Continuare a tornare in vetta alle classifiche inglesi per la prima volta dall’esordio, a quasi dieci anni di distanza, non è una cosa da tutti i giorni. È quello che sono riusciti a fare i Blossoms con Gary, il loro ultimo album, che nasce da un simpatico aneddoto finito sui notiziari locali: il furto di un gorilla da giardino in vetroresina, chiamato per l’appunto Gary, misteriosamente sparito da un vivaio in Scozia. Una storia surreale, quasi alla Wes Anderson, come mi confermerà lo stesso frontman della band Tom Ogden. I Blossoms sono pronti a tornare a suonare in Italia, per una data al Fabrique di Milano in apertura agli Inhaler, ed è proprio da qui che parte la nostra chiacchierata.

Fra pochi giorni tornerete finalmente a suonare a Milano, in apertura ai vostri amici Inhaler.
Siamo felici di tornare in Italia, è uno dei nostri posti preferiti, nonostante non siamo riusciti a suonarci tanto quanto avremmo voluto in questi anni. Ogni volta che possiamo veniamo. È bello poter tornare ora con gli Inhaler, che come hai detto tu, sono nostri buoni amici. Li conosciamo da molto tempo e suoneremo davanti a tanti fan in questo tour, speriamo di “rubargliene” un po’! Non vediamo l’ora.
E magari tornare con una data tutta vostra.
Quello è il piano, una volta finito questo tour.
A proposito di concerti, siete appena tornati da un tour in Australia con i Kasabian. Come vi siete trovati?
Sono proprio dei bravi ragazzi, Sergio (Pizzorno, ndr) è adorabile. Siamo andati a cena insieme e ci siamo divertiti molto. Cercheremo di scrivere delle canzoni con lui in futuro.
Una collaborazione all’orizzonte quindi?
Non abbiamo programmato nulla, ma gli abbiamo raccontato di come abbiamo scritto questo album, chiudendoci in questa villetta con CMAT e l’idea gli è piaciuta molto. Probabilmente scriveremo dei pezzi con lui, ma non c’è ancora niente di sicuro.
Ma lo vorreste in ruolo di produttore?
Magari… Tutte le opzioni sono possibili. Siamo suoi grandissimi fan e siamo sicuri che insieme scriveremmo delle grandi canzoni.

Con Gary siete tornati in cima alle classifiche inglesi per la quarta volta dal vostro esordio. A questo giro che effetto vi ha fatto?
Probabilmente questa volta è stato addirittura meglio. Nel 2016 eravamo agli inizi e c’era molto hype attorno a noi, mentre ora venivamo da un album introspettivo nato duranto il Covid, Ribbon Around The Bomb, che probabilmente era stato abbastanza commerciale e non era riuscito a seguire la scia degli altri nostri dischi. Con Gary volevamo dimostrare di essere quelli di sempre e abbiamo avuto proprio la sensazione di essere davvero tornati al top. E ci siamo riusciti lontani da una major, con The Orchard: abbiamo lasciato Virgin e volevamo dimostrare di farcela senza di loro. Alla fine direi che è andato tutto bene.
Di solito la gente pensa che una band in una major venga sempre obbligata a seguire quello che le viene detto, ma questo non è mai stato il vostro caso. O sbaglio?
Abbiamo sembra avuto un ottimo rapporto con Virgin, i manager ci hanno sempre protetti da tutte quelle cose che si sentono in giro riguardo le major. Abbiamo sempre potuto scegliere i nostri collaboratori e produttori, come James Skelly. La discografica ci ha semplicemente aiutato a raggiungere un pubblico più ampio. Metterci in proprio non ha stravolto il nostro mondo, perchè molte cose le facevamo già da noi, come ad esempio i videoclip. Mettevamo sempre mano a tutto e quindi non abbiamo avuto paura di diventare indipendenti proprio per questo: avevamo già tutte le capacità per fare le cose che abbiamo fatto. È stata una progressione naturale. Chiaramente quando ti metti in proprio devi stare sul pezzo a 360 gradi.
Ho letto che prima di scrivere questo album hai avuto una sorta di blocco dello scrittore. È vero?
Un pochino. Non era esattamente un blocco dello scrittore, ma semplicemente non avevo tempo per scrivere. Mia moglie e io avevamo aperto da poco un bar e all’inizio le cose sono andate male: bisognava ristrutturare tutto e non avevo il tempo fisico per sedermi e mettermi a scrivere. Ho passato qualche mese così, perdendo la fiducia in me stesso e nelle mie capacità compositive. Devo dire che in questo senso lavorare con CMAT e i Jungle mi ha aiutato molto a uscirne. Grazie a tutte queste cose come anche alla scoperta stessa della storia di Gary ho finalmente visto la luce in fondo al tunnel.
A proposito di questa storia, qual è stata la prima reazione dei tuoi compagni di band quando gli hai detto che avevi scritto un pezzo su una statua di un gorilla rubata?
Hanno riso tutti all’inizio, ma comunque conoscono bene il mio senso dell’umorismo e quindi mi hanno supportato fin da subito. Magari sulle prime avranno pensato che ero un po’ matto, ma alla fine la canzone gli è piaciuta subito e si sono fidati di me. Dopotutto l’importante era che gli piacesse la musica, le parole dopotutto erano solo un plus.
È una storia che in un certo senso sembra uscita fuori da un film di Wes Anderson. E in effetti i vostri ultimi video richiamano molto il suo cinema.
Siamo dei grandi fan dei film di Wes Anderson e sapevamo che avremmo girato noi stessi i video con una cinepresa da 16mm: è stato naturale usarlo come punto di riferimento.

