Visions of a Life Wolf Alice 29 settembre 2017
10.0

Mentirei se dicessi di essere un’ammiratrice di lunga data dei Wolf Alice. Il gruppo londinese non è mai stato in grado di stuzzicarmi a tal punto da farmi diventarne una fan accanita. Questo fino al 29 settembre.
Un giorno di agosto, trovo un nuovo video sulla home di YouTube. Si chiama “Don’t Delete the Kisses” ed è la prima canzone estratta dal secondo album Visions Of A Life che mi capita di ascoltare. Il video è ambientato nella metropolitana londinese, dove si susseguono scene di vita quotidiana di una giovane coppia tra baci appassionati, litigate furiose e kebab notturni. Veloci come i vagoni della metro, i fotogrammi si rincorrono guidati da una batteria solida e una voce eterea, soffice come un bacio. Ci vuole talento per dipingere la metro di Londra come un posto romantico. Eppure, tutto d’un tratto, vorrei essere lì, seduta al posto della protagonista per vivere quella favola così dannatamente realistica. Il primo assaggio di Visions Of A Life e già non posso farne a meno.

A due anni di distanza dall’esordio con My Love Is Cool, il quartetto inglese non si stacca dall’etichetta indipendente Dirty Hit, che ha firmato i lavori di The 1975, Superfood e The Japanese House. Ancora una volta, i Wolf Alice confermano di essere uno dei pochi gruppi indie inglesi a fare uso pesante delle chitarre. Rock is not dead, giusto?

In Visions Of A Life il rock è vivo e vegeto. E giusto per sottolinearlo, la band londinese ha rilasciato un primo singolo che va persino oltre il concetto di rock. Uscito il 12 giugno tramite BBC Radio 1, “Yuk Foo” è proprio quel pezzo che ti fa esclamare “ma che c…”. Non è di certo il singolo che ci si aspetterebbe di sentire in radio. Anzi, ad un primo ascolto, il pezzo lascia completamente senza parole. Così come suggerisce il gioco di parole nel titolo, il brano è un viscerale “mavaffa” nei confronti di qualcuno talmente vuoto sentimentalmente da “annoiare fino alla morte” la frontwoman Ellie Rowsell e tutti quelli che le stanno intorno. In “Yuk Foo” viene dipinta la rabbia cruda che, in uno slancio collettivo di anima e corpo, si manifesta senza filtri né interruzioni. Se non è una mossa azzardata questa, allora alzo le mani. Eppure, in tutta la sua stravaganza e distorsione, la canzone funziona, in quanto è un’anteprima intrigante che spinge a voler sapere che piega prenderà l’album.

Heavenward” è la traccia che apre Visions Of A Life. L’intro di chitarre ricorda delle onde lontane che si avvicinano sempre di più all’ascoltatore, per poi infrangersi contro una scogliera: ecco i Wolf Alice in tutto il loro splendore. La voce di Ellie è echeggiante e delicata mentre ricorda la perdita di una persona cara con le parole “I'm gonna celebrate you forever / You taught us things we all should learn / Yeah, I'm gonna celebrate you forever / And long to see you when it's my turn”.  Già dalla prima canzone si intuisce di avere per le mani un album che non passerà inosservato. Visions Of A Life tiene un occhio puntato sulle origini alternative del gruppo di Camden, mentre l’altro mira a sperimentare nuove varianti sonore. E man mano che si procede con la tracklist, il desiderio di unire i due stili risulta sempre più evidente.

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Per non essere troppo oscuri e pallosi, i Wolf Alice reinterpretano la prospettiva di un personaggio del film Heathers tramite il loro terzo singolo “Beautifully Unconventional”. Al primo ascolto, nella testa mi era scattato un pensiero tanto assurdo quanto azzeccato: sembra una canzone delle Runaways. Per chi non lo sapesse, le Runaways sono state una rock band tutta al femminile degli anni ’70. Nonostante il gruppo sia durato solo pochi anni, il contributo delle Runaways alla storia della musica è stato massiccio per due motivi. Uno: dalle ceneri della band è nata la carriera di Joan Jett, quella di “I Love Rock’n’Roll” (che, in realtà, sarebbe una cover dei The Arrows, ma a noi piace fatta da lei); due: le Runaways furono le primissime donne ad instaurare un gruppo hard rock che desse del filo da torcere ai maschioni capelluti del tempo.

Personalmente, ho rivisto quella personalità nella frontwoman dei Wolf Alice. La Rowsell è un’artista che sa esprimere il lato romantico, tutto fairy lights e baci rubati, ma che non rinuncia alla sua personalità graffiante da pantera da palcoscenico. Lo dimostra tramite il secondo singolo “Don’t Delete The Kisses”. La traccia è un sincero spaccato sulla condizione di chi vuole amare, ma è frenato dalla propria insicurezza. Guidati dalla mano ferma del batterista Joel Amey, gli altri componenti del gruppo ne approfittano per giocare con le manovelle dei synth, creando un mix perfetto tra indie rock tradizionale ed elementi elettronici velati. Appoggiato ad un soffice strato strumentale, il testo esplora i piccoli difetti umani, i semplici desideri che rendono il quotidiano speciale e, per finire, la speranza di provare un sentimento che va oltre le mille domande e tutto quel “self-doubt”.

