Nic Cester si racconta, dalla reunion dei Jet ai 20 anni di Get Born, passando per Lucio Battisti.
Sembra ieri, ma sono ormai passati più di 20 anni da quando è uscito Get Born, l’album d’esordio dei Jet. La band australiana capitanata da Nic Cester ne ha affrontate di ogni: dal successo planetario ottenuto all’improvviso, fino a una montagna russa fatta di alti e bassi che ha portato il gruppo a sciogliersi nel 2012 a causa di alcune dinamiche interne che come mi confermerà lo stesso Cester tuttora lo preoccupano dopo la reunion avvenuta nel 2023. Già, la reunion: attenzione perchè non si tratta della classica operazione nostalgia alla Oasis. È vero, certo, il tour attuale dei Jet (che lì vedrà il 26 settembre all'Alcatraz di Milano e il giorno successivo all'Orion di Roma) è dedicato proprio al ventennale di Get Born, ma ci sarà spazio anche per i nuovi brani (il nuovo album uscirà nel 2025, mi conferma Cester), fra cui il nuovo singolo Hurry Hurry e una cover di Un’avventura di Lucio Battisti, un omaggio dello stesso Nic Cester all’Italia, paese dove ha vissuto per molti anni, proprio dopo che i Jet si erano sciolti. E non si tratta nemmeno di una reunion per soldi: viene difficile da pensare che chi ha scritto Are You Gonna Be My Girl o Look What You’ve Done possa finire sul lastrico.
Raggiungo Nic via zoom, il suo italiano è perfetto: “adesso sono di nuovo allenato a parlare dato che sono sono a casa in Piemonte da due mesi. Sto lavorando con una collega in italiano” mi dice sorridente lui, nonostante si senta ovviamente ancora più a suo agio nella sua lingua madre.

Dopo 15 anni avete pubblicato due nuovi brani con i Jet. Com’è stato ritrovarvi a suonare insieme dopo tanto tempo?
Ero pieno di dubbi… No aspetta, è meglio se te lo dico in inglese (cambia lingua, ndr). Ero molto apprensivo riguardo al tornare insieme, perchè ovviamente c’erano dei motivi per cui ci eravamo sciolti tanti anni fa. Negli ultimi 15 anni abbiamo fatto diversi tentativi per riavvicinarci e ogni volta era stato un fottuto disastro (ride, ndr). Non ero davvero più interessato a provarci di nuovo, proprio per via di tutti questi tentativi falliti. Questa volta però è stato differente, perché c’era un modo diverso di porsi e comunicare fra di noi. Siamo maturati molto, tutti noi abbiamo avuto dei figli e penso che ci abbiano aiutato a capire che nessuno di noi è al centro del fottuto universo. È una cosa che impari molto in fretta quando diventi genitore. Eravamo tutti di umore migliore, anche grazie ai rispettivi progetti solisti.
Poi è successo tutto rapidamente: è arrivato il ventesimo anniversario di Get Born, siamo entrati nella ARIA Hall of Fame (il più alto riconoscimento musicale australiano, ndr) e dal nulla siamo stati contattati dal produttore di Beyoncé, che a quanto pare è un grandissimo fan dei Jet. Ci ha detto che avrebbe tanto voluto produrre un nostro disco. È stato in quel momento che ho pensato: “wowow, rallentiamo”. Ma abbiamo accettato di andare nel suo studio a New York per lavorare a del nuovo materiale. E alla fine tutto ci è sembrato molto naturale. Non sono ancora sicurissimo al 100%, me la sto prendendo con calma, perchè se devo essere sincero ci sono ancora dei problemi, ma ci stiamo lavorando insieme e per ora le cose stanno andando bene.
A livello logistico come funziona? Tu per anni hai vissuto qui in Italia.
Adesso passo la maggior parte del tempo in Australia, ci siamo trasferiti lì per far fare le scuole lì ai nostri figli. Ma comunque cerchiamo sempre di dividere il tempo tra lì e l’Italia. Praticamente negli ultimi 15 anni ho fatto il nomade, diciamo così.
Te lo chiedevo perché dev’essere molto più semplice fare progetti con i Jet se siete tutti nello stesso continente.
Questo infatti è stata una conseguenza dell’essere tornato in Australia. Stando là era naturale che tornassi a vedermi con gli altri ragazzi. Il motivo per cui tutto si è rimesso in moto ha molto a che fare con questo.
Ricominciare a suonare insieme dopo tutto questo tempo è stato un po’ come fare le cover di te stesso?
