TYRON slowthai 5 febbraio 2021
9.0

Quando scoprii slowthai ero totalmente in fibrillazione, nonostante fosse un periodo piuttosto cupo per me. Ricordo come T N Biscuits Doorman andarono a modellare le mie giornate e corse da una parte all'altra di Torino. Ho apprezzato subito la sua verve aggressiva quasi punk, ma così onesta da criticare apertamente il governo e la situazione sociale e allo stesso tempo far uscire la vena più cazzona. Oggi, però, sono qui a festeggiare l'uscita del suo nuovo album TYRON che non vedevo l'ora di ascoltare, visto che le canzoni che sono uscite come singoli mi hanno conquistata dalla prima all'ultima.

Partiamo con l'esplicitare una cosina che sicuramente aiuterà gli inesperti a capire il concept dell'album. Tyron è il nome del nostro slowthai e già questo porta a capire su che cosa verterà il tutto. Il primo album dell'artista, Nothing Great About Britain, era prettamente politico e critico, mentre qui riusciamo ad andare a fondo nella sua mente - e forse anche seguendo delle piccole epifanie dell'artista su se stesso. Quello che mi ha colpito è quanto sia un album di ascolto leggero, nonostante la forte ricerca personale e i temi trattati, l'ho ascoltato tre volte di fila senza accorgermene e lo sto rifacendo anche in questo momento. Sicuramente ci sono pezzi più duri da digerire, ma in linea generale mi sembra una vera perla.

Già a livello visivo troviamo una sorta di lato A e B, uno più harsh e uno più soft, ma solo nelle melodie, perché i testi arrivano sempre dritti al punto. A volte così diretti da far paura, sembra di raggiungere strati sempre più profondi pronti a scavare qualcosa anche in noi. Nel primo lato troviamo una narrazione più arrabbiata e concentrata, proprio come i beat che la descrivono che sono molto più intensi e duri rispetto al lato B.

CANCELLED ci trasporta in un mondo pieno di rancore, introdotto già da 45 SMOKE, che si trascina fino a VEX e WOT. Canzoni come DEAD e PLAY WITH FIRE segnano già una transizione per quella che è la seconda parte del disco: i temi diventano più riflessivi e allo stesso tempo i beat rimangono ballabili, citando la scuola old school americana nei ritmi e stili del chorus. (Tra le note che mi sono fatta riguardo PLAY WITH FIRE ho trovato «bellissimo panning», per i sound-nerds come me). Sempre nel lato A troviamo anche quel singolo-icona che è MAZZA, con una magnifica collab con  A$AP Rocky - collaborazione felicissima, che trova un accordo spaziale tra mondo americano e britannico.

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Arriviamo al lato B, il soft one, che poi di soft ha solamente i ritmi. I testi, infatti, sono molto spessi e consistenti, ci portano sempre più vicini ai baratri vissuti da slowthai. In singoli come i tried troviamo il verso «I tried to take my life», che viene a confermare i dubbi che mi erano emersi in MAZZA con la frase «suicidal tendencies, what's up, man?». In focus, di cui mi sono follemente innamorata, troviamo altre sfumature che arrivano dalla scuola americana e ci fanno ballare questa ballad con grande gioia.

Muovendoci verso la fine del lato B il tono va ad incupirsi, sia nei testi che nelle melodie, senza però andare ad optare per basi musicali che scadono nel banale o nel deprimente pesante. termspush ne sono la dimostrazione, con un pezzo total pop e una ballad quasi acustica che ci fanno rimuginare anche il saluto non corrisposto col vicino di banco alle elementari. Fino ad arrivare alla fine del party con la batosta finale, o quasi, rappresentata da feel away, pezzo che ho cercato di evitare come la peste perché dal titolo e da Blake ne immaginavo già la tristezza. E poi ho deciso di superarmi e ascoltarla, trovandomi incatenata a questa canzone e ai ricordi che mi fa affiorare. (Posso dire, infatti, che grazie a questa collaborazione ho deciso di smettere di ignorare James Blake). In realtà l'album viene chiuso da adhd che ha comunque uno spessore non indifferente sia nel sound che nel testo, soprattutto per la parte di stacco da calmo ad aggressivo.

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Una cosa interessante di slowthai è che oltre essere l'attuale enfant terrible della scena britannica, troviamo in questo album un raffinato citazionismo, smorzato da una forte nota sarcastica. Ad esempio, i videoclip usciti per presentare l'album richiamano moltissimi film (come American Psycho, Scary Movie Friday 13) - questo consente quindi di facilitare l'impatto dei testi con la parte visiva. Sicuramente l'esempio lampante lo troviamo in nhs dove l'artista per sdrammatizzare il percorso doloroso per arrivare ad una solida(?) self-confidence balla su un castello di carta igienica.

Questo album e tutto ciò che ci gira attorno mi ha fortemente emozionata (non succedeva da un bel po'!). Per questo ho deciso di dare un bel 9 all'artista barbadoreno-irlandese. Sicuramente si merita un grande chapeau per l'impegno nel suo percorso introspettivo e la capacità di ridarlo nei suoi testi. E ribadisco, sicuramente devo ringraziarlo per avermi fatto apprezzare Blake. Inoltre, credo che questo album possa essere apprezzato anche dai non amanti del mondo rap, quindi why not. Provate e fatemi sapere.