
Esiste modo più azzeccato di introdurre un movimento così legato alla tecnologia e futuri distorti se non attraverso il modello di chatbot più utilizzato ai giorni nostri? Reggetevi forte perché sta per tornare Stranger Things, con la sua ultima stagione a chiudere un decennio che ha segnato la storia di uno dei sottogeneri più iconici dell'intero panorama musicale: la synthwave.
Piccolo disclaimer: questo articolo contiene (pochi, a onor del vero) spoiler sulla trama, ma confidiamo che la maggior parte di voi sia al passo, pronta ad immergersi nella stagione finale.

La storia si svolge a Hawkins, cittadina immaginaria nello stato dell'Indiana, Midwest degli Stati Uniti: quel limbo in cui si è abbastanza vicini alla parte più sviluppata del paese ma anche abbastanza lontani da far sì che l'agricoltura e la ruralità abbiano un ruolo di primissimo piano. Siamo, manco a dirlo, nel decennio ricordato con maggiore nostalgia per il suo passaggio da una vita genuina all'insegna dei valori e dei bisogni primordiali dell'uomo a quella dominata dalla tecnologia, con i walkie talkie, le telecamere e i mangiacassette a spopolare nella cultura di massa. È autunno, c'è la nebbia e le scene al buio, con giochi di ombre, riflessi e luci soffuse la fanno da padrone.
Dopodiché abbiamo un esperimento scientifico - mantenuto segreto per decenni - che ha causato la scoperta e l'interazione con una dimensione parallela abitata da creature sovrannaturali mutaforma, legate in qualche strano modo a doppio filo agli esseri umani e alla loro natura. L'amicizia al centro di tutto e diversi cuori infranti ad ammorbidire una trama grottesca e distopica, come un briciolo di speranza in un mondo ormai segnato e diretto a gonfie vele verso l'oblio.
Trama e ambientazioni sono una lettera d'amore da parte dei Duffer Brothers non solo agli anni '80 - grazie a oggetti opportunamente posizionati o impugnati, agli indumenti e alle hit nella colonna sonora -, ma anche alle specifiche opere del cinema sci-fi horror dello stesso decennio, con particolare riferimento a quella che è una delle figure chiave di tutto l'immaginario synthwave: il regista statunitense John Carpenter.

Se per lui il successo è stato quasi immediato, seppur graduale, lo è diventato ancor più nei decenni successivi quando colleghi e vari addetti ai lavori hanno iniziato a mostrare sempre più spesso la propria ammirazione attraverso vere e proprie citazioni nei propri progetti. Le opere di John Carpenter sono state la perfetta rappresentazione cinematografica di un genere letterario noir che andava sviluppandosi da Edgar Allan Poe fino a H. P. Lovecraft, pioniere del sottogenere letterario noto come weird fiction, in cui sono condensate influenze horror, fantascientifiche e fantasy.
Ma non solo. Il percorso di formazione e crescita di Carpenter è costellato di incroci con altri innumerevoli personaggi che contribuiranno proprio alla definizione dell'universo synthwave che avrebbe poi dato i natali al genere musicale. Alla University of Southern California Carpenter incontra infatti Dan O'Bannon con cui lavora alla sua prima opera sci-fi nel 1974, intitolata Dark Life e da cui lo stesso O'Bannon trae liberamente spunti per scritturare quella che è una pietra miliare del genere: Alien, uscito nel 1979, diventato un cult e citato innumerevoli volte in Stranger Things. Per comprendere fino in fondo l'impatto immediato della loro opera, George Lucas rimane impressionato dal lavoro sugli effetti speciali di O'Bannon in Dark Life a tal punto da convocarlo e assoldarlo per lavorare a Star Wars (1977).
Tornando a Carpenter, il vero successo arriva tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80, con alcuni dei suoi film più celebri (e più redditizi). Prima Halloween (1978) - che di fatto alimenta nell'immaginario collettivo la figura dell'assassino con il coltello -, poi The Fog (1980), Escape From New York (1981) e, soprattutto, The Thing (1982), il film da cui è senza ombra di dubbio tratta l'ispirazione per gli esseri del Sottosopra che si manifestano nel corso delle stagioni. In questo caso per Stranger Things, più che una citazione, si parla di un vero e proprio omaggio: il rapimento di Will avviene appena un anno dopo l'uscita di The Thing e nella taverna di Mike in cui i ragazzi giocano a D&D prima della sua scomparsa si vede in più scene proprio la locandina del film di Carpenter appesa alle pareti.

