Quando The Weeknd nel 2020 ha contribuito in maniera decisiva a sdoganare la synthwave nella cultura pop per la seconda volta, nessuno ha potuto più fare a meno di provare un certo senso di apprezzamento e una necessità di certi suoni digitali, sintetici e artificiali che avevano fatto le fortune di gran parte degli artisti degli anni '80. E così dopo Abel, sono venuti Dua Lipa, Miley Cyrus e una lista pressoché infinita di altri artisti mainstream. La realtà dei fatti però ci dice che quello che in questi ultimi anni stiamo vedendo è solamente la punta dell'iceberg: la parte sommersa è fatta da nomi decisamente meno mainstream, come ad esempio MGMT, Electric Youth e Bonobo. Ma non sono i soli. C'è un'altra grande certezza da ormai 20 anni: i Future Islands.

La band originaria di Baltimora è infatti tornata con il suo settimo album People Who Aren't There Anymore.
Il frontman Samuel T. Herring ha scritto i 12 brani che compongono il disco nella post-pandemia, quando la sua storia con l'attrice svedese Julia Ragnarsson è finita, consumata dalle distanze imposte dai vari lockdown sparsi per il mondo. Ci hanno poi pensato William Cashion, Mike Lowry e Gerrit Welmers a musicare e arrangiare i testi, sinceri e intensi, frutto del dolore e della voglia di ricominciare.
Impossibile non citare, per le inevitabili influenze all'interno del disco, il mixaggio di Chris Coady (Blonde Redhead, Beach House e Grizzly Bears) che aveva già collaborato con la band nel 2014.
Il disco si apre con King Of Sweden, un perfetto saggio di quello che aspetta l'ascoltatore all'interno dell'album, nonché un incredibile singolo mancato. Il testo è tra i primi scritti da Herring e fa trasparire un incontenibile bisogno di mettere nero su bianco un groviglio di sensazioni dovute alla sua recente rottura. A fare da contraltare ci pensa un piacevole concentrato di synth-pop dal ritmo incalzante.
Ci si addentra poi in un trittico composto da singoli che nei mesi scorsi hanno anticipato l'uscita del disco. The Tower è un contagioso tentativo di esorcizzare il senso di abbandono che inevitabilmente si manifesta alla fine di una relazione, così come Deep In The Night è invece la prima pausa di riflessione forzata del disco. Una malinconica ballata synth, in cui le struggenti parole riassumono benissimo quel non voler abbandonare l'idea di aver fatto parte di qualcosa di più di un singolarità.
Continuano poi le montagne russe tra gli alti e bassi del morale di Herring. Say Goodbye è un saggio di pop anni '80 con più di qualche spunto che rimanda ai Kraftwerk e Sparks. Il pezzo è un crescendo e alla volontà di non volersi lasciare andare corrisponde un climax di sintetizzatori e ritmiche incalzanti.

"Here come the stars again"
ripete Herring come immerso in una preghiera o un rito tribale ad inizio brano: Give Me The Ghost Back è un tortuoso viaggio in un paesaggio distopico e futuristico dipinto da John Carpenter, in cui i repentini cambi di tonalità e gli strazianti versi del cantante sposano alla perfezione un soundscape tipico delle atmosfere synthwave di M83, The Midnight o Timecop1983.
D'altro canto la seconda ballad dell'album, Corner Of My Eye, unisce a suoni onirici alla White Lies un altro testo fatto di esperienze di vita, con la presa di coscienza di dover andare avanti.
Lo step è completato dalle successive The Thief e Iris ancora di ispirazione agli Sparks e ai White Lies, che giocosamente portano l'ascoltatore a rinascere, dopo le lacrime versate, grazie al ritornello grintoso.
Voltare pagina è difficile e non sempre ciò che arriva nell'immediato futuro è ciò che si pensano di trovare: tra gli intensi testi scritti da Herring, The Fight è l'esatta descrizione di questa dura lotta ("I couldn't stand the rain / So I ran away / And all I found was snow").
In Peach affiorano ancora tutti gli anni '80 nella dirompenza del loro inconfondibile synth-pop, condito da quello che meriterebbe di diventare il motto di ogni essere umano, per ricordarsi che niente è davvero un problema e che c'è sempre speranza nel domani:
"Life is the reason / I'm still holding the ground / Life is imperfect bodies / and perfect sounds"
Se in un'intervista avessimo chiesto a Herring cosa lo aveva portato a raccontare le sue esperienze in un disco, avrebbe probabilmente risposto utilizzando esattamente le parole raccolte in The Sickness. Il brano è un'avventura nel dream pop e nella synthwave dei Beach House, con una malinconia e una nostalgia spinte al massimo e un finale distorto da un ricercato effetto feedback.
L'album ormai volge al termine e la band americana si congeda con The Garden Wheel, una bellissima metafora tra il vissuto ed un giardino fatto di suoni sintetici che hanno fatto le fortune del pop contemporaneo.
People Who Aren't There Anymore è il settimo deciso e assestato passo nel percorso dei Future Islands. Un album compatto in cui le esperienze personali hanno dato un contributo decisivo per la composizione del disco. Evolvere, ma tenendosi sempre ben strette le (tante) sicurezze raccolte lungo la tortuosa strada che è la vita, facendo tesoro di tutti gli ostacoli e le delusioni incontrate lungo il cammino. Perché è la maggior parte delle volte è proprio dalle ferite, dalle cadute e dalle scottature che si traggono gli insegnamenti che possono svoltare le nostre esistenze e permetterci di rinascere, proprio come un Iris.
Credit: Frank Hamilton