27 giugno 2025

I primi 20 anni di Sexto 'Nplugged raccontati da Fabio Bortolussi

Unicum è probabilmente la parola migliore per descrivere quello che Sexto 'Nplugged rappresenta nel panorama dei festival italiani, sia per la proposta musicale sempre sapientemente selezionata, sia per lo spirito identitario che è riuscito a creare con il luogo stesso in cui si tiene. Il complesso abbaziale e il borgo di Sesto Al Reghena, borgo tra i più belli d'Italia in provincia di Pordenone, deve sicuramente molto all'idea di un piccolo gruppetto di appassionati con un spiccato spirito di iniziativa e loro stessi devono molto al borgo, che ha da subito trasformato il festival in un unicum, appunto.

Per farci raccontare un po' la nascita, la crescita e le evoluzioni di uno dei festival italiani più suggestivi (e di cui siamo da anni orgogliosi media partner), abbiamo fatto una bella chiacchierata con uno dei principali fautori sin dagli albori: Fabio Bortolussi, co-fondatore e co-direttore artistico del festival. Nato e cresciuto nel borgo che da vent'anni ospita il festival, nessuno meglio di lui poteva sicuramente raccontarci cosa significhi il festival e come la dimensione spaziale e la costante ricerca siano fondamentali nella riuscita di eventi di questo tipo. E soprattutto cosa aspettarsi da questa ventesima edizione, che dal 3 al 6 luglio vedrà come headliner i Molchat Doma, Black Country, New Road, Anna von Hausswolff e Baustelle (biglietti disponibili qui).

La lineup del Sexto 'Nplugged 2025

Fabio, è un piacere ritrovarti e poter parlare con te della storia di questo festival che ha saputo affermarsi fondandosi sulla passione, la dedizione e il lavoro di persone come te. Il tuo legame con il festival va oltre la semplice e mera direzione artistica.

Io sono nato e cresciuto a 20 metri dal luogo in cui attualmente si posiziona il palco e dalla zona focale di tutto il festival. L'abbazia, il borgo, il castello sono un luogo magico, per noi che ci siamo nati ma anche per chi lo visita e viene a visitarlo e viverlo, artisti compresi. Più volte è successo di vedere videoclip di artisti che contenevano passaggi girati proprio a Sesto Al Reghena. Passo subito ad un esempio: nel 2017, per fare un nome, hanno suonato gli Air e da amici appassionati e addetti ai lavori ho saputo che non avevano mai assistito a un loro concerto così speciale come quello che avevano messo in scena lì. La piazza ha un potere incredibile, strega l'artista, che percepisce l'energia e quando sale sul palco, sente l'acustica e quello che ha attorno finisce per dare qualcosa in più. Ma potrei davvero fare tanti nomi di band o artisti che hanno provato lo stesso.

Effettivamente l'abbazia ha un grande impatto sullo scenario e sull'atmosfera dei concerti.

Ha un impatto molto forte, anche per la sua storia e i misteri che la coinvolgono, è piena di contraddizioni. Chi ha un animo sensibile si lascia per forza trasportare. Io credo che questo tipo di energia l'artista riesca a percepirla e di conseguenza si ripercuota sulla resa sul palco e sulla riuscita del concerto e dell'esperienza in generale. Un discorso simile si può sicuramente fare sulla Piazza Castello (ora Cortile del Castello, ndr) che ha sempre ospitato Ferrara Sotto Le Stelle. A Sesto i camerini per gli artisti li prepariamo nella foresteria che c'è sopra l'abbazia, un posto in cui un tempo potevano sostare tutti i pellegrini religiosi e non, e gli artisti, soprattutto quelli americani, rimangono sempre a bocca aperta una volta che ci mettono piede: c'è anche chi ci ha chiesto se fosse possibile affittare gli spazi per un anno intero. E si ritorna a quel discorso di legame profondo con il luogo e le sue funzioni. La foresteria stessa ha una storia incredibile, di vite travagliate e passate al suo interno: ci dormivano i pellegrini, religiosi e non, che passavano da qui e durante e dopo le guerre mondiali anche le donne che rimanevano vedove e sole.

La piazza di Sesto Al Reghena durante Sexto 'Nplugged
Sexto 'Nplugged | Foto press

Possiamo dire che siete stati dei visionari, precursori di un movimento di riqualifica e ripopolazione dei borghi e della provincia che adesso sembra stia prendendo sempre più piede anche a livello socio-economico.

Tutto nasce nel 2003-2004, con quella che era ai tempi la Pro Sesto, l'associazione pro loco del borgo, che grazie al supporto regionale promuoveva un'iniziativa a tema musicale chiamata Estate Musicale. Si trovavano i concerti di musica classica e i balletti, tipicamente. La nuova generazione di allora, quella di cui facevamo parte noi di Sexto e che aveva sempre vissuto la vita di associazione e festival, era arrivata alla consapevolezza che sarebbe servita una fidelizzazione del pubblico. Si passava dalla musica leggera cantautorale, come ad esempio Battiato, ai solisti veneti: era troppo poco identitaria. E il pubblico di conseguenza calava, i tempi cambiavano e le presenze si modificavano anche a causa dei gusti che si evolvevano. Erano finiti i tempi dei musicisti con lo smoking degli anni '80 e si era creato quello stallo tra tradizione e consapevolezza interiore di dover cambiare un apparato che non stava più in piedi. Così noi giovani di allora, che frequentavamo già Ferrara e il Castello, ci siamo detti che era arrivato il momento di cambiare le cose. Ferrara aveva a disposizione una piazza intera e poteva ambire a concerti di un certo calibro: noi avevamo l'abbazia e dovevamo farci arrivare l'indie rock dentro. Non è stata una passeggiata.

