Humanz Gorillaz 28 aprile 2017
7.6

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Voto:

C+
Accattivante

“I switched my robot off / And I know more / But I retain less”.
Così si apre il tanto atteso Humanz (Parlophone Records, 2017), quinto album in studio della band virtuale Gorillaz. C’erano molte aspettative tra i fan e la cerchia di artisti con il fiato sospeso per il nuovo lavoro di Damon Albarn e collega disegnatore Jamie Hewlett. Pochi eletti hanno avuto il piacere di poter ascoltare l’album in esclusiva durante un launch party segreto tenutosi a Londra lo scorso mese. Per i comuni mortali, invece, è finalmente arrivato il momento di godersi Humanz.

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La prima cosa degna di nota è la campagna di promozione del disco e della nuova identità di Murdoc, 2D, Noodle e Russel. Attraverso sperimentazioni di realtà aumentata, video a 360°, interviste e concerti virtuali, Damon non ha affatto paura di osare. Tutto ciò non ci sconvolge: dopotutto l’ex frontman dei Blur ha raggiunto la vetta artistica creando una band virtuali di cartoni animati che ha ottenuto un successo globale, entrando a far parte delle influenze musicali più significative della storia della musica. Eppure, così come suggerisce il titolo, questo album tenta di tirare fuori il lato umano degli stravaganti personaggi, mettendoli di fronte ad incertezze, problematiche esistenziali e riff hip-hop. Umani, sì, ma fino ad un certo punto. Un’umanità mezza robotica, così come conferma lo stesso Albarn quando dice di aver creato quasi tutto il disco usando un iPad.

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Ma il fidato iPad di Albarn è solo una minima parte del processo creativo dietro a Humanz. Il vero cuore pulsante è l’intricata rete di collaborazioni con artisti provenienti da una variegata scena musicale, come Grace Jones, Vince Staples, Benjamin Clementine, Pusha T e De La Soul. Durante un’intervista con Rolling Stone, Damon ci tiene a sottolineare l’importanza dello spazio che ha dedicato a ciascun artista, facendo ascoltare più tracce a ciascuno e dando la possibilità di scegliere in che modo svilupparle.

Le influenze che ne derivano sono infinite. Ci sono tracce dance come “Sex Murder Party”, pezzi dub in “Out of Body”, “Hallelujah Money” è una ballad che si apre con le parole in stile biblico di Benjamin Clementine. Insomma, nella Spirit House dei Gorillaz c’è spazio per tutti. Tra le tracce degne di nota segnalo “We Got The Power”, registrata insieme a Jehnny Beth. Forse è la più particolare proprio perché non rispecchia il classico stile Gorillaziano. Però, il testo che incita all’amore incondizionato con cori motivazionali piace e ci fa cantare tutti insieme: “We got the power to be loving each other / No matter what happens / We’ve got the power to do that”.

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Tuttavia, questo Humanz non fa impazzire come Gorillaz (Parlophone Records, 2001) o Demon Days (Parlophone Records, 2005). La firma Gorillaz si fa sentire a tratti, come in "Saturnz Barnz" che presenta un groove alla "Clint Eastwood". Tuttavia, finora nessuna delle canzoni di Humanz ha avuto un successo paragonabile a "Feel Good Inc" o alla stessa "Clint Eastwood", entrambi stendardi di una generazione che si aspettava di più da Albarn.

Forse la grafica e la sperimentazione visiva non bastano più in un 2017 in cui ogni forma d’arte sembra pervasa dal bisogno di esprimere il proprio pensiero sulla realtà politica e sociale. E quando si parla di politica, si sa, si fa riferimento a Trump e alla Brexit. Tuttavia, le canzoni sfiorano soltanto certe questioni tanto discusse, lanciando indizi qua e là come fa Vince Staples in Ascension con il tema del razzismo quando canta “They hated on us since days of Moses / Let my people go crazy”. Non affonda le unghie, però, lasciando gli ascoltatori con un punto interrogativo sui temi trattati.

Ma Damon l’ha espresso chiaramente: questo non vuole essere un disco politico, ma piuttosto “un party album per un mondo uscito di testa”. E forse il bello è proprio questo. Mentre ascolto Humanz, non posso fare a meno che immaginarmi 2D, Murdoc, Noodle, Russel e amici che si scatenano al ritmo alternato di temi angoscianti e melodie dance. Cosa c’è di più attuale e umano di questo?

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La struttura dell’album somigliante a un mixtape sembra confermare questa affermazione. Non c’è un filo comune che unisce temi ed influenze. Il tentativo degli interlude di accompagnarci nel festino dei Gorillaz non riesce nel suo intento, facendoci sorgere dei dubbi sulla voluta discontinuità di Humanz. E dopo una campagna promozionale così eccitante, un assaggio di ben quattro canzoni inaspettato e un inizio di album carico, la tracklist si va spegnendo, arrivando alla 26esima traccia nella versione deluxe “Circle Of Friendz” che chiude il quinto lavoro del genio artistico di Albarn. Una canzone scarica per un album che poteva essere grandioso, ma che ha bisogno di più grinta per conquistarsi un posto nei cuori di questa generazione. Dalla band virtuale più famosa e assurda del mondo non possiamo che aspettarci anche questo.