(ride, ndr) Sì, un pochino! Sono abbastanza pigro quando si tratta di fare le prove e non mi ero preparato per niente (ride, ndr), ma con mia grande sorpresa è stato come andare in bici. In un paio d’ore mi ricordavo tutto, non c’è stato un gran bisogno di provare, alla fine. In questo tour suoniamo tante canzoni dei nostri dischi oltre a tutto Get Born, però anche se non abbiamo suonato negli ultimi 15 anni, col fatto che una volta facevamo dei tour lunghissimi, sono bastate poche ore per farle riaffiorare tutte. Ogni singola nota, accordo e parola: è stata una delle cose più semplici che abbia mai fatto.

Get Born è un album con diverse hit, tra cui ovviamente Are You Gonna Be My Girl. Che rapporto hai con le tue canzoni più popolari?
Mettiamola così: non esiste proprio che le metterei su a casa mia (ride, ndr), ma non mi stancherò mai mai e poi mai di cantarle con gioia a tutte le persone che vengono ai nostri concerti. Vedere la loro reazione quando suoniamo pezzi come Are You Gonna Be My Girl è fantastico. E vedere quelle stesse reazioni persino ora, ad anni di distanza, da parte dei fan nuovi, delle nuove generazioni è bellissimo.
Il vostro ultimo concerto a Milano era stato in Parco Sempione, giusto?
Sì, esatto.
Te lo chiedevo perché non essere riuscito ad andarci all’epoca era stato uno dei miei più grandi rimpianti, motivo per cui sono davvero felice del vostro ritorno in Italia.
Sono felice anch’io! Mi ricordo che quel concerto mi era piaciuto tantissimo: è sempre bello quando ci sono concerti accessibili nel cuore della città. Parco Sempione è un parco bellissimo e lì quella notte ho anche visto i Calibro 35 per la prima volta. Mi ricordo anche della primissima volta che siamo arrivati a Milano con i Jet per suonare al Transilvania. Ero in Piazza Duomo, con le persone della nostra etichetta che ci facevano da guida. Ho chiamato mio padre, che era ancora vivo all’epoca, per dirgli "Papà, indovina dove sono?" E lui era felicissimo. Ora che ci penso il mio legame con Milano è nato tanti anni fa ed è pieno di bellissimi ricordi.
Quando poi hai deciso di trasferirti a vivere in Italia, era stato proprio per connetterti alle tue radici italiane?
Esatto, è stato proprio quello il motivo. Purtroppo mio padre è venuto a mancare qualche tempo dopo quella telefonata. Era giovane, aveva solo 47 anni.
Mi dispiace tanto.
È stato devastante, ed è successo in un periodo della mia vita - durante il tour di Get Born - in cui stavo avendo un successo incredibile e mi ha fatto scattare qualcosa che non sapevo fosse dentro di me. Volevo trovare la mie radici e tutto ciò che mi poteva connettere a mio padre. Questo mi ha portato in Italia e in pratica da allora sono rimasto qua.
Ti sei fatto un sacco di amici qua, fra i quali gli I Hate My Village che apriranno le vostre date italiane. Ti volevo chiedere: come sarà questo nuovo album dei Jet? Sarà la somma delle vostre esperienze soliste o cercherete di riportare in vita quello che erano i Jet una volta?
Mi sono reso conto ascoltando il materiale che abbiamo prodotto in questo ultimo periodo che tutto suona molto naturale. C’è voluto del tempo per fare in modo che tutti noi tornassimo a parlare la stessa lingua. Ci stiamo ancora impegnando per riuscirci del tutto, ma finora quello che ho sentito è una progressione naturale dei Jet. Ci sono delle parti anni 2000, altre con elementi di altri anni. È come se contenesse in qualche modo tutti gli album che abbiamo scritto. È entusiasmante e interessante. Penso che sarà un album incredibile. Lo credo davvero, non pubblicheremmo mai qualcosa di mediocre solo per tornare insieme.
Insomma, non lo fate per i soldi.
No, no! (ride, ndr) Infatti se per qualsiasi motivo dovessi rendermi conto che non è a un livello abbastanza altro, me ne andrei senza problemi. Voglio essere onesto su questo.

Hai detto che ci sono ancora dei problemi tra voi. Hai paura che quegli stessi motivi che vi hanno fatto sciogliere si ripresentino alla porta?
