Aurora I Cani 29 gennaio 2016
9.0

 

Per quelli come me che masticano indie-pop italiano da mattina a sera non sarà sfuggita l’uscita del terzo disco de I Cani proprio qualche giorno fa (29 gennaio, ndr), in concomitanza con la pubblicazione dell’album stesso su Spotify che ormai significa “è ufficiale, ci siamo” (Ah, Spotify, cosa c’hai fatto). Nonostante il plurale del nome d’arte I Cani sono in realtà uno solo e, come forse saprete, fino a qualche anno fa non sapevamo né che faccia avesse, né quale fosse il suo nome. Niccolò Contessa (ormai non è più un mistero) aveva infatti l’abitudine di vivere la sua vita d’artista in quasi totale anonimato, esibendosi con un sacchetto in testa sul palco o restando al sicuro dietro la videocamera in occasione dei video ufficiali che di tanto in tanto dava in pasto alla rete.

Nonostante l’assenza di un nome e una faccia, avevamo bene in mente invece il canile (analogia necessaria, consentitemela) in cui andare a pescarlo, perché se è vero che la sua identità fosse tutto sommato avvolta in un piacevole mistero, non lo erano le sue origini, la sua terra, la sua musa: Roma. I suoi testi erano profondamente radicati nelle realtà capitoline e in qualche modo questo lo rappresentava e ne era un’inconfondibile bandiera, come a dire “Sono qui e non mi muovo, non ho un nome e una faccia, non ho identità” chiuso al sicuro tra le pareti della sua Roma nord.

Aurora, questo nuovo disco pubblicato per 42 Records, ha proprio l’obiettivo di interrompere questa tendenza, far uscire insomma Niccolò Contessa dal suo guscio, da un anonimato che ormai già non esisteva più ma che aveva forse bisogno di un ulteriore conferma, di una spinta.

In questo album Roma non viene mai citata; nemmeno quando la possibilità sarebbe effettivamente molto ghiotta, come in Baby soldato, quando Niccolò elenca città e aeroporti noti nell’immaginario comune per accogliere e cacciare figure legate al glamour e alla moda, che arrivano nelle Milano e Parigi di turno nella speranza di riuscire a rimanere aggrappati ad una vita ingioiellata, dorata, frustrante.

Ma andiamo con ordine, perché se è vero che Baby soldato è stato il primo singolo reso pubblico di questo nuovo album, ora che il disco è ormai uscito possiamo serenamente seguire l’ordine in cui le tracce si presentano. E partiamo con uno dei brani che ho apprezzato maggiormente: Questo nostro grande amore. Ho maturato diverse opinioni riguardo questo brano, a cui ne aggiungevo altre ancora ogni qual volta lo ascoltassi. Ho trovato Questo nostro grande amore un brano sì cinico e provocatorio, ma anche in un suo qual modo romantico, quasi tenero. Avete presente le coppie che si fanno diecimila foto in posizioni circensi con l’obiettivo di trovarne una da pubblicare su Facebook e fare i BIG LIKES? Ecco, riassumendo molto, questa canzone vuole discretamente puntare il dito verso chi cerca di arricchire il proprio ego (e, perché no, in alcuni casi anche il portafoglio) grazie ai propri sentimenti e a quelli altrui, veri o presunti che siano. Questa, l’impressione che ho avuto appena sentito il pezzo. Poi ho continuato, l’ho ascoltata ancora e ad un certo punto ho pensato “Beh, dai, questo è davvero romantico”. Credo che l’interpretazione di questo pezzo sia davvero molto legata all’emotività di chi l’ascolta, molto più di molti altri.

Tu immagina i bond di questo nostro grande amore,
in base al tuo tasso d’interesse per me

Non parlerò così tanto di ogni brano, promesso. Il successivo è Non finirà, è il terzo singolo estratto ed è già disponibile un video ufficiale. Ecco, qui devo ancora capire come mai mentre il testo recita

Riportiamo le filosofie in cantina con le religioni
e la playstation 2

il video mostri il controller di un vecchio Super Nintendo, ma mi informerò (da nintendaro, non l’ho presa bene). Il punto è, comunque, che come dicevamo poco fa in questo video spicca il volto di Niccolò, finalmente pubblico, senza blur né sacchetti. Una piccola svolta.

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Del brano successivo (Baby soldato) ne abbiamo già parlato in precedenza pertanto non mi dilungherò oltre, se non allegando un estratto del testo che ha colpito un po’ tutti i recensori di Aurora, per tanto io non vorrò essere da meno.

Lo sai sono scoppiata, zio.
Non è niente, sono solo stanca, zio

Come tutti mi hanno fatto notare, spicca l’utilizzo di un intercalare tipicamente lombardo come ‘zio’ in questo testo, in contrapposizione alla già citata ‘romanità’ dei lavori precedenti. Io, modestamente, la prima volta che ascoltai questo brano, pensai che fosse un virgolettato della conversazione tra la protagonista e, effettivamente, suo zio. Non sono lombardo, sarà per quello.

