NEVER ENOUGH Turnstile
8.0

Che un gruppo hardcore possa aver generato un così ampio dibattito intorno a un disco - due dischi, perché il discorso inizia da GLOW ON (2021) - è già abbastanza incredibile, a prescindere dall’album in questione. Ma NEVER ENOUGH, ultima fatica dei Turnstile, ha davvero spaccato in due l’universo HC, diviso tra chi esalta il superamento di barriere stilistiche evidentemente troppo strette per il quintetto di Baltimora e chi invece si limita a liquidare la questione con affermazioni a scelta tra “venduti”, “questo non è hardcore” e via dicendo.

I Turnstile, foto promo della band, 2025
I Turnstile | Credits: Atiba Jefferson

Trovo sia molto interessante partire proprio da questo dibattito per approcciarsi all’ascolto di NEVER ENOUGH, poiché commenti e discussioni di questo tipo sembrano evidenziare una certa diffidenza nei confronti di chi, da questo genere musicale, parte per atterrare altrove. I Turnstile sono sicuramente tra questi e lo hanno fatto almeno dal precedente GLOW ON, che li faceva salire ad un livello superiore di visibilità, notorietà ed evidentemente responsabilità, diffondendo il termine “hardcore evolution” tra la critica e il pubblico per descrivere un sound duro, acrobatico, diretto, ma capace di virate decise e repentine verso atmosfere ai limiti dell’ambient e dell’elettronica più minimale. Un sound, tuttavia, che in moltissimi si rifiutarono di chiamare e riconoscere come hardcore.

Quattro anni dopo il dibattito si riaccende, se possibile in termini ancora maggiori, nel bene e nel male. L’8 aprile il primo singolo, NEVER ENOUGH, comincia a lanciare indizi sulla direzione del nuovo lavoro: molto simile a GLOW ON, con tanto di paragoni (giustificati) sulla somiglianza con MISTERY, opening track proprio del predecessore datato 2021. Le successive anteprime, SEEIN’ STARS/BIRDS e LOOK OUT FOR ME, non fanno altro che polarizzare l’opinione di fan e critica: da una parte i delusi, le cui speranze di un ulteriore passo avanti (o sarebbe meglio dire indietro?) da GLOW ON sembrano destinate ad essere definitivamente disattese; dall’altra coloro che nel sound ancora più dreamy dei nuovi singoli ci sguazzano con piacere.

Il cantante dei Turnstile sul palco del Primavera Sound 2025
Il cantante dei TURNSTILE, Brendan Yates, in concerto al Primavera Sound 2025, Barcellona | Credits: Renato Anelli

Ma quindi come suona NEVER ENOUGH? Risposta breve: benissimo. Risposta un po’ più lunga: eccola qua.

L’hardcore è uno dei pochi generi la cui connotazione, ancora oggi, trascende l’aspetto esclusivamente musicale, e su questo possiamo stare tutti tranquilli: i Turnstile fanno ancora parte della scena, e lo hanno dimostrato anche durante l’attesa per questo nuovo album. Prendo giusto gli esempi più eclatanti, ovvero il concerto di beneficienza per la Health Care for the Homeless dello scorso 10 maggio a Baltimore, capace di raccogliere più di 35.000 dollari destinati alla comunità della loro città; e la cover story di Pitchfork dedicata alla band, in cui l’attaccamento alla propria comunità (intendendo sia la dimensione cittadina che quella della scena) è quantomai evidente.

Sperando di aver fugato questo dubbio, parliamo di musica. È un dato di fatto che il passo da GLOW ON non sia dei più lunghi, e qui risiede uno degli aspetti più controversi da giudicare. La prima metà del disco è simile, molto simile a GLOW ON. Quasi sembra di ascoltare versioni alternative degli stessi pezzi, dal già citato binomio NEVER ENOUGH/MISTERY passando per le ritmiche da reggaeton dopato di DREAMING che ricordano DON’T PLAY, o il primo momento di distensione dell’album, I CARE, un po’ una nuova versione di NEW HEART DESIGN.

In questi casi la somiglianza è talmente lampante che risulta impossibile non mettere a confronto i due lavori, quasi canzone per canzone. Ma proprio un esercizio come questo può far emergere tutti i passi in avanti di NEVER ENOUGH rispetto al proprio predecessore: la produzione di Brendan Yates, frontman e voce della band, conferisce una spaziosità e un respiro mai raggiunti prima, capaci di valorizzare sia i momenti più spinti che quelli di rilascio della tensione, mantenendo coerenza e solidità lungo tutto l’arco dell’album, anche e soprattutto quando la dinamica dei pezzi passa da forte a piano (o viceversa). E così i chitarroni marchio di fabbrica della band lasciano il giusto spazio tanto ai synth e ai fiati (come nel caso di DREAMING) che alla batteria e alle percussioni, mentre il basso di Franz Lyons è la componente che avvolge e amalgama il tutto. La voce di Yates, sempre immersa in un mare di riverbero e qui trattata in nuove ed entusiasmanti soluzioni, è la costante che trascina ogni pezzo, collegando ogni sezione dei brani del disco con naturalezza, seppur non uscendo poi troppo dalla strada battuta da GLOW ON.

