09 aprile 2020

"In Italia si pensa alla forma e non al contenuto": intervista a Generic Animal

Un passato emo come chitarrista dei Leute, un presente come solista sotto il nome di Generic Animal e un nuovo disco: Presto (La Tempesta/Universal). Luca Galizia, classe '95, si muove con disinvoltura fra le linee di genere musicale, creando brani che difficilmente possono essere incasellati esclusivamente in una sfera emo, trap o indie. Numerosi gli ospiti del disco: da Massimo Pericolo a Franco126, senza dimenticare le incursioni di Joan Thiele e Jacopo Lietti.

La seguente intervista è stata fatta dal sottoscritto qualche giorno prima che iniziasse il tour, che di fatto non è mai partito per via dell'emergenza sanitaria tuttora in corso.

Ciao Luca, come stanno andando i preparativi per il tour?
Bene dai, ho fatto le ultime prove settimana scorsa, mi sono scassato la gola e mi sono preso il raffreddore, quindi in questi giorni mi sto bombardando di vitamine e antinfiammatori. In realtà mi sto ribeccando abbastanza in fretta, anche perché sabato ho il primo showcase piccolino e poi settimana prossima si tarella con il nuovo live con la prima data in Santeria a Milano. Bisogna farcela.

Come ti fa sentire la prospettiva di questo nuovo tour e di partire da un palco importante come quello della Santeria?
Molto sinceramente mi fa cacare addosso di paura. [ride]
Però sono super-eccitato all’idea di avere una band, di fare uno spettacolo vero, di non sentirmi più solo sul palco, di poter fare vedere finalmente quello che si è creato in due anni di attività tra live e collaborazioni. Questo mi sembra il momento giusto per fare un lavoro più figo sul live: hai di più, fai di più. Sono super-teso da un lato, però sono anche mega gasato di avere intorno un sacco di persone fighe che spaccano come piace a me e come piace a loro.

Anche perché tu sei cresciuto e hai iniziato con una band, i Leute: penso che per te sia importante tornare in tour con dei compagni di palco.
Di brutto! Anzi m’ero scordato un po’ cosa fosse fino a che non sono ritornato a provare quest’autunno: mi sentivo cresciuto e maturato a livello musicale. Cominci ad apprezzare la semplicità di alcune cose, l’intenzione di riprodurre alcune canzoni che hai scritto, che apparentemente ti sembrano difficili, ma che poi grazie all’aiuto di musicisti mega forti che capiscono il tuo gusto riesci ad arrangiare. È stata una bella scossa ricominciare. Avevo dentro da un po’ di tempo la malinconia della band, del fare gruppo e compagnia.

Com’è stato dover riarrangiare tutto per il live? Alla fine questo è un disco nato in una cameretta.
Sì, esatto. Diciamo che ci sono stati vari stadi di creazione, fino ad arrivare alla produzione in studio dell’ultimo disco. Ha tantissimo di mio tanto quanto di Fight Pausa. Mentre lo facevamo non pensavo troppo al doverlo riarrangiare poi per una band, però in linea di massima so che abbiamo fatto un lavoro da band, da ragazzi che suonavano in una band e quindi non abbiamo creato cose troppo artefatte. Poi riarrangiarlo live non è stato molto difficile, mi sono trovato molto bene con le persone che ho incontrato e scelto di coinvolgere. C’è un ragazzo che suona la chitarra che si chiama Michael Barletta ed è fortissimo: è un insegnate di musica e anche un’ex veterano hardcore di Rimini, visto che suonava la batteria in una band del posto. Ha veramente una visione a tutto tondo di quello che può riguardare il mio universo musicale che arriva da quelle cose ma che poi si trasforma in canzoni non di genere. Poi il batterista arriva anche lui dal punk, ha la sua visione ma è formato e quindi è molto leggero nel modo in cui suona, è molto arioso ma comunque con la sua pacca. Quindi insomma c’è stata poi una revisione di tutto quello che era stato fatto in studio, piuttosto che un riarrangiamento. Diciamo che è tutto piuttosto fedele a quello che mi immaginavo, ma risuonato con le mani di chi ho coinvolto.

ionicons-v5-c

Parlando del tuo processo creativo, di solito da cosa parti: dalla musica o dal testo?
Dipende molto dall’ossessione del momento. Non è mai uguale. Magari ho scritto prima una base o un riff, mi ci concentro troppo e finisce spesso che lo lascio da parte e lo riprendo più avanti. Quando si tratta di idee musicali è facile che queste finiscano abbandonate in giro. Invece per quanto riguarda il testo e le liriche sono piuttosto impulsivo: quando non riesco a portare in porto un’idea di testo e di voce insieme, la butto via subito.