Ad accomunare queste opere ci sono le presenze di fenomeni paranormali, forme di vita extra-terresti, fatti e/o teorie di totale invenzione ma con una (fragile) base pseudo-scientifica che non ne esclude la plausibilità, la distopia attraverso società sul punto di fallire o già oltre ogni tipo di previsione: vi suonano per caso familiari?
Oltre all'abilità di pescare dallo stesso immaginario con idee sempre diverse e budget limitatissimi, a rendere John Carpenter una pietra miliare della synthwave c'è anche la sua propensione a comporre le colonne sonore dei propri film. Grazie al padre, insegnante di musica, Carpenter inizia sin da giovane a coltivare il sogno di comporre la propria musica e occasione migliore per sperimentare non può esserci, se non appunto per le colonne sonore dei suoi film.
E qui si arriva al vero punto di svolta per la scena synthwave: i sintetizzatori. Un non-strumento che consente di ottenere qualsiasi tipo di suono, attraverso tasti, rotelle e pulsanti vari. Il mondo intero a portata di poco più che una tastiera e invenzione che spalanca il portale - metafora manco a dirlo azzeccata - su una nuova dimensione fatta di suoni sintetici e artificiali. E proprio questo rapporto tra uomo e macchina si trova al centro di questa dimensione parallela: diventa evidente come la tecnologia possa generare un qualcosa che fino a quel momento era stato ascritto alla sola abilità dei musicisti.
L'invenzione e i primi utilizzi possono essere collocati negli anni '60 (basta ricordare che i Doors nella loro formazione ufficiale non presentavano un vero bassista, con il fenomenale Ray Manzarek a suonare una apposita tastiera con la mano sinistra), la diffusione e le sperimentazioni nei '70 - Carpenter lo usa per la colonna sonora di Dark Life nel 1974 per la loro capacità di "suonare in grande da qualcosa di piccolo" -, ma è proprio negli anni '80 che arriva il vero e proprio boom. In questo senso il pioniere è senza ombra di dubbio Giorgio Moroder, ribattezzato non casualmente il "padre della disco music" per il suo enorme contributo alla scena della musica elettronica in ogni sua accezione proprio attraverso i sintetizzatori.

Si arriva dunque alle successive due figure chiave, per tutto il movimento synthwave e ovviamente anche per la stessa Stranger Things: Moroder e Vangelis. L'artista italiano riesce per primo ad avvicinare concretamente questi nuovi suoni sintetici alla voglia della gente di muoversi al ritmo di musica, iniziando a sfornare uno dopo l'altro brani e album che avrebbero fatto la storia della disco music (ricordiamo che anche Donna Summer è di fatto un suo progetto, in grado di fare breccia nella cultura pop e nelle radio di tutto il mondo). Ma non finisce qui, perché proprio le sue doti ai sintetizzatori lo portano a contatto con innumerevoli realtà e progetti, tra cui anche alcune colonne sonore, le più famose proprio ad inizio anni '80: Scarface (1983), La Storia Infinita (1984), Megalopolis (1984, rifacimento di un colossal distopico del 1927) e Top Gun (1986).
Al pari di Moroder, anche Vangelis, compositore greco, ottiene la fama grazie al cinema e alle colonne sonore. Una in particolare, che si presta perfettamente per il nostro excursus: quella di Blade Runner (1982), film di Ridley Scott (altro regista che riuscirà a "raccontare" la synthwave come pochi altri) basato su una società iper sviluppata e composta da umanoidi in un ipotetico 2019.
A proposito di colonne sonore, quella diventata da subito iconica della serie dei Duffer Brothers è stata composta da Kyle Dixon e Michael Stein. Fino a quel momento erano praticamente sconosciuti ai più, ma dal 2009, insieme ad Adam Jones e Mark Donica, pubblicavano musica sotto il nome di S U R V I V E, un collettivo - indovinate un po' - synthwave. Il loro disco più credibile e coeso è uscito proprio nel 2016, si intitola RR7349 ed è spaventosamente allineato alla colonna sonora della serie Netflix.

