Hymns Bloc Party 29 gennaio 2016
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Non servono molti ascolti del nuovo disco di HYMNS (Vagrant/BMG/Infectious, 2016) nuova fatica dei Bloc Party, per capire che probabilmente tale fatica poteva benissimo essere risparmiata. Quando cambi due quarti di una band e pubblichi un album dopo quattro anni dall’ultimo, perché mantenere lo stesso nome?

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Non è semplicemente il nome ad essere rimasto, ma anche il marchio, il brand Bloc Party. Certo è che Kele Okereke e Russell Lissack, fondatori della band, avessero tutte le facoltà di decidere cosa fare del gruppo, per quanto fosse importante la sezione ritmica della musica targata Bloc Party. Sezione ritmica che, dopo la pausa presa nel 2012, ha abbandonato il gruppo.Matt Tong (batteria) e Gordon Moakes (basso) non sono sopravvissuti alla pausa e con loro non lo sono i Bloc Party. I due sono stati sostituiti da Justin Harris e Louise Bartle, nomi tanto casuali quanto può esserlo il nuovo disco e quello che c’è dentro.

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HYMNS non ha un inizio e non ha una fine, né tantomeno un percorso. E supera quella sottilissima linea tra il minimalismo e l’assenza di idee, prodotte in gran parte dal frontman Okereke. Sarebbe benissimo potuto essere il suo terzo lavoro da solista – dopo Trick (2014) – eccezion fatta per The Good News, le cui vaghe sfumature country stonano con il resto del disco.

Tanto vaghe le sfumature country quanto i sintetizzatori in tutto l’album, a partire dalla prima traccia – nonché singolo – The Love Within. Nonostante ciò, in The Love Within sembra che la voce di Kele non sia andata del tutto perduta, ma bisogna già ricredersi su Only He Can Heal Me. Eppure quella voce ha abituato a prestazioni come quella su Ratchet, ultimo singolo prima della pausa, in cui Okereke riusciva a rappare mantenendo un tono elevatissimo. E’ troppo forzato credere che abbia semplicemente rimodulato la sua voce per adattarla al disco, anziché aver attinto al suo lavoro da solista, che resta comunque superiore ad HYMNS.

E superata la metà del disco, si scade quasi nell’indie-pop, con Into The Earth, dove i sintetizzatori quasi spariscono. E` con i synth di Living Lux, pero`, che si chiude HYMNS, passando per la traccia che meglio riassume il disco e ne è forse il miglior singolo estratto, Virtue. Ma un singolo non può valere un album.

Forse HYMNS è il meglio che i nuovi Bloc Party potessero produrre, ma senza dubbio con la line up originale, lo si sarebbe potuto leggere come un cambio di direzione. E un cambio tentato in maniera differente, senza affidare il processo creativo ad un unico membro, che non è riuscito a fare di meglio se non prendere il suo lavoro solista e produrre con il nome Bloc Party.

Questo non significa che con un nome diverso HYMNS sarebbe stato un album migliore, tutt’altro.