Poi fai una sorta di collage di questi vari frammenti su GarageBand?
Sì, esatto. All’inizio ho cominciato looppandomi in continuazione. Infatti penso che il primo disco sia veramente libero semplicemente perché non riuscivo a fare di più. Però mi sono trovato bene così: ho trovato casualmente un’evoluzione grazie al fatto di avere capito cosa non ero riuscito a fare, cosa non mi era piaciuto abbastanza. Ho cominciato da dei loop andando verso una stesura più cantautorale e lineare. Dipende sempre dal testo: anche nel mio disco nuovo ci sono canzoni che non hanno esclusivamente una struttura quadrata, ciclica. Però l’idea del testo è che di solito sorregge tutto ed è legata alla melodia. Tutto quello che ci sta sotto delle volte viene in secondo piano anche se sono molto affezionato alle chitarre e al groove.

Poco fa mi hai detto che te la stai facendo sotto per questo tour. In 1400 canti «mi viene da vomitare / su 'sto palco è da svenire/ [...] e non è come l’università». È solo ansia da prestazione?
Alla fine è tutta ansia da prestazione. Le mie ultime esibizioni sono sempre state ospitate senza misura. Tipo: non suoni da sei mesi, la prima cosa che fai per tornare a suonare è fare un’ospitata al concerto di Massimo Pericolo davanti a tremila persone. Dici “ok, ma un pochino meno?” [ride].
Nel senso è una bomba sia chiaro, però sono sempre stato esposto a un pubblico più largo del mio. Fare il passo indietro è la cosa che ti spaventa di più, però in realtà non avendo suonato con un pubblico mio di duemila persone, non so cosa voglia dire. La mia ansia da prestazione è molto più legata all’avere uno show nuovo, delle canzoni nuove: devo prendere confidenza con me stesso di nuovo. Anche se poi è tutto dentro di te: basta cercare di concentrarsi. Tornando a provare con la band mi sono anche riaffezionato alla cosa più figa del mondo: suonare ed esibirsi come musicista è una cosa bella. Magari non tutti la pensano come me e provano lo stesso piacere, però ci vuole anche tanto tempo per apprezzarla questa cosa, soprattutto quando ne fai una necessita di carriera quella di suonare.

Tu hai anche fatto da chitarrista nel tour estivo di Rkomi.
Esatto. Lì al contrario c’era un pubblico non mio che comunque cerchi di affrontare anche se non ti riguarda.

Quindi la vivevi libero da queste ansie?
Sì, anche se poi ovviamente ti senti anche in soggezione delle volte. Fare il turnista per un chitarrista come me, ovvero un non-chitarrista, è abbastanza particolare. Prestarsi e mettere sempre del tuo in qualcosa che non è tuo per un lungo periodo è sia figo sia tosto. Portarsi a casa la reputazione di avere fatto una cosa in un contesto che non è esattamente il tuo, anche se ti ci ritrovi.

ionicons-v5-c

Hai prodotto tutto il disco con Fight Pausa (Carlo Porrini), che è un tuo carissimo amico. Hai mai avuto paura che non fosse imparziale?
Bella domanda… In realtà ho sempre avuto una fiducia cieca. Penso di essere stato magari più accondiscendente io in alcune occasioni, ma perché mi fidavo molto della sua visione in alcune cose. Abbiamo due livelli diversi di valutazione sia della produzione che della scrittura. Ci compensiamo molto bene ed è sempre stato così sin da piccoli. Lui è una persona molto attenta al sostegno che dà il ritmo e all’arrangiamento delle canzoni, mentro io lo sono riguardo alla scrittura di pezzi e al songwriting. Ci siamo fidati tantissimo nel fare questa cosa. Nel rinunciare ad alcune parti o ad aggiungerne o toglierne un sacco. È stato veramente un lavoro da equilibristi. Io ho sempre avuto il mito nei suoi confronti: è sempre stato il mio amico studioso, è polistrumentista e uno dei musicisti con cui ho suonato di più. Un po’ sarò io che enfatizzo la cosa, però so che anche lui ha una buona stima di quello che faccio. Non a caso siamo tornati e abbiamo fatto il mio disco. Quindi la paura vera e propria si è sempre risolta agendo, facendo qualcosa. Quando tentennavo su una cosa si è sempre trovata una soluzione poco dopo nel tempo. Non ci siamo mai dilungati troppo. Ci sono stati sicuramente dei giorni duri, perché lavorare su dei pezzi scritti in maniera fitta ci ha complicato un po’ la vita: magari hai questa demo completa e ti affezioni troppo al suo suono ma non è quello che vorresti nell’estetica completa del disco. Però alla fine ce la siamo cavata sempre.

