Ti amo Phoenix 2 giugno 2017
7.6

Quello dei Phoenix era uno degli album che più aspettavo quest’anno. La band francese è una di quelle che quando la senti per la prima volta ti fa innamorare, e quest’amore è destinato a durare a lungo, da United a Bankrupt!, che risale al lontano 2013, l’anno d’oro dell’indie, tra AM degli Arctic Monkeys e Reflektor degli Arcade Fire. Sono ormai passati 4 anni, però il mio amore per questa band stenta ad affievolirsi. Quel ritmo allegro, spensierato e frizzante è diventato il loro marchio di fabbrica, inimitabile. Quell’atmosfera rilassata, di festa, che si crea nella tua testa non appena ti metti le cuffie e premi play su If I ever feel better, ti dà l’impressione di avere un cocktail fresco in mano e ti sembra di sentire la sabbia calda sotto i piedi nudi, che si stanno muovendo a tempo. E quel fascino tutto francese che genera la loro musica? C’è poco da dire, Phoenix vi amo e mi piace pensare che forse loro in qualche modo ricambino. Infatti sulla copertina dell’album che sto ascoltando c’è scritto in maiuscolo rosso su sfondo azzurro: Ti Amo (Glassnote). Sì, in italiano. La band ha deciso di tornare sulle scene con una dedica tutta speciale per il Belpaese. L’Italia a partire dal titolo è la protagonista indiscussa del disco, di cui la band ha deciso di ritrarre una versione romanzata, un paese che non esiste, fatto di Dolce Vita, gelato e amori estivi. Avessero descritto la realtà, ammettono, sarebbe stato un album noioso. Come dargli torto, tra giornate afose interminabili, zanzare e vacanze che non si riesce mai ad organizzare. Rispolveriamo il vecchio giradischi anni ’60 del nonno e partiamo per un gran tour con i Phoenix.
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La puntina scorre in un vortice elettronico per 10 secondi, poi si accelera e si parte con il botto: J-Boy, la prima traccia ad essere stata presentata dopo il lungo silenzio. Fin dalle prime note si capisce che i Phoenix non hanno abbandonato il loro caratteristico indie elettronico, anzi, lo hanno amplificato mettendo ancora di più al centro dell’attenzione le tastiere e i sintetizzatori, il che rende la loro musica ancora più estiva di quanto non potesse già essere, ancora più pop. Anche la seconda traccia che dà il nome all’album, Ti Amo, inizia con un loop elettronico da cui emerge il ritmo principale della canzone. Questa volta la chitarra e il basso sono più chiari e marcati e danno vita ad un ritmo più incalzante e orientaleggiante, simile a quello della vecchia Entertainment. Prosecco, Sanremo, Battiato e Lucio sono solo alcuni delle citazioni in italiano in cui ci si imbatte ascoltando il pezzo. Non appena si colgono tra le parole in inglese, si fa un sorriso, e ci si sente subito a casa. “Love you, ti amo, je t’aime, te quiero”, lo dicono in tutte le lingue, ma la canzone non è una celebrazione dell’amore stucchevole stile "Tempo delle mele". Infatti ad un certo punto del testo si può leggere un esplicito “open up your legs”, in quanto l’album si basa su emozioni semplici, essenziali, apparentemente contrastanti: l’amore, il desiderio e l’innocenza. Nel corso dell’album le parole in italiano non si sprecano, si trovano praticamente in ogni canzone: danno semplicemente il nome al pezzo, come nel caso di Tuttifrutti, oppure compongono intere frasi dei testi. È il caso di Via Veneto con il suo riff oscuro e ipnotico, con la quale sembra di ripercorre attraverso una cortina di fumo e fiumi di vino la via romana tanto amata dal jet set dei bei tempi, da Marcello Mastroianni a Federico Fellini. “Senza te, senza te, senza te” sembra il canto magnetico di una sirena, che il registra ha incarnato in Anita Ekberg, e la canzone più cupa dell’album avrebbe potuto fare da colonna sonora alla famosissima scena della Fontana di Trevi nel "La Dolce Vita". “Non posso vivere, troppo bisogno di te” e “Give me your Fior di Latte” scandiscono Telefono e Fior Di Latte, la prima chiude l’album e attraverso un ritmo nostalgico e parole dette ad uno di quei grossi telefoni colorati che si trovavano nei comodini degli hotel racconta molto probabilmente la storia spesso a distanza tra il cantante, Thomas Mars, e la moglie, la regista Sofia Coppola, la seconda una ballata sincopata scandita dalle leggere percussioni e dalla chitarra acustica nell’encore.

