07 febbraio 2025

"Cowards segna il nostro cambio di scenario": intervista agli Squid

In quel calderone ribollente che è Londra, da ormai 5 anni - e in escalation continua - una band sta continuando ad occupare uno spazio sempre più ingombrante. Gli Squid sono ormai una solida certezza, sia dal vivo, sia quando si tratta di album dato il grande successo riscosso dal recente O Monolith (2023).

Il loro tratto distintivo è parso sin da subito una particolare abilità nel mutare la forma senza mai mutare la sostanza: sperimentare, avventurarsi nelle avvolgenti campagne del sud del Regno Unito di cui sono originari, re-immergersi nella tentacolare Londra e uscirne più convinti e con diverse armi in più nel proprio arsenale. Se lo stesso O Monolith aveva avuto bisogno di un riferimento nelle origini dei membri della band, non si può certo dire lo stesso del nuovo album Cowards, in uscita venerdì 7 febbraio, vista la dimensione internazionale che ha assunto il team di produzione e registrazione.

Il disco è stato prodotto da Dan Carey, collaboratore di lunga data della band, e registrato insieme a Marta Salogni (Depeche Mode, Björk, black midi, Bar Italia) e Grace Banks (black midi, The Pretenders, Porridge Radio) per l'etichetta indipendente Warp Records. Hanno poi partecipato al disco e alle registrazioni la cantautrice sperimentale danese Clarissa Connelly, il compositore, pianista e cantante Tony NjokuRosa Brook del gruppo punk Pozi, il percussionista Zands Duggan e The Ruisi Quartet (che possono vantare collaborazioni con Jonny Greenwood) per gli archi.

Per farci presentare il nuovo lavoro dai diretti interessati, abbiamo avuto il piacere di parlarne direttamente con Louis Borlase e Arthur Leadbetter, rispettivamente chitarrista e tastierista, anche se tra i tratti distintivi della band c'è una grande tendenza alla sperimentazione di strumenti diversi per tutti i membri.

Squid | (c) Harrison Fishman

Partiamo da una domanda molto semplice, ma a cui molto spesso è difficile rispondere concretamente in maniera efficace: come descrivereste il vostro nuovo disco?

Arthur Leadbetter: (sorride, ndr) Penso che Cowards sia a tutti gli effetti un perfetto distillato di quello che la band sia e possa offrire in questo momento storico. Una rappresentazione piuttosto diretta di quello che sappiamo fare ad oggi. Forse una spiegazione un po’ noiosa, Louis? (ridono, ndr)

Louis Borlase: A dire il vero non aggiungerei dettagli a questa risposta generalista. Entriamo nel vivo del disco insieme. (altra risata generale, ndr)

Allora vi aiuto io con qualche spunto. Ho avuto l’impressione che O Monolith fosse piuttosto territoriale come disco, mentre qui ci sia una sorta di apertura all’ambiente circostante. Sentite che la vostra dimensione sia cambiata?

Louis: Sì, direi che questo disco sia più globale rispetto al precedente. Se O Monolith era molto legato alle nostre origini, a questo giro abbiamo spaziato su ciò che la vita on the road ci ha insegnato negli ultimi due anni di tour, fra concerti e spostamenti continui. A partire dai posti che abbiamo avuto modo di vivere, dalle storie che abbiamo ascoltato, quello che è successo nei diversi posti e scenari che abbiamo visto o banalmente da un qualsiasi film visto in uno di questi posti. Penso che la collaborazione con persone e professionisti internazionali rifletta questo cambio di dimensione.

Dando uno sguardo alla tracklist ho notato che la lunghezza delle tracce forma una sorta di climax, con apertura e chiusura formate da brani mediamente lunghi mentre quelli centrali hanno un cambio più incalzante.

Arthur: A dire il vero i brani non hanno un ordine veramente prestabilito, penso che si debba guardare al disco più che altro come un blocco unico e al peso di ogni singola canzone in termini musicali più che posizionali. Molti dei brani a dire il vero sono il risultato di un taglio di quelle che erano spesso sessioni uniche. E di conseguenza quella che magari per noi è stata (ed è tuttora) una canzone nel disco corrisponde a tre tracce. Quindi direi che il focus sia più che altro emozionale. Le nostre parole sono state il climax vero, mentre Well Met è stato il brano che più suonava come la conclusione di questo lavoro.

Squid Cowards album cover
Squid - "Cowards"

Entrando un po’ più nel vivo del disco e dei vari brani, la title track Cowards mi è sembrata una canzone un po’ atipica per quello che mi aspettavo e a cui avevate abituato tutti. Una sorta di ballad: c’è un motivo particolare per questa scelta?