Ormai questo è il secondo album che scrivi da solo (i testi del debut erano stati scritti da Jacopo Lietti ndr). Cosa ti ha fatto scattare quest’esigenza? Ti senti più a tuo agio come paroliere ora?
È stato un po’ a caso. Nel senso che una volta che avevo finito di registrare il primo disco mi sono detto “vabbè ci provo anch’io”. Non avevo nessun obbiettivo a livello artistico o personale. Certo mi ero dedicato, sapevo che avrei dovuto promuovere un disco, perché ormai lo avevo finito e mi piaceva. Mentre ero in vacanza mi ricordo che avevo iniziato a scribacchiare un po’ cose che in realtà non mi tornavano tanto: infatti le prime cose scritte sono state le prime ad essere state scartate e ad aver fatto scattare quella cosa che mi ha fatto scrivere Gattino o Aeroplani. Sono dei testi semplicissimi che però sono un discorso nella mia testa e quindi mi sono usciti così com’erano. E quindi un po’ scherzandoci sopra, un po’ avendo l’urgenza di farlo sempre di più nel tempo, ho continuato a farlo. Jacopo è stato il calcio iniziale, mi ha spinto tanto, è stato veramente forte.

Riguardo al tuo brano Nirvana hai detto che «A volte mi metto nei panni di un padre, mi chiedo cosa avrei da raccontare, cosa fare per farmi accettare. Fossi nato a fine anni ’70 mi giocherei la carta dei Nirvana al Bloom di Mezzago». Il concetto che passa quindi è che le vecchie generazioni abbiano molti aneddoti fighi da raccontare. I Millenials possono vivere solo attraverso i ricordi degli altri?
In realtà sai, non è male vivere nella cultura dei ricordi, nella storia delle cose che ti piacciono e che trovi nella ricerca che uno fa ogni giorno. Secondo me adesso non è il momento di trovare queste definizioni. È un momento di transizione di iper-velocità, iper-conoscenza e iper-ignoranza. Si costruirà nel tempo. D’altra parte siamo ancora giovani per poter dire di avere dei ricordi delle volte. Però possiamo continuare a cercare quello che ci appassiona di oggi o del passato se abbiamo voglia e andrà bene lo stesso. Sicuramente ci sarà qualcosa da raccontare. Quanti iPhone sono usciti in dieci anni? Un sacco! Non ne è uscito neanche uno negli anni Novanta. [ride] No scherzo, è tutto vero a metà. Magari sarà un periodo di cui non si racconteranno tanto gli eventi legati alla musica se non strettamente all’evoluzione di pochi generi, che sono uno strascico di cose che vengono dagli anni Novanta. Magari invece si racconterà tantissimo della tecnologia. Non saprei. Sicuramente si racconterà.

ionicons-v5-c

Presto è un album a tratti nostalgico. Ti manca essere adolescente? E da adolescente eri felice di esserlo o non vedevi l’ora che finisse?
Sai, è un limbo strano, perché in realtà ci sono tante cose che mi sono goduto e che ho scoperto, però non c’è niente che rifarei davvero dall’inizio alla fine. Se avessi l’opportunità una volta al mese di rivedere da fuori un giorno della mia adolescenza o di sentire quello che sentivo al momento lo farei. Poi basta, come se fosse una giostra. Quindi non è che mi manca la mia adolescenza, mi piace pensarci perché ci sono tante cose sui cui riesco a riflettere solo ora che sono un po’ grande e altre che mi divertono perché è stato un momento di sbando e di formazione.

L’outro di piano del primo brano Como By Night viene poi riproposto in Alveari, traccia centrale dell’album. Come mai questa scelta?
Mi piaceva l’idea di riaffrontare il tema delle api, degli alveari, riaprirlo un po’ per prendere aria. Di fatto è una canzone di Niccolò con un tema a pianoforte scritto a quattro mani che è un sample preso da una mia canzone. Serve a creare una pausetta nel disco, che a me emoziona un botto: mi fa proprio prendere aria il fatto di non sentire la mia voce. Mi piace che ci sia una piccola parentesi o digressione. Ci intrippava questa cosa: “ok, se vogliamo che lui canti questo testo sul tema degli alveari, dobbiamo anche trovare un nesso col significato iniziale di Como By Night”. Ci siamo fatti molti trip, molto semplici, come lo è il pezzo.

Rimanendo in tema Alveari, volevo chiederti cosa ne pensi delle parole usate da Carlo Pastore per descriverti: «Immaginiamo che l’alveare sia la musica italiana di oggi: la trap regina e le indie api, i fuchi dell’industria discografica nel loro rinascimento digitale. A lanciare il sasso, per il brivido e per il rischio, è Luca Galizia in arte Generic Animal».
È un po’ così. Magari per il brivido e per il rischio lanci il sasso e scappi. O magari stai lì a vedere cosa succede. Penso che sia veramente quello che dev’essere. Infatti mi prende bene che lui abbia colto questa cosa con questa metafora: c’è il rischio e il brivido di fare questa cosa con questo disco. Qualsiasi libertà che mi sono sentito nel momento in cui lo stavo facendo è dentro nell’album.