Ciò che caratterizza quest’album sono i ritmi sempre allegri e solari che accompagnano ogni canzone, se si chiudono gli occhi sembra di rivedere qualche vecchio B-Movie italiano ambientato a metà tra Rimini e Milano Marittima negli spensierati anni ’80. Protagonisti indiscussi Gerry Calà e Renato Pozzetto, in cerca di qualche avventura estiva più o meno seria, ma con la sfortuna sempre alle caviglie. Lovelife con la sua tastiera acuta e martellante sembra essere stata composta apposta per loro. Sulla stessa linea d’onda si può trovare l’organetto di Role Model, brano che alterna parti lente a bassi degni della migliore dancefloor che ad ogni passo di danza si illumina. Ragazzi prendete per mano la vostra ragazza e limonateci in pista durante l’assolo di chitarra, risultato molto molto nostalgico. Durante l’ascolto non è difficile creare nella propria mente delle immagini, che sia un fotogramma di un film oppure una cartolina ricevuta anni fa, ad ogni nota, ad ogni giro di basso, si materializzano paesaggi assolati, spiagge, città turistiche, amori mordi e fuggi, e infatti la stessa band ha dichiarato che l’ispirazione non viene solo dalla musica elettronica di artisti come Battiato, ma è stata anche visuale e la si ritrova anche nelle immagini contrastanti dei tempi, tra amori romantici e proposte molto esplicite. Se ascoltate Fleur De Lys chi vi viene in mente? Raffaella Carrà, che domande! Il ritmo ondeggiante e tropicale dell’inizio e quello in crescendo del ritornello sembrano trasportaci verso una sfavillante festa a base di tanto alcol, festoni dorati appesi al soffitto e vestiti appariscenti, in cui non può mancare la biondissima cantante, ricoperta di lustrini e paillettes. Goodbye Soleil è la canzone in cui si percepiscono maggiormente i classici strumenti, come chitarra elettrica e soprattutto il basso che in linea con il sapore anni ’80 di tutto il disco spezza rigoroso il tempo mentre la chitarra si mescola a suoni elettronici come quella di Nile Rodgers nei brani dei connazionali Daft Punk.

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Ti amo è un disco che sa delle serate viste dall’alto di terrazze romane con il neon di Martini che campeggia dietro le spalle di chi balla, sa dell’aperitivo preso con il sole in fronte in qualche campo a Venezia, sa del sale che ti rimane appicciato alla pelle appena esci dal mare cristallino di una delle selvagge spiagge del sud Italia. Sa della Vespa, dei Goleador e delle partite a calcetto con gli amici. Ti Amo è un revival anni ’80 e un omaggio ai bei tempi ormai passati, in linea con quello che sembra essere il trend nel panorama indie attuale: more dancy, less indie, nonostante i Phoenix siamo sempre stati una band a cui piace giocare con l’elettronica e far ballare. Il risultato è un disco pop a 360 grandi, uno di quelli che nel 1985 avrebbe scalato le classifiche internazionali con le sue melodie euforiche e divertite da teenager innamorato. Ai primi ascolti può risultare a tratti ripetitivo e troppo poco ricercato per essere stato firmato dalla band di Versailles, loro stessi hanno dichiarato di non aver voluto creare l’effetto wow con quest’album: tanti/troppi sample e loop attorno a cui vengono costruite le canzoni, tantissime tastiere, ma proprio per la sua semplicità e immediatezza l’ho già incoronato a colonna sonora di quest’estate.

Phoenix: Christian Mazzalai, Laurent Brancowitz, Thomas Mars, Deck D'Arcy