Arthur: Sinceramente penso sia semplicemente uscita così (risata generale, ndr). Non amiamo troppo scrivere e registrare cose soft, ma è uscita in questo modo e certe volte è importante capirsi, in un certo senso. Magari non è la nostra abitudine creare canzoni simili, ma lo è stato in questo preciso momento della nostra storia.

Louis: Concordo, è stato frutto del momento e quindi, sai, va bene così. Non siamo molto avvezzi a questo tipo di canzone, ma avevamo fatto qualcosa di simile poco prima di Bright Green Field. Qualcosa di più tranquillo, fuori dai nostri standard, se vogliamo. Ma per fare chiarezza non penso sia una cosa per cui non siamo adatti o a cui siamo contro. Non se ne trovano molte nel nostro repertorio e la gente non ci ha mai richiesto semplicemente delle ballad, perché in un certo senso non ne avevamo mai fatte.

Proseguendo sulle altre tracce, vorrei spostare l’attenzione su Cro-Magnon Man, che in un certo senso è un altro pezzo che si allontana un po’ dai vostri standard e fa da collettore tra diversi generi. Dico una fesseria se vi dico che mi ricorda i Kasabian di West Ryder Pauper Lunatic Asylum?

Louis: Sarò onesto e ti dico che il disco me lo ricordo ma devo assolutamente recuperarlo (ride, ndr)! Direi che sia un brano in cui abbiamo lavorato molto sulla parte vocale. Torniamo anche al discorso di ampliamento del nostro punto di vista, dato che abbiamo lavorato molto sull’esaltazione della voce principale e su un coro in falsetto di alcuni nostri amici-collaboratori come Tony Njoku e Rosa Brook. Abbiamo provato le loro voci insieme e ci siamo resi conto che il tutto dava un bel suono corale.

Arthur: Sottoscrivo ogni parola. Si è trattato di un bel momento creativo in cui ci siamo concentrati sul gruppo di amici con delle belle voci di cui eravamo circondati e ci siamo accorti di quanto l’insieme fosse coerente e grintoso.

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Showtime! è un altro brano che mi ha colpito a livello musicale, perché sembra letteralmente uno showtime delle vostre abilità, con strumenti dispiegati e belli cazzuti. Era quella l’intenzione?

Louis: In realtà… no. Il suono è effettivamente dispiegato, come suggerisci, ma il brano racconta una storia ambientata a New York che riguarda i seguaci di Andy Warhol, tutti quelli che seguirono il suo movimento negli anni ’70 e ‘80. Penso che un po’ tutti, anche senza esserne per forza degli esperti, conosciamo Andy Warhol e sappiamo come sin da subito sia stato un riferimento nell’immaginario e nel concreto per concepire e per comprendere l’arte. In tutto ciò l’immaginario comune ha quasi rimosso le ombre e le storie che vedevano però Andy Warhol anche in grado di cose non esattamente piacevoli. Un mito che, per usare un eufemismo, non è stato però l'essere umano più carino mai visto sulla terra. In effetti penso però che sia un brano abbastanza rappresentativo per il disco, in cui ci proponiamo di mettere a nudo la parte nascosta della realtà.

Parlando più in generale quindi c’è stato qualche ascolto che nell’ultimo anno vi ha influenzato particolarmente durante la scrittura di Cowards?

Arthur: Ascoltiamo cose abbastanza diverse, negli ultimi tempi ognuno ha portato avanti la propria cultura musicale, ma non saprei segnalare una specifica band. Sicuramente quello che ci ha accomunato ultimamente sono i Talk Talk. La produzione, la qualità della musica, la gestioni degli spazi. Penso che sia un livello a cui non arriveremo mai, qualcosa di irraggiungibile come livello.

Ora vorrei sfruttare una dichiarazione di Ollie (Judge, cantante degli Squid, ndr) per azzardare un confronto con una band attuale di successo ormai planetario. In un’intervista ha detto di preferire la definizione di post-genere musicale a quella di un comune genere musicale. Pensate che il lavoro che avete iniziato con O Monolith e continuato ora con Cowards abbia in qualche modo anticipato quello che poi si è materializzato nel 2024 con Romance dei Fontaines D.C.?