Il tuo nome d’arte, nato da quel tuo disegnetto senza sesso e senza genere, delinea bene l’eterogeneità delle tue influenze: emo, trap, hip hop. Parlaci un po’ delle tue influenze per questo disco.
Devo dire che sono svariate, perché alcune canzoni magari hanno la matrice proprio legata a dei brani pop-punk nell’essenza, robe che non riesci a cogliere se non sei me. Ero lì e dicevo “ho in mente la linea vocale di un pezzo, non voglio copiarla, ma voglio che ci siano queste note, quest’espressione qua”. Quindi ci sono alcune cose pop-punk 2008/09 come gli Story So Far, i Title Fight. Ci sono controcanti, idee di forma, citazioni, cose che mi porto dietro da dodici anni. Ci sono molte influenze dai BROCKHAMPTON, boyband hip hop trasformista che mi ha fatto gasare di più negli ultimi due, tre anni. Lo dico senza paura. Sicuramente l’energia che ti danno alcuni artisti anche solo ascoltandoli, ti fa venire voglia di creare. Per quanto riguarda i testi invece non c’è niente di specifico che mi ispiri a scrivere o delle references a cui fare riferimento. Quella parte è molto free.

Rimanendo in tema di influenze musicali, mi risulta che sei fissatissimo con (Sandy) Alex G. Secondo te c'è qualcosa nelle produzioni estere che manca in Italia e cosa ti piace di queste?
Secondo me in Italia c’è solo approssimazione: un’idea data dall’ascolto distratto di cose fighe che viene sempre tramutata in “ah! Tipo quella roba lì” o “ah no! Facciamo una chitarra grunge”. È tutto mega approssimativo, si pensa solo al risultato, non si pensa al percorso. Si pensa alla forma finale e non al contenuto, senza voler lavorare con la cultura dell’appartenenza e con i mezzi del saper far le cose, scrivere idee fighe. Quindi la produzione nasce da quello e delle volte anche essere minimali in modo conscio è la cosa più stilosa. (Sandy) Alex G secondo me racchiude tutte queste cose nel senso positivo. Sportstar (pezzo contenuto in Rocket) è una follia, è un brano in 7/8 con la voce tutta pitchata e un pianoforte sospeso, come Bad Man dell’ultimo disco di cui ha fatto due versioni: una tutta pianoforte, l’altra invece con batteria e un assolo country. C’è veramente un divario e una varietà pazzesca nel modo in cui produce. C’è qualsiasi tipo di influenza americana, dalle cose californiane al mid-west nonostante lui sia di Filadelfia. Non lo so, effettivamente io non conosco né l’artista né quali siano le sue influenze, però è un artista in cui rivedo tanto tutto quello che mi piace. C’è poca gente che ha questo appeal su di me.

Parliamo un po' dell'artwork del disco e del tuo nuovo logo. Mi ha fatto pensare tantissimo a quello della Nintendo. È un riferimento casuale?
Diciamo che c’è una reference legata ai videogame e ai giocattoli. In tutta la copertina, nella parte grafica 3D c’è proprio una specie di lavoro di ricerca sui giocattoli e sui videogiochi degli anni Novanta. E quindi non è del tutto sbagliata questa tua considerazione.

Invece la stella rossa ha un significato?
È solo un po’ imperativa. Poi è la prima volta che non faccio io i loghi ma ci lavorano i grafici nella direzione artistica e quindi è semplicemente più rimandabile rispetto a quello che potevo fare io.

Te lo chiedevo perché nell’immaginario comune, la stella rossa ha un significato ben preciso...
Certo il CCCP! Proprio straight forward [ride]
In realtà mi piace che un po’ alluda a questa cosa, perché è sia un simbolo da Blink-182 o Jimmy Eat World, sia un riferimento un po’ “stronzo”. Mi piace che non sia facilmente incanalabile in qualcosa… però è sempre una stella rossa. [ride]

Domanda da nerd cinefilo: nell’artwork ci sono disegnati dei VHS sotto al letto. Che film sono? Non riuscendo a leggere bene mi chiedevo se i titoli fossero reali o immaginari.
Sono i miei film preferiti! Ce ne sono svariati, ma non me li ricordo tutti. Sono sicuro ci sia Goodfellas: uno dei miei film preferiti di sempre.

Concluderei chiedendoti un’anticipazione sul tuo tour: ci possiamo aspettare ospitate da parte di Massimo Pericolo, Franco126 e co.?
L’anticipazione ufficiale è che settimana prossima ci saranno sia dei membri live extra (un sax e un tastierista) e saliranno sul palco anche Massimo Pericolo e Nicolaj Serjotti. Il resto è ancora una sorpresa!