Ma alla fine ce l'avete fatta. Qual è stata quindi la vostra idea per fare breccia in un ruolo così intimo?

Inizialmente abbiamo pensato di chiedere ad ogni artista di rivedere il proprio repertorio in una forma unplugged, e da qui il nome del festival. Non volevamo qualcosa di acustico, ma non potevamo osare con qualcosa di troppo invasivo: la dimensione unplugged è stata quella naturale per mettere d'accordo tutte le parti. Penso ai Charlatans accompagnati da un quartetto d'archi, ma ne abbiamo fatti tantissimi e sarebbe ingiusto soffermarsi sui singoli nomi. Poi ovviamente all'inizio un po' di no ci sono stati: non ci conoscevano e riempire le quattro date su cui lavoriamo era difficile. Non avevamo un passato, ci serviva la nostra storia per costruirci il nostro futuro.

E quindi da dove siete partiti?

La prima edizione è stata quella del 2006, dove ospitammo Carmen Consoli, L'Aura, Quinto Rigo... poi in quasi tutte le prime 2-3 edizioni abbiamo scelto anche chi suonasse colonne sonore o musica d'atmosfera, per appunto colmare la programmazione delle quattro date. La svolta è arrivata nel 2007, quando suonarono Antony and the Johnsons: è stato il momento in cui Sexto trovò la sua carta d'identità e il suo biglietto da visita in un solo colpo. Con loro, i concerti a Sesto e la nascita di un nuovo festival furono in un certo senso ufficializzati e sdoganati e nel giro di pochi anni i nomi divennero sempre più importanti e ci potemmo permettere di rimuovere gradualmente la dimensione unplugged.

Sesto al Reghena
Sexto 'Nplugged | Foto press

La ricerca stessa degli artisti immagino quindi che fosse fatta direttamente da voi organizzatori, senza agenzie esterne.

C'eravamo noi e un solo promoter da Pordenone: Virus Concerti fondata da Attilio Perissinotti. Lui è stato il primo a credere in noi, nella nostra idea e nel nostro progetto. Poi sono arrivate Comcerto e Indipendente Concerti, che ci hanno aperto le porte a nomi come Mogwai e Interpol. Poi DNA Concerti di Roma, e infine via via tutte le altre: eravamo diventati reali, una piazza appetibile per artisti che potevano ambire a certe piazze. Abbiamo fatto anche tante co-produzioni in cui noi di fatto aprivamo la piazza, e di conseguenza il nostro nome e la nostra cassa di risonanza.

Una missione nobile e che portate avanti con grande convinzione e, non banale, con risultati eccellenti. Ci sono stati momenti delicati o difficoltà legate a qualche evento nel vostro percorso?

Per rispondere dico che non ci siamo fermati nemmeno nel 2020, l'anno in cui il Covid diede il meglio di sé. Ovviamente ogni edizione è una storia a parte, alcune riescono lisce e altre sembrano corse ad ostacoli: fa parte del gioco e della situazione. Non abbiamo mai vissuto neanche una crisi identitaria, a mio parere. Probabilmente una piccola svolta la stiamo vivendo ora, con il Sexto che naviga a vele spiegate nella sua rotta e Convergenze che spero possa, come credo, ritagliarsi uno spazio tutto suo. Per ogni attività, realtà o festival come nel nostro caso arriva il momento in cui uno deve fare i conti con chi è e che cosa vuole fare e diventare. Sono convinto che quando organizzi un festival, che sia Sexto ma anche qualsiasi altro evento, non solo hai bisogno di avere una certa proposta, ma devi anche saper costruire un'immagine perché nel mondo di oggi purtroppo la maggior parte delle persone si muove perché "andare nel posto x è figo". Senza parlare poi del fatto che in determinati contesti i costi e i cachet per convincere un artista a suonare su un certo palco finiscono per drogare il mercato e indebolire ancora di più magari la dimensione più piccola. ma molto più identitaria.

 - Sexto 'Nplugged
Convergenze 2025

Come ha fatto Sexto a mantenere intatta questa personalità e continuare ad essere sostenibile?