Sì, è una cosa che temo. Non ho alcuna voglia di rivivere quel periodo. Ma penso che nessuno di noi, a questa età, sia più disposto ad affrontare quel genere di stronzate. Siamo tutti adulti ora, abbiamo dei figli e le altre cose sono per forza in secondo piano. Se siamo tornati insieme è perché volevamo farlo, per passione, amore e col desiderio di andare avanti. È di questo che si deve trattare: guardare avanti, non indietro. Se ad un certo punto dovesse ritornare l’ombra del passato, me ne andrò via senza problemi.
Un’altra cosa che sarà cambiata per voi in questi 20 anni è la percezione del successo. Resistere a quell’ondata improvvisa di fama non dev’essere stato semplice da gestire.
È una cosa su cui mi ero scervellato già all’epoca: “cos’è il successo? Qual è il suo significato? Come si misura?” Ho iniziato a fare musica per passione, era un modo per esplorare il mondo e me stesso. E questa è una motivazione che deve esserci sempre. Se poi arriva anche il successo commerciale in risposta a ciò che fai, tanto meglio. Ma è sempre una vittoria se dai il massimo e fai musica in un modo puro e onesto con te stesso. Quello per me è il vero successo.
Con i Jet avete ricevuto moltissimi complimenti e recensioni positive da critica e pubblico, anche se ogni tanto non sono mancate le stroncature (fra cui un vergognoso 0 su 10 senza argomentazioni dato da Pitchfork a Shine On, ndr). Come reagivate quando capitavano cose del genere?
Ho capito in fretta che non puoi scegliere cosa vuoi sentirti dire: per cui, molto semplicemente, ignoro tutta la stampa musicale. Penso che molti riconoscimenti siano ridicoli tanto quanto le critiche feroci. Lascio perdere tutto, sia il positivo che il negativo, e mi concentro solo su di me e quello che c’è da fare. Perché la verità è che il nostro è stato un viaggio lungo e ci sono stati periodi in cui il mondo ci ha adorato e altri dove ci ha odiati, e così via. Questo circolo non ti aiuta. È meglio non farci caso e focalizzarsi sulle cose che sono davvero importanti.
C’è stato un momento specifico, 20 anni fa, che ti ha fatto capire che ce l’avevate fatta sul serio?
Non ci ho mai riflettuto sopra, se non dopo. Quando sei nell’occhio del ciclone, non ne sei consapevole, tutto si muove vorticosamente intorno a te. È stato solo quando ci siamo sciolti che ho iniziato a guardarmi indietro e mi sono detto “Wow! Cazzo, ne abbiamo passate davvero tante!”.
Oltre al vostro nuovo singolo, avete anche pubblicato come b-side una cover di Un'avventura, un tributo al tuo amore per Lucio Battisti. Come hai conosciuto la sua musica?
È una cosa collegata a mio padre. Ricordo che da bambino, quando andavamo in vacanza e viaggiavamo in macchina - e in Australia si tratta sempre di viaggi fottutamente lunghi (ride, ndr)...
Non mi dire!
(ride, ndr)... mio padre metteva su sempre le cassette di Lucio Battisti. Ora che arrivavamo a destinazione le sapevo a memoria (ride, ndr). Quindi direi che sono cresciuto con la sua musica. E poi quando mi sono trasferito in Italia, un giorno stavo parlando di Battisti e, guardando su YouTube, ho trovato questa versione di Un’avventura fatta da Wilson Pickett a Sanremo nel 1969. Una cover nel suo stile, quindi decisamente più soul, dove cantava sia in inglese che in italiano: questa cosa mi ha impressionato e ho pensato che fosse davvero interessante. Poi me ne sono dimenticato.
Tempo dopo, ero a Melbourne in sala prove con i ragazzi e ci stavamo annoiando. Allora ho proposto di suonare un po’ di pezzi solamente così, per divertirci, senza nessuna ambizione di farci poi nulla. Abbiamo iniziato proprio con Un’avventura ed è stato veramente molto figo e divertente. Così poi quando abbiamo fatto il nostro primo singolo ci è sembrato naturale pubblicarla come b-side, una cosa molto old school, lo so. Per me aveva perfettamente senso, dopo tutti questi anni passati in Italia.

Battisti è probabilmente uno degli artisti italiani più amati non solo qui, ma nel mondo. Ne parlavo giusto con Miles Kane, dato che pure lui aveva fatto una cover di Amarsi un po’ con Angelica.