Poco fa parlavi di come CMAT e Josh dei Jungle siano stati fondamentali per uscire da questa sorta di stasi creativa. Come sono nate queste collaborazioni?
Quando ho scritto What Can I Say After I'm Sorry? ho subito pensato che avrei voluto che suonasse come un pezzo dei Jungle. Mi è sempre piaciuto un sacco il loro sound e quindi sono andato a spulciarmi i credits dei loro pezzi su Spotify per vedere chi li avesse prodotti e ho scoperto che l’avevano fatto loro stessi. Allora ho chiesto al mio manager di contattarli e chiedergli se gli sarebbe piaciuto produrci dei brani. È stato tutto molto naturale. Lo stesso è successo con CMAT: ho sentito la sua musica in un negozio di dischi a Brighton e ho scoperto che quella stessa sera si sarebbe esibita in città. Allora siamo andati al concerto e l’abbiamo conosciuta a fine live. Siamo rimasti in contatto e quando ci siamo messi a scrivere il disco le abbiamo chiesto se fosse disponibile per lavorare con noi su qualche pezzo. Così siamo finiti per trascorrere una settimana intera con lei in questo B&B nel Galles. È stata un’esperienza fantastica. Sono state tutte collaborazioni nate spontaneamente dal fatto di essere prima di tutto fan della loro musica.
Per una band abituata a lavorare sempre nello stesso modo da anni non è stato difficile trovare subito l’alchimia con qualcuno di esterno?
È stato immediato, eravamo tutti a nostro agio: quando le cose funzionano, neanche ti rendi conto di stare lavorando! Ci piacerebbe collaborare ancora con loro.
Mothers è la prima vostra canzone in assoluto dedicata all’amicizia. È vero che è stata ispirata dall’ascolto di Bros dei Wolf Alice?
Intendi il testo? Assolutamente. Stavo ricercando un po’ di tematiche diverse di cui parlare e un giorno, riascoltando quel pezzo dei Wolf Alice, mi sono reso conto che era una canzone sull’amicizia e mi sono chiesto quale potrebbe essere una mia canzone sullo stesso tema.
Loro lo sanno?
Non so, non penso, sai? Magari lo leggeranno ora online.
Di recente avete anche collaborato con Rick Astley, che non solo ha recitato nel video di Gary ma si è anche esibito con voi per la cover di 360 di Charli xcx da Radio 1 Live Lounge. Dopo averlo avuto come ospite nel 2023 sul palco di Glastonbury, contate di ripetere una cosa del genere con lui quest’estate?
Non ci esibiremo insieme, ma sicuramente ci vedremo quest'estate: ogni volta che passa da Stockport ci vediamo sempre per una cena o una bevuta.

È bello vederlo ancora sui palchi, soprattutto perché l’essere diventato un meme ha rischiato di far dimenticare a tutti che grande artista sia.
È un grand’uomo e un grandissimo artista e sono felice che la gente si renda conto del tesoro nazionale che è!
Il vostro ultimo singolo Mariah Carey Through Death Valley ha probabilmente uno dei titoli più originali della vostra discografia. È uscito fuori da un momento autobiografico?
Nel 2023 eravamo a Los Angeles per esibirci al Darker Waves Festival, i ragazzi poi sono ripartiti e io sono rimasto lì con mia moglie per fare un viaggio on the road verso il Grand Canyon. Stavamo guidando per andare a Las Vegas e a un certo punto è partito un pezzo di Mariah Carey. Mi sono ricordato di quel momento per scrivere il brano tempo dopo. Sai, lavorando con CMAT mi sono reso conto di come lei riuscisse a tradurre qualsiasi cosa in un testo per una canzone. Letteralmente qualsiasi cosa. Allora ho pensato a quel momento in macchina con Mariah Carey, ho pensato che suonasse interessante e che avrei dovuto scrivere un pezzo su quel viaggio in macchina.
Il 2026 segnerà il decennale del vostro esordio. Avete già in mente qualcosa per festeggiare l’anniversario, come un tour o magari suonare dal vivo l’album dall’inizio alla fine?
Non abbiamo ancora programmato nulla, ma ci piacerebbe molto e sicuramente faremo qualcosa per il decennale. Mi piace l’idea che hai appena detto di suonare l’album per intero dal vivo, di solito lo facciamo all’uscita di ogni nostro nuovo disco, quindi sarebbe bello farlo anche per l’anniversario: dopotutto dieci anni sono tanto tempo!
Se dovessi guardarti indietro e pensare ai sogni che avevate dieci anni fa, diresti che è andato tutto secondo le vostre aspettative?
Abbiamo sempre preso tutto come viene, abbiamo sempre detto che avremmo voluto fare grandi live davanti a migliaia e migliaia di persone e in questo senso lo show dello scorso anno al Wythenshawe Park davanti a più di 30.000 persone è stato un sogno, non ci avremmo creduto dieci anni fa. Ma se mi chiedessi ora cosa vorrei fare tra dieci anni non saprei risponderti. La viviamo un passo alla volta e ce la godiamo. Alla fine la cosa che conta davvero per noi è non perdere l’ispirazione.
Parlando di concerti con folle oceaniche, da grande fan degli Oasis andrai a vederli in tour quest’estate?
Sicuramente proverò ad andare almeno a un paio di loro date. Siamo amici di Anaïs (Gallagher, ndr), la figlia di Noel, quindi speriamo che riesca a farci entrare.