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Tutti i dubbi sulla bellezza di Visions Of A Life tacciono con l’ascolto di “Planet Hunter”. Questo maestoso brano mi ha colpita fin da subito perché ogni parte è diversa dalla precedente. L’inizio voce-chitarra, che richiama le origini acustiche del gruppo, sfocia nel primo ritornello, in cui si uniscono i synth e un coro più voluminoso. La batteria esplode nella seconda strofa e rimane stabile, fino al secondo ritornello, completamente diverso dal primo e più compatto. Finalmente, si risvegliano le chitarre pesanti di Ellie e Joff che, in un tripudio di distorsione, chiudono la traccia in un effetto sfumato da atmosfera interplanetaria. E a proposito di stelle e pianeti, la sesta traccia “Sky Musings” è ispirata da un flusso di coscienza della cantante durante un lungo viaggio. Il cantato sussurrato e la melodia angosciante la rende senz’altro una delle canzoni più accattivanti dell’album. Nel testo, la Rowsell coglie l’occassione per riflettere sulla condizione di non avere la vita sotto controllo, perdendosi in pensieri apocalittici e dialoghi deliranti con la propria mente: “Is it the pressure cos I’m out of my mind / A compressed lack of oxygen making me high?”.

La distorsione domina la seconda parte della tracklist in “Formidable Cool”, “Space & Time” e “Sadboy”. Il basso di Theo Ellis non è mai stato così presente (e sexy!) come in “Formidable Cool”, brano apparentemente ispirato dal libro The Girls di Emma Cline. In “Space & Time”, i Wolf Alice esplorano il tema dell’ansia, tornando allo stile punk rock allo stato brado. Sulla stessa linea si pone l’imprevedibilità di “Sadboy”. Insieme ad un vivace giro di batteria iniziale, il brano presenta elementi inaspettati, come la seconda parte della canzone assolutamente fuori controllo.

Dopo averci catapultati in un locale sudaticcio underground, con “St. Purple & Green” veniamo trascinati all’interno di una chiesa abbandonata in mezzo ai boschi. Con un emozionante inizio in stile gospel, i Wolf Alice svelano il loro lato gotico, richiamando il romanticismo visivo della copertina dell’album. Ne esce una traccia dalle sfumature violacee e un outro spaventosamente poetico. A due canzoni dalla fine dell’album, trovo la traccia più stimolante di Visions Of A Life. Tra scale disneyane e la chitarra che sembra un’arpa, “After The Zero Hour” rapisce completamente la mia attenzione. Come in un incantesimo, la voce cristallina e pungente mi fa sentire come la protagonista della canzone: “Adventurous and sensuous, as high as the planes above”. La distorsione tace per questi 3:24 minuti dedicati alla sperimentazione vocale che proietta verso nuove dimensioni. Anzi, verso nuove visioni.

Com’è giusto che sia, il brano di chiusura è “Visions Of A Life” ed è la legittima sintesi di tutto quello che sono i Wolf Alice. In quasi 8 minuti di canzoni, c’è spazio per uno stile cupo alla PJ Harvey, il caos gracchiante, lo scream alla Hayley Williams e un assolo spaziale a metà traccia. Ad un certo punto, sotto i colpi di una batteria imponente dai toni lugubri, il testo diventa uno slogan da cantare a squarciagola. Infine, i Wolf Alice scelgono di terminare in un sussurro, dove i versi “Heart in my, human heart in my hand / Taking it back, eyes straight ahead / Cut it in half, better than dead” ci accompagnano delicatamente verso il silenzio e la fine di questo incredibile viaggio.

Descrivere un album come questo è un’impresa titanica. Potrei dedicare giorni e giorni per cercare di riportare al meglio le sfumature di Visions Of A Life, ma ancora non sarebbe abbastanza. Questo perché ogni nota mi ha suscitato un’emozione specifica, a volte quasi irrazionale e inspiegabile da riportare a parole. La parte strumentale è curata nei minimi dettagli e ogni strumento ha lo spazio necessario per esprimersi al meglio. La semplicità dei testi è disarmante e, a tratti, poetica. Mi sono immedesimata diverse volte nelle situazioni descritte dalle parole: dal romanticismo della favola quotidiana alla rabbia effervescente, ho accolto la visione della vita del gruppo, cercando di interpretarla in chiave personale. Dalla delicatezza dell’acustico al retrogusto amaro del distorto, Visions Of A Life racchiude tutte le personalità esplosive di questa band che non ha più nulla da dimostrare. Classifiche o meno, per me non ci sono dubbi: il disco è talmente completo da essere impeccabile. E i Wolf Alice? Definirli IL miglior gruppo inglese al momento sembra un po’ azzardato, ma a noi il rischio è sempre piaciuto.