Sì, ma la musica? Senza il contesto cinematografico, la scena synthwave probabilmente non sarebbe esistita perché è proprio attraverso le immagini e i proto-brani effettivamente usciti negli anni '80 che il suono synthwave è stato plasmato. Progetti in cui l'elettronica iniziava ad essere preponderante e in cui il visual aveva un certo peso si erano già visti nel corso degli anni, pensando ad esempio agli epici Kraftwerk, al collettivo italiano del Rondò Veneziano che con La Serenissima spianò la strada ai Daft Punk, i quali trovarono in Francia il terreno fertile per costruire il loro impero cibernetico.
Ma la vera svolta arriva poco dopo il 2000, quando sotto l'etichetta Record Makers (fondata in Francia, dagli AIR) un attore dallo scarso successo, sotto lo pseudonimo di Kavinsky, pubblica il suo primo EP, Teddy Boy (2006), in cui compare sulla copertina con giubbotto da baseball in pelle, capello lungo e fluente e gli occhi iniettati di sangue. Nel disco è contenuto il brano che, facendo il giro del mondo, avrebbe risvegliato quella nostalgia di chi gli anni '80 li aveva vissuti forse, al massimo, al loro termine.
Testarossa Autodrive è infatti il singolo che potrebbe essere definito come il capostipite della synthwave per come la intendiamo oggi sia grazie alla musica, ma soprattutto grazie alla rappresentazione visiva del video. Immagini digitali, una macchina sportiva (una Ferrari, in particolare), dei personaggi indefiniti e indecifrabili in lotta contro qualcosa di più grande, la polizia e i lampeggianti: nel video è lo stesso Kavinsky a morire e resuscitare per tornare alla guida della sua Testarossa. Si entra nel vivo.

Di lì a poco, la formula di Kavinsky avrebbe attirato l'attenzione dei connazionali Daft Punk che si stavano muovendo su una linea di confine sottilissima tra lo stesso immaginario e suoni più dolci, tipici del french touch. Il frutto della loro collaborazione, dopo un tour insieme e delle sessioni in studio, è Nightcall (2010), EP che consacra Kavinsky con due singoli di grande successo come l'omonima Nightcall e Pacific Coast Highway. Nel 2013 arriva addirittura una collaborazione con The Weeknd, che condivide ai tempi una certa propensione a incupire tutte le atmosfere del suo pop/R&B (e proprio grazie a questa collaborazione è molto più semplice intuire l'evoluzione della carriera dello stesso Weeknd). Ma procediamo con ordine.
Per aprire definitivamente la prima crepa degna di nota per passare da un sottobosco di appassionati agli anni '80 e all'uso smodato di sintetizzatori interviene ancora una volta il cinema, indissolubilmente legato alla synthwave. Il vero caso emblematico è Drive (2011) di Nicolas Winding Refn e con Ryan Gosling protagonista. Il film è più o meno volontariamente un concentrato di stereotipi synthwave - un uomo in lotta contro il mondo intero, amori travagliati, profonde riflessioni sulla vita -, e la colona sonora per l'intro del film è Nightcall di Kavinsky, scelta dal regista proprio in fase di editing del film al primo ascolto e senza averla mai sentita prima di allora.
L'interpretazione di Gosling in Drive è talmente centrata che Ridley Scott deciderà di affidargli il ruolo da protagonista in Blade Runner 2049 (2017), sequel dell'omonimo film del 1982, per sfruttare la carriera dell'attore al suo apice e anche quelle atmosfere synthwave così riuscite in Drive.

Ed è così che appassionati da ogni parte del pianeta prendono coraggio e iniziano a condividere, produrre e creare rete, ad esempio fondando etichette virtuali. In fondo il fascino della synthwave sta nel fatto che è nata in un decennio in cui la tecnologia stava diventando sempre più comune e indispensabile nelle nostre vite, fino a che i computer, internet e i robot dei futuri distopici immaginati dagli artisti del genere hanno iniziato ad esistere davvero e a fare parte dell'evoluzione della synthwave stessa.
Proprio la conformazione digitale e astratta del genere e degli artisti che ne popolavano la scena ha reso per molto tempo difficile stabilire chi effettivamente facesse parte della synthwave o meno. Sicuramente Miami Nights 1984 è tra i primi nomi a prendere parte alle etichette discografiche del genere e a pubblicare dischi in grado di rispettare tutti i dogmi: synth a volontà, voci che sembravano uscite dal pop anni '80, copertine con automobili sportive e luci al neon, la Rete, un network rappresentato come una vera e propria rete.
Altri nomi tutt'oggi molto attivi sono Gunship, The Midnight e Timecop1983, così come anche gli M83 nonostante non tutti i brani siano puramente synthwave. Come vedete ogni nome ha almeno un richiamo agli elementi che caratterizzarono la prima metà degli anni '80 e il cinema di cui vi abbiamo raccontato. Carpenter Brut, ad esempio, o Electric Youth (anch'essi un po' marginali, ma con A Real Hero presente nella colonna sonora di Drive).
Poi ancora FM-84, Waveshaper, VHS Dreams, FM Attack, Starcop, Nightcrawler e altre centinaia di artisti sparsi per il mondo, tutta nel medesimo scenario.

