14 luglio 2023

Di disagi, tour bus con gli Interpol e tentati plagi: intervista ai Water From Your Eyes

Se non li avete ancora sentiti, vi conviene segnarveli: i Water From Your Eyes sono il duo più interessante uscito di recente. Il loro nuovo album Everyone's Crushed è un calderone di testi palpitanti e ritmi ipnotizzanti, una sorta di guida al  disagio personale e sociale. Rachel Brown e Nate Amos suonano ormai insieme da 7 anni e nonstante questo non sia il loro esordio è il loro primo passo verso le luci della ribalta: non solo hanno firmato per la Matador, ma si sono ritrovati ad aprire il tour degli Interpol e a partecipare ad Interpolations, il progetto di Paul Banks e soci dove chiedono ad altri artisti di interpretare i loro pezzi del loro ultimo disco The Other Side of Make-Believe. "Sono un po' come dei nostri zii" mi diranno sorridendo entrambi, mentre sorseggiano un caffè nella hall di un hotel milanese, dove ci troviamo per l'intervista. Una cosa è certa: le premesse per un bel futuro ci sono tutte.

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(c) Eleanor Petry

Everyone’s Crushed è stato recepito quasi come un album d’esordio, nonostante non lo sia e voi suoniate insieme da 7 anni. Siete felici che venga percepito così?

Nate Amos: Sono molto grato per aver avuto tutto il tempo di cui avevamo bisogno per capire cosa volevamo fare e trovare la nostra strada. Abbiamo passato 5 anni da band molto piccola: abbiamo potuto sperimentare molto e provare a fare cose diverse. 

C’è stato un momento di svolta?

Rachel Brown: Penso che sin dall’inizio avevamo entrambi la sensazione che questa band fosse la cosa più grande che ci fosse mai capitata. Quando abbiamo pubblicato il nostro primo EP, ricevemmo una recensione da un piccolo blog in UK e pensavamo fosse una cosa enorme. Oggi chiaramente non la viviamo più così, ma l’approccio è lo stesso. Ogni passo fatto è sempre stato un “wow, tutto questo è più grande di quanto ci immaginassimo”.

Nate: Non abbiamo iniziato a suonare insieme perché pensavamo che saremmo potuti arrivare dove siamo ora. Lo facevamo per divertimento e basta.

Rachel: Anche ora ci divertiamo! 

Nate: (ride, ndr) Vero! All’inizio però per me questo era un side project. Poi quando mi sono trasferito a New York è diventato il mio progetto principale. A Chicago avevo un paio di band, ed era su quelle che concentravo le mie energia.

Rachel: Per due anni il nostro è stato un progetto a lunga distanza.

Quando vi siete incontrati la prima volta per suonare, avevate influenze musicali simili?

Nate: Erano completamente diverse.

Rachel: Ero molto giovane, avevo 18 anni e le mie band preferite erano altre. Poi durante gli anni del college ho scoperto un sacco di nuova musica.

Nate, so che sei un grande fan dei Red Hot Chili Peppers.

Rachel: In realtà quella è la MIA band preferita, ma anche Nate li ama.

Nate: (ride, ndr) Li amiamo entrambi, sì. Un anno e mezzo fa li abbiamo riscoperti.

È stato per via del ritorno di Frusciante?

Rachel: Sì, penso di sì. Principalmente per quello e per l’uscita del loro doppio album nel giro di un anno. C’è stato un momento in cui il loro nome è tornato a circolare un bel po’ fra le persone che frequentavamo. In realtà non abbiamo ascoltato subito le nuove canzoni, ci siamo messi a riascoltare Californication.

Nate: Abbiamo comprato il CD per ascoltarcelo in macchina ogni giorno. Penso che abbiano diversi album forti, ma quel disco… È come, non lo so… Per me è enorme sotto molti punti di vista.

Rachel: Ce ne siamo ri-innamorati di nuovo insieme contemporaneamente. Eravamo in tour e passavamo le ore a riascolterceli dicendo “sì, questa è la band migliore al mondo!”.

Nate: Penso che per una band indie non sia affatto cool ammettere di amare i Red Hot, ma noi ce ne freghiamo. 

Rachel: Anzi, ci fa venire ancora più voglia di far sapere a tutti che li adoriamo! (ride, ndr)

Nate: Non sai quante volte mi ritrovo a spiegare con foga agli addetti ai lavori quanto i Red Hot siano la Grande Rock Band Americana dei nostri tempi. (ride, ndr). È una cosa che se la dici fa ridere. A molte persone della Matador non piacciono come band. (ridono, ndr) Ma ormai questa è una mia silenziosa crociata personale: cercare di spingere i Red Hot il più possibile.

Rachel: Ha addirittura ricevuto e usato una loro maglietta per una nostro foto promozionale!

Nate: Si è vero, è una maglia stupenda.

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(c) Ariel Fisher

Vi infastidisce avere delle etichette? Spesso venite definiti indie-pop.

Rachel: Penso che la gente ami catalogare tutto. Rende le cose semplici avere delle etichette da poter attaccare sopra alle cose. Se le persone vogliono usare quell’etichetta su di noi, perché no? (ride, ndr)

Nate: Sicuramente non stiamo cercando di fare un genere specifico. Creiamo e basta, poi come la gente lo voglia etichettare non mi interessa.

Con questo nuovo album sembra che davvero avete trovato una vostra identità.

Nate: Penso che questo sia stato il più grande salto che abbiamo fatto fra due album. È divertente, perché parte di questo progetto è costruire mondi diversi per ciascun disco che facciamo. Ma questo in particolare è davvero molto diverso da quanto fatto finora: è sicuramente il nostro lavoro più esposto e diretto. 

