First Two Pages of Frankenstein The National
7.5

L’inglese è una lingua molto specifica che non lascia spazio a troppe interpretazioni. Per esempio, esistono varie espressioni per il verbo “guardare”, ognuna da utilizzare con un preciso intento. Diventa tremendamente complicato creare significati sotterranei, seconde possibilità di lettura. Allo stesso tempo l’inglese però consente di costruire e giocare con i termini in un modo intraducibile in italiano. Come Once Upon a Poolside. C’era una (volta) una piscina è il prologo, lo svolgimento e il fine del nono album dei National.

Si riparte dal principio, dal 2001 e dal batterista Brian Devendorf appoggiato al bordo della piscina nella cover del primo album. Matt Berninger, dopo la sospensione del tour di I Am Easy To Find, è entrato in un periodo difficile. I riflessi della salute mentale del frontman sono stati proiettati nella scrittura e proprio il blocco e le pagine bianche hanno allontanato i membri della band. I National, da uno dei momenti più critici della loro carriera, sull’orlo dello scioglimento, hanno realizzato un disco personale che si riavvicina alle loro radici, a quello stile che prendeva le mosse dal folk e si spostava nel territorio del rock. Hanno deciso di iniziare da un pianoforte, dalle backing vocals di Sufjan Stevens e dalla depressione di Matt che non sopporta più il vuoto di stomaco prima di salire sul palco e se canta, lo fa solo perché deve.

This is the closest we've ever been
And I have no idea what’s happenin'
Is this how this whole thing is gonna end?
This is the closest we've ever been

Ph. Gosh Goleman

First Two Pages of Frankenstein, come avviene per la maggior parte degli album, ha due inizi: uno è quello della tracklist, l’altro è quello effettivo, ovvero la prima traccia scritta. Tropic Morning News è stata la fine del blocco e il segnale che c’erano le basi per ricominciare. Le parole del titolo sono di Caron Besser, moglie di Matt: un’espressione inventata per descrivere lo scrolling sul cellulare delle notizie, un’attività – o una scusa - con la quale ci si isola. Caron ha avuto un ruolo decisivo nell’abbattere il muro e ha collaborato alla scrittura di alcune delle canzoni dell’album in modo non convenzionale. Biglietti e frammenti di versi lasciati in giro che hanno ispirato Matt Berninger. Tropic Morning News risente, sia a livello musicale che testuale, di un rinnovato bisogno di suonare e fare musica. Lo si percepisce dal cantato melodico, ma soprattutto dalle frasi di chitarra elettrica, vera protagonista del brano.

Un’altra canzone imprescindibile per comprendere il sentiero tracciato dalle undici tracce è Your Mind is Not Your Friend, una delle due in cui compare - appena percettibile - la voce di Phoebe Bridgers. Ancora il pianoforte, ma stavolta accompagnato dagli archi della London Contemporary Orchestra. Matt parla del proprio malessere mentale e si astrae. Diviso in due, testa e corpo, dove l’una prende il sopravvento sull'altro plagiandolo e trasportandolo nell’oscurità. Una ballata lenta che ha il sapore di una presa di coscienza, frammentaria ed evocativa come i versi tratti dalle prime due pagine del romanzo di Mary Shelley. Come raccontato dal frontman, prendere in mano un libro qualsiasi è stata una strategia per superare il blocco dello scrittore. È emblematico che proprio Frankenstein, romanzo che parla di innocenza e senso di colpa, sia stato uno dei punti di partenza.

ionicons-v5-c

First Two Pages of Frankenstein è anche un album pieno di oggetti. Gli arpeggi di chitarra e la voce roca e vissuta proiettano immagini nella mente dell’ascoltatore che si trova circondato da scaffali stracolmi di qualsiasi cosa: se il romanzo di Mary Shelley non appare fisicamente, le macchine del ghiaccio, gli orologi da guardare senza motivo (Ice Machines) e tutta la sfilza di roba da dividere citata in Eucalyptus, arredano una stanza vuota. Proprio il terzo singolo estratto ci permette di affrontare un altro aspetto fondamentale. La crisi della propria relazione amorosa, costruita e immaginata da Matt in numerose tracce, è la metafora sul quale si regge tutto il disco. Un modo per raccontare le difficoltà della band e del componente che più ne sente il peso sulle spalle.

