12 ottobre 2017

Jeremy Corbyn-Grime: il binomio che potrebbe ridefinire il dibattito politico

Del risultato delle ultime elezioni politiche nel Regno Unito (dello scorso 8 giugno) si è parlato per settimane. Parlamento senza maggioranza, «coalizione del caos» e simili. Ci si continua a chiedere quale sia il progetto dei Tory per il Paese – ormai da diverso tempo a questa parte – ma, soprattutto, ha “sorpreso” il risultato del Labour di Jeremy Corbyn. Tuttavia, il dato realmente sorprendente è stato il grande supporto dato a Corbyn dalla scena grime, poiché questo binomio potrebbe ridefinire il dibattito politico.

Cos’è il grime? E perché ha scelto di sostenere Jeremy Corbyn? Secondo Wikipedia, il grime è un genere musicale nato a Londra nei primi anni 2000, mescolando elettronica, UK garage, hip-hop ed anche rap. Questa è la sostanza sonora, ma il genere non ha avuto da subito grande diffusione. All’inizio l’unico canale di distribuzione – se così si può definire – sono state delle stazioni radio pirata.

L’elemento «pirata» è il primo a suggerire dove cercare i nessi tra la scena grime e Corbyn. Entrambi sono partiti da posizioni estremamente minoritarie, per poi risalire l’«underground» fino alla superficie. E non è un caso che sia stato proprio Corbyn a presentare Stormzy, artista grime, quando lo scorso settembre ha vinto il “Solo Artist Of The Year” ai GQ Awards.

https://www.facebook.com/JeremyCorbynMP/photos/a.468063663871.262492.330250343871/10155736529418872/?type=3&theater

Proprio in quell’occasione il leader del Labour ha scritto sulla sua pagina Facebook, parlando di Stormzy, che nonostante la drammatica situazione politico-sociale, negli ultimi tempi sono comunque emersi «artisti incredibili». Incredibili, «proprio come Stormzy – ha proseguito Corbyn – il quale, anziché firmare per una grande etichetta, ha usato la propria per scalare le classifiche e cambiare il volto della musica in questo Paese».

«È sempre rimasto fedele alle sue radici ed ai suoi valori», ha concluso Corbyn. E sembra si riferisca a sé stesso, lui che dal 1984 siede nella Camera dei Comuni e non ha spostato di un millimetro la sua prospettiva per il Paese.

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Non si tratta solo di questo. Jeremy Corbyn è stato eletto due volte segretario del Labour, con una larga maggioranza ogni volta. Questi risultati gli sono costati una sistematica campagna mediatica (e non solo) di diffamazione, di cui ci aveva già parlato Jason Williamson degli Sleaford Mods, culminata con il tremendo attacco da parte dell’allora primo ministro David Cameron. Tremendo per una democrazia, s’intende.


Fino al 2015 ed alla sconfitta di Ed Miliband nelle elezioni politiche, del resto, il Labour era stato il simbolo del «de facto one-party system», quello del blairismo, cioè quello indifferente. Indifferente dai Tory, per cui non valeva la pena spendere il proprio voto o, peggio, andare proprio a votare.

Su quest’ultimo punto si è basata l’”intervista” di Jme a Jeremy Corbyn. Jme è un altro degli artisti di punta della scena grime, con un’etichetta tutta sua, la Boy Better Know. Insieme con lo stesso Stormzy, è stato uno dei principali sostenitori di Corbyn alle ultime elezioni politiche.

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Jme definisce Corbyn «genuino» e gli chiede cosa cambierebbe se il Labour vincesse le elezioni – prima o poi. Corbyn risponde presentando i problemi e le soluzioni già proposte nel manifesto 2017. Tralasciando le questioni prettamente politiche – lo stesso Corbyn dice che «il cambiamento politico non viene sempre dai politici» – quello che ci interessa è il rapporto instaurato tra musicisti o una scena in particolare ed un movimento politico. È evidente che, come detto prima, il nesso più rilevante tra Corbyn e il grime sia la sostanziale identità del percorso da posizioni minoritarie ad un respiro più ampio, senza cambiare i propri connotati.

Dall’8 giugno sono passati circa quattro mesi, ma l’esperienza grime-Corbyn non si è esaurita con gli exit poll. E non è neanche qualcosa di nuovo, perché l’idea dell’intervista era già stata sviluppata da Killer Mike dei Run The Jewels, quando nel 2016 ha sostenuto Bernie Sanders alle primarie presidenziali del Partito Democratico statunitense.

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Cosa significa tutto ciò per la politica, ma anche per la musica? Significa che questi sono i prodromi per la creazione di nuove forme di comunicazione politica (come l'intervista-dialogo, ad esempio), nonché, all’inverso, un sempre maggiore impegno da parte degli artisti. Questi ultimi, come molti altri, si sono tenuti lontani da certi ambienti finché non sono emersi personaggi «umani». Del resto ancora nel 2016, Skepta, in Shutdown, fa presente che «we don't listen to no politician».

Non si possono citare i semplici endorsement tra i precedenti, perché sono forme inattive di partecipazione al dibattito e spesso non sono frutto di ragionate prese di posizione, bensì un semplice accodarsi al coro. Nemmeno la (finta) candidatura di Kanye West alle presidenziali 2020 e ovviamente neanche i pompini promessi da Madonna agli elettori della Clinton. Promessa non mantenuta, peraltro. Si tratta di questo:

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Eppure quella di Killer Mike rimane un'esperienza isolata, mentre il #grime4Corbyn è un movimento collettivo di una scena musicale. Non è un caso che Jeremy Corbyn a Glastonbury (ormai viene invitato abitualmente), quest'anno, abbia presentato proprio i Run The Jewels. Il nesso RTJ ci racconta una sostanziale identità tra le produzioni musicali e le vedute politiche coinvolte in questo processo di ridefinizione del dibattito politico e delle campagne elettorali, che è solo agli inizi.

E per quanto riguarda l’Italia? Come sempre siamo ancora lontani anni luce. Fedez che compone l’inno del Movimento 5 Stelle è l’unico esempio e non rientra affatto nei parametri delineati. Per l'Italia non si può parlare neanche di "industria musicale", figuriamoci "scene", ma questa è un'altra storia.