L’artwork dell’album mi ha fatto pensare molto al cinema anni ’70, ai western.

Rachel: Figo, si!

Nate: L’idea di partenza era proprio quella di un poster da film western.

Rachel: Abbiamo creato una cartella dove abbiamo messo un po’ di riferimenti da girare alla nostra illustratrice. Dentro ci abbiamo messo diverse immagini fra cui la locandina di Paris, Texas (film che adoro) e pure la copertina di Wish You Were Here dei Pink Floyd. E abbiamo aggiunto anche varie altre nostre foto che ci ha scattato una mia amica nel New Jersey. L’illustratrice ha fatto un lavoro incredibile e quando ci ha mandato il risultato finale ho subito pensato che fosse persino più bello di quanto avessimo mai potuto immaginare.

Water From Your Eyes - Everyone's Crushed artwork

La titletrack ha un significato molto personale per te, Nate. Ti va di parlarne?

Nate: Era un periodo molto buio, stavo lottando contro l’abuso di diverse sostanze. Ed era una cosa che andava avanti da un po’ di tempo. Avevo bisogno di rimettermi in sesto velocemente. E la prima volta che ho provato a ripulirmi totalmente ho resistito solo per 4 giorni. Quando ho scritto quella canzone ero riuscito a ripulirmi ed essere sobrio per la prima volta da quando ero un teenager. Era come se il mio cervello fosse in fiamme. È una canzone molto semplice e diretta, e le parole che dico spiegano esattamente ciò che stavo passando in quel momento. Mi sono reso conto di amare moltissimo le persone a me care e di odiare me stesso: ho capito che prima di tutto dovevo iniziare ad accettarmi e amare me stesso, per smetterla di ferire chi mi circondava. Quella canzone spiega un po’ tutto questo, non sento neanche di averla scritta io, ma più come se si fosse scritta da sola.

Scrivere il testo di Barley è stata quasi una sfida per voi: ho letto che avete cercato di “rubare” quanto più riuscivate da Fields of Gold di Sting.

(Ridono, ndr)

Nate: Esatto. La parte strumentale di quella canzone ce l’avevamo da tempo. Nella demo originale avevo anche registrato la parte vocale, dove però cantavo la melodia senza usare parole esistenti. Quello in realtà è una cosa accaduta spesso durante la creazione di questo disco: cercavo apposta di non usare parole, per non complicare troppo il lavoro di Rachel per la stesura dei testi. 

Rachel: Mentre abbiamo iniziato a lavorarci ho sentito le parole “fields of gold”. Abbiamo subito pensato alla canzone omonima di Sting. E visto che lui è noto per fare causa a tutti quelli che provano a usare le sue canzoni… Abbiamo pensato che sarebbe stato figo se fossimo riusciti a prendere in prestito dal suo brano quanto più possibile, senza rischiare di essere denunciati. (Ride)

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Effettivamente ha questa fama. È anche noto per chiedere soldi ai fan che decidono di andare a raccogliere per lui le olive della sua tenuta in Toscana.

Rachel: Sting produce olio d’oliva?! Oh mio Dio! (ride, ndr) 

Nate: Più tardi dobbiamo cercare questa cosa su Google!

Il videoclip di 14 è veramente molto bello, davvero cinematografico. Dove hai imparato a dirigere in questo modo, Rachel?

Rachel: Ho studiato produzione cinematografica e televisiva all’università. Lì ho imparato molte cose.

Ora tutto torna, non sembrava il video di una regista autodidatta.

Rachel: (ride, ndr) No. Ho studiato molto il visual storytelling, e ho fatto molti progetti dove dovevo dirigere direttamente io stessa. Tuttora ogni tanto mi ritrovo a fare video editing per altre persone. Anche se non è che dirigere sia la mia cosa preferita: c’è troppa pressione e responsabilità. Ma di sicuro lo apprezzo molto più ora che a scuola. E vorrei sicuramente dirigere più videoclip in futuro, ma essendo in tour ora proprio non c’è tempo.

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In tour siete davvero instancabili e suonate nei posti più disparati: avete accettato di suonare a Bakersfield solo perchè è la città dei Korn. Lo rifareste?

Nate: Siamo sopravvissuti, ma eravamo decisamente stanchi.

Rachel: Abbiamo fatto 18 live in 19 giorni.

Nate: Se dovessimo rifarlo, lo rifaremmo.

Rachel: Io non voglio! (Ridono, ndr)

Come sono andate le date con gli Interpol? Sembra che abbiate legato parecchio.

Nate: Ormai sono nostri amici!

Rachel: Sono dei giocherelloni! So che la gente pensa che siano seri tutto il tempo, ma per me sono i nostri silly guys. (ride, ndr) 

Nate: Arrivati a questo punto, penso che siano un po’ come dei nostri zii da tour. (ride, ndr)

Vi hanno dato consigli?

Rachel: È strano perché quando sei in tour con una band così grossa e importante, in realtà non hai molto tempo per passarci del tempo insieme. Se non sono a fare il soundcheck o a fare interviste, sono nelle loro camere di hotel. Ho passato molto tempo a parlare con Sam (Fogarino, il batterista, ndr) e mi è stato molto d'aiuto. Poi l’ultimo giorno del tour ci hanno invitati a viaggiare insieme a loro sul loro tour bus e lì abbiamo parlato molto anche con Paul. Ci hanno raccontato un po’ i loro inizi e i primi tempi della band.