Eucalyptus, terzo singolo in cui le chitarre elettriche hanno un ruolo primario, racconta di un divorzio e dell’umiliante spartizione degli oggetti che fino a quel momento la coppia ha condiviso in casa. Il sound è quello dei National di High Violet (2010). New Order T-Shirt riporta il tempo ancora più indietro, al cantautorato ricercato di Sad Songs for Dirty Lovers (2003) qui mescolato al tappeto sonoro etereo e nostalgico di Trouble Will Find Me (2013). D’altronde la canzone è un collage di ricordi, alcuni romantici e altri più divertenti, di Matt e sua moglie. Tutto ruota ancora attorno agli oggetti - come suggerisce il titolo - che in questo caso diventano dei cimeli e dei correlativi oggettivi dei sentimenti.

ionicons-v5-c

Si è parlato di questo nono album dei National come di un riassunto della loro carriera, un punto da cui ripartire per esplorare nuovi territori. Era logico attendersi un barlume, una luce su possibili strade future. Ci si aspettava soprattutto molto dai featuring. La sensazione che si avverte però nella maggior parte dei casi è che si sia trattato di un supporto più che di una reale collaborazione. Il sussurro inconfondibile di Phoebe Bridgers in This Isn’t Helping è di certo più percettibile rispetto a quello di Your Mind is Not Your Friend, ma il brano musicalmente funziona meno, nonostante l’accuratezza del testo nel descrivere il sentimento di oppressione provato dalla coppia.

Diverso il discorso per quanto riguarda The Alcott, forse il traccio più atteso del disco vista la presenza ingombrante di Taylor Swift. Il racconto di un incontro chiarificatore, del tentativo di due amanti di ricominciare una relazione. L’intesa è evidente nel bridge e nel modo in cui le due voci si incastrano o cantano in simultanea. La formula è quella che si ripete in quasi tutto il disco, pianoforte e batteria appena accennata e la cui presenza cresce col passare dei minuti. Resta un po’ di amaro in bocca per dei testi che avrebbero meritato esperimenti più arditi, come quello di Weird Goodbyes con Bon Iver. Il featuring migliore che, non si sa per quale oscura ragione, è stato tagliato dalla tracklist.

I colpi di scena si esauriscono in qualche nota di chitarra elettrica o nella batteria in stile Alligator (2005) di Grease in Your Hair e Alien. Sì, Brian è uno dei grandi assenti, insieme a suo fratello Scott, il cui basso non ci regala linee da vuoto in pancia. First Two Pages of Frankenstein racchiude gran parte del loro passato musicale. L’ultimo capitolo si discosta tematicamente dal resto: Send for Me è un brano che Matt ha dedicato a sua figlia, un vademecum emozionale, un messaggio d’amore incondizionato al ritmo di una batteria elettronica e colorato da un suono orchestrale pieno nel quale si riesce a percepire ogni singolo dettaglio, dal pianoforte alle chitarre. Uno dei brani più riusciti che regge il paragone con l’altrettanto emozionante opening.

First Two Pages of Frankenstein ripaga i tre anni di attesa ed è una testimonianza del tragitto personale e collettivo di Matt e soci nel ritrovare l’ispirazione e l’equilibrio. Le tracce scorrono senza intoppi, a ogni ascolto si notano dettagli inediti e si entra più in confidenza con i ragionamenti e i ricordi di Matt Berninger. I National dopo quattro anni sono tornati con un disco omogeneo, quasi fin troppo, che rassicura gli ascoltatori medi e coccola i fan rimanendo in una comfort zone cantautorale. Un lavoro che racchiude la band del presente e del passato ma che, se non per la delicatezza accurata dei testi, lascia intravedere troppo poco dei possibili scenari futuri.

Ph. Gosh Goleman