Okay, preparate i fazzoletti. Il posto più freddo è la vera sorpresa di questo album: senza giri di parole melensi e frasi stucchevoli da pop italiano urlato negli stadi d’Italia, questa canzone inquadra spaventosamente bene il sentimento che avrà divorato dall’interno ognuno di noi almeno una volta nella vita: la depressione post-rottura. Nei paesi anglofoni le chiamano break-up songs e a questa canzone non manca assolutamente niente per essere una delle migliori sentite negli ultimi anni. Da amante delle emozioni forti, ho adorato questa canzone e la considero una delle migliori dell’album. Dopotutto, quale emozione è più forte della nostalgia?

“Perché adesso la notte è finita e la luce è accesa
e mi sveglio in un posto qualunque alle sette di sera”

Ora, spero nessuno mi chieda mai cosa significhi il titolo della canzone successiva perché non ne ho la più pallida idea. Protobodhisattva è un pezzo accattivante e divertente. Il testo è ottimo ma ragazzi, davvero, uscite il significato del titolo perché sto impazzendo. Scherzi a parte, è uno dei pezzi più riusciti dell’album in termini di musicalità e testo e sono sicuro sarà uno dei brani più ascoltati del disco.

“Veniamo dalle polveri di nubi interstellari
e ci ritorneremo per il prossimo big bang”
 

Avreste mai pensato si potesse dedicare una canzone allo scambio di byte che intercorre tra, ad esempio, un messaggio di Whatsapp e l'altro, o un qualsiasi altro tipo di notizia e informazione che riceviamo in formato digitale ogni giorno? E, se sì, avreste mai pensato lo si potesse fare in questo modo dolce e mai banale in cui I Cani ci cantano Aurora? Ebbebe, la title song di questo disco parla di questo. Pacchetti digitali, aurore boreali, satelliti d'amore.

“Abbraccia il tuo satellite per un istante solo
nel cielo tra le stelle, ma poi scendi per raggiungerla;
illuminale il volto se si annoia oppure è inquieta, nella notte
quando si sente sola”

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Dopo la bella e lentissima Aurora troviamo Una cosa stupida. Se Il posto più freddo è stata da me definita una break-up song, Una cosa stupida può essere chiamata una post-break-up song. Un altro magnifico manuale che ci insegna come arrivare preparati all’ennesima mazzata che tutti noi abbiamo ricevuto, nel modo più semplice possibile: non si è mai abbastanza preparati. Stiamo parlando del momento in cui rivediamo, dopo tempo, una persona che abbiamo amato e che forse amiamo ancora. Immaginiamo nella nostra testa tutto ciò che vorremmo dirle, ma l’esito e scontato: le strade si dividono, la testa bassa, il silenzio.

“Ma poi ti vedo ed evito il tuo sguardo, a mala pena
riesco a dirti ciao. Ed è così da così tanti anni che ormai non so nemmeno più se cambierà”

Arriviamo al mio brano preferito, Calabi-Yau. Oltre ad averlo trovato fantastico, mi ha anche costretto a cercare il titolo su Google, come in qualche modo suggerisce una parte di testo stessa. Ho aperto Wikipedia, ho letto il significato di questa misteriosa calabi-yau e non c’ho capito un cazzo. Mi dispiace ma io e la matematica non siamo mai andati d’accordo. Una bellissima introspezione mancata e il rumore del mare accompagnano questo testo che è stato il primo e per ora unico pezzo che ho condiviso sul mio Facebook (significherà pur qualcosa, no? Ne dubito).

“Quindi basta cercare la notte sul google il mio nome,
io non voglio più guardare:
dentro di me non c’è niente di niente”

Da amante a tempo perso della musica elettronica, ho apprezzato particolarmente Ultimo mondo. Il brano è interamente strumentale e merita di essere ascoltato. Anche in questo caso, un bel virgolettato di un estratto del testo: “ … “ (scusate).

Quando ho iniziato a scrivere questa recensione volevo citare la specularità del album, o almeno quella che avevo notato io. Tra i punti a favore della mia tesi, c’era la presenza di un brano intitolato Non finirà al secondo posto dell’elenco, e un altro intitolato Finirà nella stessa posizione dal basso. Mi piaceva un sacco questa cosa ma poi ho pensato fosse un viaggio mentale esagerato e lasciai perdere. Se volete avere un’idea precisa e dettagliata di come sarà la fine del mondo, comunque, Finirà è il pezzo che fa per voi.

“Dalle viscere del cosmo si leverà un silenzio”

L’album si chiude con Sparire, brano molto melodico e pregno di significato. Un modo degno di concludere un album che risulta profondamente introspettivo, non necessariamente dal punto di vista dell’artista ma da quello di chiunque deciderà di ascoltarlo. Sparire descrive le paure nel modo più semplice possibile e si allaccia silenziosamente al brano che lo precede. Dalla fine del mondo violenta e imminente ad una rassegnazione lucida, un’accettazione e una consapevolezza che non lasciano in sospeso nulla se non l’ultimo atto, l’ovvia conclusione, lo sparire dal mondo che se non è quello di tutti, è quantomeno il proprio.