Nel corso degli anni, per certi versi proprio dall'uscita di Stranger Things nel 2016, diversi artisti anche di primissimo piano nel panorama pop hanno saputo pescare (spesso grazie ad astuti e preparati team di produzione) per smussarne i limiti e sfruttarne l'immortale nostalgia per crearne dei successi.
Esempi più vicini ai gusti di chi ci legge sono sicuramente i White Lies, che sa sempre hanno strizzato l'occhio agli anni '80 e alla new-wave, con Friends (2016) nonché il loro lavoro più synth, e i Future Islands già naturalmente molto synthpop e con più di qualche brano che può tranquillamente essere incanalato nel filone synthwave. Anche i MGMT, da sempre grandi sperimentatori ai sintetizzatori, nel 2018 hanno pubblicato un piccolo saggio della loro versione della synthwave, ovvero Little Dark Age.
Il progetto di maggiore successo (economico e di attenzione del pubblico) di The Weeknd è sicuramente After Hours (2020), da cui è stato estratto il singolo di successo planetario Blinding Lights. Ma non solo: tutti i titoli (giusto per citarne un paio Alone Again e Escape from LA... che guarda caso è anche il titolo di uno dei film di John Carpenter, sequel di Escape From New York) sono un chiarissimo riferimento alle atmosfere synthwave, con Abel che nei video si muove spaesato tra le luci alienanti di una qualsiasi megalopoli urbanizzata negli States, sfrecciando su una supercar con un'espressione a dir poco disillusa e il sangue sul viso.
Non stupisce che a inizio 2025 lo stesso The Weeknd abbia pubblicato un singolo in collaborazione proprio con Moroder in cui sono presenti campionature di alcuni suoi iconici brani.
Nel 2020, Miley Cyrus (che a dirla tutta è stata sostenuta nella produzione di Plastic Hearts da Mark Ronson, tra i tanti) e Dua Lipa rispettivamente con Plastic Hearts e Future Nostalgia si sono lanciate nelle loro personali reinterpretazioni del genere. Come al solito sono serviti un paio di anni di elaborazione perché si muovesse anche il mercato italiano in questa direzione, ma poi ci ha pensato Annalisa (mai avremmo pensato di parlare di lei) con la sua Bellissima, che ha sbancato in Italia e anche fuori, grazie ai social.
Nightcall di Kavinsky è tornata in auge dopo che è stata suonata live in maniera epica ai giochi olimpici del 2024. Nel frattempo sui social le sezioni strumentali di M83 e VØJ, come Midnight City o Outro e Memory Reboot, la fanno da padrone e sottofondo di storie e reel su viaggi e ricordi nostalgici. Questo fa ben sperare affinché il bacino di artisti che produce musica simile si espanda e possa sempre più radicarsi.

Talento o fortuna? Difficile dire cosa abbia determinato maggiormente i Duffer Brothers mentre scrivevano e realizzavano Stranger Things, ma quello che possiamo dire con certezza è che ad appassionare e tenere incollata agli schermi così tanta gente è stata sicuramente la fotografia della prima metà degli anni '80 perfettamente realizzata dai due. E insieme alle immagini, l'intuito di dare spazio al sottogenere musicale naturalmente scaturito proprio dall'immaginario partorito negli stessi anni e cresciuto nel corso degli anni in una dimensione parallela.
Non sappiamo se quella della synthwave sia stata una fase, una decina di anni che verranno ricordati come i "15 minuti di celebrità", o se la breccia aperta sia definitiva: solo il tempo saprà dirlo. Quello che sappiamo è che Stranger Things può essere considerata a tutti gli effetti come una dichiarazione d'indipendenza di un genere musicale ben definito, ma troppo spesso relegato ad una storpiatura o una scimmiottatura di un decennio ormai passato verso cui abbiamo tutti un'inspiegabile nostalgia. Lunga vita ai synth.