Louis: Cavolo, domanda difficile (ride, ndr). Non ho ascoltato il loro disco onestamente. Stiamo parlando di una band che sta facendo cose enormi, ma non mi sento di dire che ci ispiriamo a loro. È bello vedere come una band partita dal nulla sia arrivata ad un successo tale: è un esempio fantastico vedere un gruppo che continua a fare quello che sembra davvero voler fare e ottenere quel livello di riconoscimento. Penso che il nostro modo di pensare alla musica e ai progetti musicali che vogliamo portare avanti e trasformare in qualcosa di più sia diverso dal loro, visto che non so se e come arrivino gli input dalla loro etichetta, ad esempio.

La domanda e il paragone è difficile, perché potresti chiedere a migliaia di band e otterresti risposte totalmente diverse rispetto a cosa significhi avere successo. Siamo un gruppo di cinque amici a cui piace fare musica insieme e che ha la fortuna di poterla rendere pubblica attraverso un’etichetta discografica indipendente.Non abbiamo un piano di conquista del mondo come nel caso dei Fontaines D.C.: è chiaro che la loro sia una missione. A noi piace sperimentare, provare sempre cose nuove e metterci alla prova agli strumenti: siamo consci del fatto che potrebbe non funzionare con il grande pubblico, ma sicuramente per quelli con cui funziona è possibile instaurare una connessione forte. È quello che ci da la forza, come vedere persone che magari ci hanno scoperto il giorno prima così come 5 anni fa e vederli essere presenti ad uno show in un certo senso per verificare a che punto siamo della nostra evoluzione. Ma ripeto, probabilmente sia tra altre band - e sia all’interno della nostra - potresti ricevere risposte diverse a seconda della percezione soggettiva, ma penso si possa affermare che viaggiamo su binari totalmente differenti rispetto ai Fontaines D.C..

Squid intervista
Squid | (c) Harrison Fishman

Torniamo ora al disco per un’ultima domanda: pensate che ci sia una canzone in Cowards che rappresenti gli Squid all’attuale stato di evoluzione, come lo avete chiamato poco fa?

Louis: Tu che ne dici, Arthur? Penso potremmo rispondere entrambi Blood on the Boulders. Quando l’abbiamo sentita la prima volta abbiamo pensato subito che suonasse davvero bene, senza bisogno di dover fare particolari interventi. Ci è piaciuto il fatto che parta con questo andamento moderato per poi cambiare completamente e diventare qualcosa di particolarmente rumoroso nascosto nel disco e molto divertente da suonare live. Ehi, a pensarci bene non l’abbiamo mai fatta live!

In alcuni il passaggi il disco mi sembra assumere toni simili a quelli di una colonna sonora. Recentemente St. Vincent ha fatto un lavoro simile, sfruttando il cinema come reference più o meno conclamata. Vi piacerebbe mettervici alla prova?

Arthur: Assolutamente sì. Io e Louis in verità stiamo già lavorando. Musica per un film: è una cosa che ci appassiona molto.

Louis: Sarebbe fantastico se un nostro brano facesse parte di una colonna sonora, ma è anche una cosa che mi fa riflettere. Tante canzoni possono essere giuste per diversi momenti di un film, ma al tempo stesso può essere davvero difficile definire quale canzone possa essere perfetta per un determinato frangente di un film senza essere stata appositamente composta per quello. Una colonna sonora intera sarebbe una sfida fantastica, perché si tratterebbe di riempire qualcosa di non-vuoto come delle immagini. Una cosa che appassiona davvero molto entrambi. In Cowards probabilmente Fieldworks potrebbe funzionare come sottofondo a delle scene ben selezionate, realizzate da un autore ben selezionato!

A breve parte il tour: quale data state aspettando di più? Quando avremo la possibilità di rivedervi in Italia? Avete date in programma?

Louis: Nel Regno Unito probabilmente la data che ci ha sempre dato di più è Manchester: lì ci divertiamo sempre parecchio. Siamo stati in Italia a fine estate 2023, mentre eravamo in tour per promuovere O Monolith e lo ricordo sicuramente come uno dei live più belli. Non è mai facile programmare un tour, ma è nei nostri piani cercare di aggiungere qualche data in Italia, Spagna e magari anche il sud della Francia.

Arthur: In tutta onestà organizzare un tour è davvero oneroso e al momento non so se la band abbia i mezzi in termini di tempo e di soldi per potersi permettere date ovunque si vorrebbe. Per cui organizzare un concerto deve sempre bilanciare le possibilità concrete di portare con noi tutto il possibile in termini di produzione e di suono e anche di trovare tempi e distanze coerenti con i piani della band. Al momento il massimo che potevamo garantire con i nostri standard è quello che abbiamo già in programma e abbiamo dovuto ottimizzare scegliendo determinate distanze e determinate date.

Squid
Squid | (c) Harrison Fishman