanno iniziato come un trio durante le scuole superiori, per poi inglobare nel gruppo il produttore e chitarrista Sean O’Dowd. I loro riferimenti sono molto più vicini al rock dei Cure e allo shoegaze statunitense. Il loro album di debutto MADRA, che segue i due EP Waves (2021) e Banshee (2022), è la summa di tutto ciò che avevano mostrato finora: malinconia nineties e songwriting coinvolgente.

(c) Zyanya Lorenzo

Il titolo del disco in irlandese – che significa “cane” – non deve trarre in inganno. Ascoltando i NewDad non troverete nulla che rimandi in maniera diretta al loro paese d’origine. Per stessa ammissione della band, uno dei loro obiettivi è scardinare la comune associazione tra Irlanda e folklore. Un abbinamento che torna spesso, per esempio, nei testi di Grian Chatten. I NewDad invece, o sarebbe meglio dire Julie Dawson, basano i testi sull’ esperienza personale. Relazioni tossiche, depressione e tutti i malesseri emotivi che pedinano e seguono l’essere umano, appunto come farebbe un cane.

MADRA si apre con Angel, un brano che rappresenta una svolta stilistica. Scritto in pandemia e ispirato alla serie Euphoria, si regge su un giro di basso ballabile che ti trascina immediatamente nel mood del disco. I suoni di chitarra del ritornello prendono il sopravvento nella successiva Sickly Sweet, uno dei pezzi più rockeggianti del disco. Si continua a danzare mentre l’atmosfera si fa sempre più cupa. Il ritmo circolare delle strofe rimanda alla ripetitività dei comportamenti negativi di cui parla il testo.

ionicons-v5-c

I primi due brani del disco, per chi già conoscesse i NewDad, danno l’illusione che MADRA sia qualcosa di diverso dai lavori precedenti. In questo senso, Where I Go sembra solo un episodio proveniente dal passato. Una canzone rabbiosa con forti influenze shoegaze dove la distorsione delle chitarre prevale su tutto il resto nel ritornello. Non è un caso che il brano sia uno dei più “vecchi” del disco, uno di quelli tenuti nel cassetto dalla band e ripescato per l’occasione dal produttore Ryan Smith per le registrazioni gallesi. Sì perché un’altra delle curiosità che circonda i NewDad è che, a differenza di molte altre band irlandesi che registrano in patria o a Londra, loro hanno scelto i Rockfield Studios di Belfast.

Julie Dawson canta dell’amore verso se stessi, in opposizione alla frequente auto colpevolizzazione di certi ritorni tossici nelle relazioni. Un tema che diventa centrale in quella che la band ha definito come la traccia manifesto: White Ribbons. Il corpo che si rigenera, così come la pelle bianca che rimanda inevitabilmente alla statua scheggiata della copertina. Un brano che sembra estratto dal primo EP Waves che abbina alle metafore dei versi, un sound troppo debitore al passato e ai Wolf Alice.

Il passato che ritorna, la ripetitività e l’amalgama di chitarre, voce e distorsione sono l’unico ostacolo all’ascolto di MADRA. Un album che live suonerà da dio, vista anche l’abilità tecnica della band, ma che in cuffia rischia di risultare un po’ troppo uniforme. Un altro esempio è il brano Nightmares che, salvo la brevissima parentesi elettronica, aggiunge poco all’esperienza.

ionicons-v5-c

I NewDad però sono bravi in quello che sanno fare meglio e, quindi, la sezione centrale del disco vale numerosi ascolti. Si parte con Change My Mind e, anche in questo caso, è il basso a fare la differenza. La band l’ha scritta ispirandosi a un altro dei loro pezzi forti pubblicati nel 2021, Blue, la loro canzone più ascoltata. Il pezzo funziona soprattutto per via della sua natura più pop e meno sofisticata. La voce sussurrata e il suono spaziale restituiscono la sensazione di sollevamento da terra per cui la band si è distinta fin da subito.

Poi c’è Nosebleed, un piccolo gioiello di scrittura e storytelling. Non ci stanchiamo di ribadire che Julie Dawson è una cantautrice di alto livello e qui, i suoi versi si sposano alla perfezione con i volumi e i cambi d’intensità del brano. Rimane sempre quella patina opaca, il suono ovattato rotto solo dall’emergere del basso.

I pezzi forti però sono altri due. Il primo è In My Head. Già pubblicato come singolo, diventa ancora più potente inserito nella tracklist di MADRA, perché unisce il sentimentalismo degli arpeggi di chitarra a una batteria inedita e più marcata. In mezzo una melodia meno scontata e uno dei testi del disco con cui è più facile entrare in connessione. In più, una breve coda finale che sembra preludere a un ultimo crescendo che non arriverà mai. E forse è proprio questo il bello.

Più in là nella tracklist c’è Dream of Me, a mani basse il brano con il ritornello migliore dell’album. Un pezzo debitore del pop rock malinconico dei primi anni Duemila che parla di amore non corrisposto e ha il sapore di camerette e sguardi rivolti al soffitto. Oppure di una fronte appoggiata al finestrino di un autobus, mentre la mente vaga, crea e immagina sogni e pensieri altrui.

ionicons-v5-c

Si è già fatto riferimento alla troppa omogeneità tra le varie tracce, eppure i NewDad ogni tanto provano a percorrere sentieri estranei. Quando lo fanno, vanno realmente vicini a colpire il bull eye. Lo sfiorano in Let Go, una canzone – sì, qui possiamo dirlo – che risente dell’ondata post-punk, soprattutto di band come Just Mustard e in parte anche Gilla Band, seppur mantenendo intatta la linea melodica. Qui le parole del testo passano in secondo piano, in favore di un’attenzione maggiore ai dettagli del suono: il basso, il suono più ricercato della chitarra e la batteria che disegna un ritmo marziale. Si capisce che non è il loro territorio abituale, ma nel contesto del disco è una variazione inattesa sulla quale si ha subito la tentazione di tornare.

Meno convincente, purtroppo, è la titletrack che chiude il disco. Una canzone che probabilmente avrà cambiato pelle più volte nel corso degli anni, dato che è stata scritta molto tempo fa. Infatti, parte come un pezzo di Waves, si avvicina al rock più classico nel ritornello, ma sembra non partire mai definitivamente. Interessante però la coda disturbante e noisy, un rischio calcolato, ma ben riuscito.

ionicons-v5-c

Il giudizio finale sull’album di debutto dei NewDad non può non essere positivo, eppure è come se ci lasciasse un po’ di amaro in bocca. La band irlandese ci ha regalato quello che tutti ci aspettavamo e, proprio questa mancanza di sorprese, smorza l’entusiasmo. MADRA è di certo un debutto di livello che dal vivo renderà vivi ed emozionanti anche quei brani che in studio rendono meno. Julie Dawson e soci possono diventare una delle più significative band rock– si perdoni la banalità del termine – del vicino futuro, ma devono ancora scrollarsi e abbandonare una certa rigidità. Il rischio di non prendersi troppi rischi raramente paga. Sarebbe un vero peccato.

NewDad photo promo 2024
(c) Dan Curwin