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Una delle novità più rilevanti di NEVER ENOUGH riguarda gli arrangiamenti, in particolare nel dialogo tra parti con dinamiche molto diverse tra loro. In questo album i Turnstile si prendono tutto il tempo per decomprimere, concedendosi segmenti anche molto lunghi (come la meravigliosa coda di LOOK OUT FOR ME, un vero momento da rave da cameretta) in area ambient, elettronica decostruita e glitchy (la produzione aggiuntiva di A.G. Cook in DULL è inconfondibile), o momenti simil-Police come in SEEIN’ STARS. Ma parlando di escursioni inaspettate è impossibile non citare la coda di SUNSHOWER, che sorge da un minuto e mezzo di puro punk-hardcore e trasforma il pezzo nel momento più catartico del disco, grazie ai morbidi pad che sostengono un dolce monologo di flauto affidato al genio di Shabaka Hutchings, mente dietro ai Sons of Kemet ed ex membro dei The Comet is Coming (ricordiamoci che nei credits dell’album figurano anche Dev Hynes aka Blood Orange, Leland Whitty dei BadBadNotGood, Hayley Williams dei Paramore e Faye Webster, giusto per non farsi mancare niente).

Momenti di pace e distensione come questi sono disseminati lungo tutto il corso di NEVER ENOUGH, e ce n’è un enorme bisogno. Non tanto per la durezza di chitarroni e compagnia bella, ma per il diffuso e imperante senso di sconfitta e di chiusura che pervade praticamente tutto il disco. Se la traccia di apertura oscilla tra il bisogno di amore e un costante senso di allerta (“Never let your guard down / Anywhere you go”), SOLE e successivamente DULL esprimono un senso di solitudine sia cercata che subìta. Il progressivo abbassamento nella capacità di comprendere e sentire qualcosa raggiunge il suo apice in SUNSHOWER, che si conferma il centro nevralgico dell’album anche a livello testuale:

“My head is overjoyed

And this is where I wanna be

But I can't feel a fuckin' thing”

I Turnstile, foto promo della band, 2022
I Turnstile nel 2022 | Credits: Jimmy Fontaine

Un senso di disorientamento reso con immagini di solitudine e oscurità perdura fino a BIRDS, prima vera luce di speranza in disco fin troppo capace di nascondere la propria cupezza. La ripetizione dei versi “Finally I can see it / These birds not meant to fly alonе” segnano una presa di consapevolezza importante se confrontata con il resto dell’album, in particolare con l’antitetica LIGHT DESIGN, la cui immagine più forte è “I hold my head and cry”.

La conclusiva MAGIC MAN rimane sospesa tra speranza e una disillusa malinconia, affidando a pad eterei parole che accennano tanto ad un bisogno di resistere quanto al continuo rischio di perdere la presa con la mano simbolica che ci trattiene dall’essere portati via dal vento, nel bene o nel male:

“Suddenly, a spark in the night when you're tired of the load

Loved you from the start when a place in your heart was a hole

Never be afraid, just remember what he said when you go

Always in the wind, while you're slipping through the hands that you hold”

Turnstile live @ Circolo Magnolia, Segrate (Milano) 19/06/2024
I Turnstile in concerto al Circolo Magnolia di Segrate (Milano) nel 2024 | Credits: Maria Laura Arturi

L’esperienza di ascolto di NEVER ENOUGH è inevitabilmente priva dell’effetto sorpresa che per molti ha avuto il primo impatto con il predecessore. Nemmeno chi scrive è immune da tali dinamiche, ma più volte ragionando su questo nuovo lavoro dei Turnstile, da solo o in compagnia, ho pensato che se fosse uscito prima di GLOW ON probabilmente staremmo gridando al capolavoro. Certo, ha i suoi anelli deboli (ho un problema irrisolto con i fiati di DREAMING e con un pezzo come TIME IS HAPPENING, che a oggi pare preso e messo lì), ma altrettanti ne aveva anche l'album precedente. Ciò che mi sento di poter affermare con certezza è che siamo di fronte ad una band che sta dando prova di maturità e consapevolezza che si traduce in una sicurezza e un controllo sul proprio percorso da far impallidire chiunque, indipendentemente dal genere. E se quel genere non fosse hardcore? Pazienza, o davvero finiremmo a “ballare di architettura”.