Sai, ora parlo italiano perché ho vissuto in Italia per anni, ma non sono cresciuto qui. Eppure la musica di Battisti mi ha sempre comunicato qualcosa, nonostante il gap linguistico. E questa è una delle cose davvero speciali di Battisti: era davvero bravo! La sua musica è talmente potente da entrarti dentro anche se non capisci una parola di quello che dice: le emozioni arrivano lo stesso. Penso che non siano molti gli artisti in grado di riuscirci.
Tornando a Get Born, è da tempo che non volevo farti una domanda specifica su Rollover DJ. So che è nata dalla vostra frustrazione da band emergente di suonare in locali minuscoli prima dei DJ di turno che poi si beccavano tutti gli applausi e il pubblico. Erano gli anni in cui la dance stava per esplodere e il rock arrancava parecchio. È abbastanza chiaro quale fosse la tua opinione dei DJ all’epoca… ma adesso invece?
Bella domanda! Effettivamente alcuni dei miei migliori amici sono DJ (ride, ndr). E, ironia della sorte, alcuni fanno parte pure di Rollover Milano. (ride, ndr) Beh, diciamo che le mie opinioni in merito potrebbero essere cambiate negli anni (ride, ndr). Comunque sai, quella canzone non l’avevamo scritta per essere presa seriamente, era più che altro per divertirci.
Ma secondo me invece eravate anche po’ seri, no? Alla fine quella frustrazione è una cosa in cui molte altre band agli inizi possono rispecchiarsi. Anche qua in Italia, magari iniziavi a esibirti nei locali minori, e ti facevano suonare a inizio serata a patto che portassi un po’ di gente come pubblico. Poi dopo di te arrivava qualche DJ senza nessun talento artistico si beccava il grosso del pubblico e degli incassi della serata. Poi chiaro, ci sono DJ e DJ…
Sì, esatto. Sai, ho sempre trovato ridicolo il livello di adorazione che si becca qualcuno che magari mette solo dischi e sta pure seduto su un trono o una roba del genere (ride, ndr). È veramente assurdo. Se poi appunto parliamo di qualcuno che mette su solamente canzoni altrui senza fare nient’altro… davvero non ha senso. Poi, come hai detto tu, ci sono DJ e DJ… Hai capito quel che intendo.
Sì, assolutamente. Ce l’avevi con i DJ da karaoke, non con quelli seri.
Esattamente.
Quando uscirà il nuovo album dei Jet?
A dir la verità ancora non lo so.
Quindi state ancora lavorando ai pezzi?
Sì, ci stavo lavorando su anche stanotte, sono rimasto sveglio fino alle 3 del mattino nel mio studio. Stiamo andando avanti. È passato tanto tempo dall’ultimo album e vogliamo che questo non sia solo buono, ma fantastico. Più tempo passiamo insieme, più canzoni scriviamo e più ci avviciniamo al traguardo. Ma comunque penso proprio che lo pubblicheremo l’anno prossimo.
Ti devo fare la stessa domanda che avevo fatto a Daniel Plentz quando lo avevo intervistato per i Selton: la Milano Elettrica (il suo progetto solista, ndr) tornerà insieme un giorno?
Assolutamente sì, lo spero tanto. Io adesso non sto facendo altro che scrivere, scrivere e scrivere, e so già quali brani saranno per i Jet e quali no. Non vedo l’ora di tornare a fare musica anche con la Milano Elettrica: si collega sempre tutto al perché ho deciso di fare musica tanti anni fa. Non è mai stato per inseguire soldi e fama, ma solo per condividere la musica con un gruppo di persone talentuose e meravigliose. Non vedo l’ora di rifarlo di nuovo.
Quindi quando scrivi non pensi “Ok, ora mi metto a provare un po’ di idee per i Jet, ora invece per il mio progetto solista” e così via: scrivi di getto e solo dopo capisci a che progetto potrebbero abbinarsi i pezzi?
Sì, esatto. Lo faccio da tempo ormai. Ho imparato che se parto dalla destinazione del pezzo mi impongo automaticamente dei paletti che mi limitano e magari tolgono la possibilità al brano di trovare la propria forma finale. Preferisco scrivere senza limitazioni, togliendo i paletti, l’ego, qualsiasi cosa, e vedere cosa succede. Penso sempre che con una canzone buona, se funziona, puoi decidere tranquillamente che farne o che abito farle indossare. La puoi “vestire” in un migliaio di modi diversi, ma comunque dev’essere una buona canzone.
Senz’altro. Allora ci vediamo ai live a Milano e Roma!
Si, non vedo l’ora pure io! Ci divertiremo un sacco. Penso che saranno proprio due grandi serate.