Attraverso le idee. Abbiamo introdotto l'area Lounge in un parco adiacente alla piazza in cui si tengono i concerti, dj set al femminile, cibo. Questo è stato anche lo sviluppo più naturale per una comunità: c'è chi, come noi, aveva l'idea della musica e ha curato la parte legata ai concerti a quella culturale; ognuno può avere una sua parte nella storia. Poi ci sono tantissimi altri progetti collaterali, che si svolgono in contemporanea al festival e altri che invece ci vedono come co-protagonisti. Cito nuovamente Convergenze, il Grindhouse che è della Pro Sesto ma ci vede partecipare come fondatori in cui alcuni curatori della zona scelgono ogni anno un segmento particolare di cinema su cui focalizzarsi e proporre proiezioni. Poi partecipiamo al Far East di Udine, un festival dedicato al cinema asiatico. A luglio avrà luogo un evento di land art organizzato dal comune di Sesto al Reghena e di cui saremo partner. Ci sono poi gli audioforum, l'anno scorso ne abbiamo organizzati tre a Pordenone in tre diverse location, a cui poi si è aggiunto quello con gli Slowdive, e quest'anno replicheremo con altri tre. Questo è un format che ha trovato grande riscontro e di conseguenza successo: c'è un relatore che oltre a raccontare le storia del tema scelto, viene accompagnato da video e da immagini che danno l'effetto di una conferenza o di una vera e propria lezione.

Tantissima carne al fuoco!

Questi primi vent'anni, anche se fa strano dirlo, in un certo senso ci sono serviti per costruirci, in tutti i sensi. L'associazione culturale che abbiamo costituito all'interno della pro loco di Sesto Al Reghena, per tornare alla storia che ti tracciavo prima, è stata fondamentale ed è davvero attiva e strutturata. Un bene a livello logistico ma anche perché la varietà di idee e di proposte ti consente di arricchirti e di rimanere attivo tutto l'anno. Secondo me c'è un passaggio fondamentale che vale per il festival ma per ogni tipo di proposta: avere come obiettivo quello di fare colpo e appassionare, un po' come tutta la cultura in generale. Il nostro scopo è quello di far vedere qualcosa che magari una qualsiasi persona non aveva potuto o voluto notare fino a quel momento. Come? Differenziando la proposta, organizzando concerti e poi altre proposte collaterali che possano creare interesse. Questa è sempre stata la nostra mentalità.

E come vi ponete davanti ai risultati? Avete notato cambiamenti nel pubblico che frequenta Sexto e Sesto Al Reghena?

Il pubblico è cambiato tantissimo nel tempo. Siamo passati dal super cultore delle band proposte nei primi anni a un pubblico molto più variegato al momento in cui la proposta si era aperta anche grazie ai promoter, che ti possono portare gente che abbiamo già nominato come Mogwai, Interpol, Of Monsters And Men, The Lumineers. E passaggi come questo portano anche delle critiche proprio da parte di quei super cultori che fino a quei concerti si godevano la location per la sua acustica e atmosfera, come fossero in sala di registrazione. Sono dinamiche a cui si va incontro in modo naturale quando si cresce e quando ci si fa notare nel panorama nazionale. Posso citare per fare un esempio di questa dinamica Cosmo: sicuramente si distanzia da quella che era l'idea di partenza del festival, ma ti posso assicurare che ha fatto un concerto allucinante, ovviamente nel senso positivo del termine. Il pubblico era ovviamente diverso rispetto a quello degli unplugged delle prime edizioni, ma lì si trova un punto di svolta: la sfida diventa il saper trovare la fetta di pubblico che prende sia il gusto musicale ma anche che sia consona all'identità data dal luogo.

Sexto 'Nplugged, il ponte del borgo
Sexto 'Nplugged | Foto press

Secondo te, quali sono le realtà in Italia che sono riuscite a mantenere questa mentalità e a proporla rimanendo fedeli alla loro storia?

Beh sicuramente il Ferrara Sotto Le Stelle, ma penso anche Arti Vive e Acieloaperto: hanno tutte uno spirito identitario e una bella idea legata al luogo. Acieloaperto in particolare ha anche un'associazione culturale, Retropop Live, che si occupa davvero di tantissime cose e quindi meritano attenzione. Poi citerei Ypsigrock, che nonostante qualche problema si farà e sono molto contento.

E invece fuori da Sexto, cosa ne pensi del panorama musicale e soprattutto del panorama di proposta musicale proprio in termini di concerti?

Manca un po' l'attenzione nei confronti della dimensioni medio-piccola, su cui invece c'è grande bisogno di investire perché è probabilmente la più soddisfacente per artista e fruitore. L'impressione è proprio quella di una socialità diversa e anche ovviamente di una diversa fruizione del suono, come se ti ascoltassi un concerto in salotto. Sembrerò ripetitivo, ma l'obiettivo di Convergenze sarà proprio quello: estremizzare la ricerca sul suono e sull'estetica per poter mantenere sostenibile una dimensione medio-piccola di gente realmente interessata a vedere cosa c'è di nuovo. Non sarà la soluzione del mondo e del mercato, ma un piccolo passo verso una proposta culturale più ampia. Che poi è lo stesso pensiero di quando nacque il Sexto e quindi mi ritrovo vent'anni dopo ad avere la stessa esigenza: c'è bisogno di nuovo, di ricreare un nuovo tipo di percorso, perché piano piano le dinamiche di mercato hanno portato alla deriva il nostro rapporto naturale con la musica e l'arte. La sopravvivenza dei festival delle nostre dimensioni ne è la dimostrazione: una volta era possibile essere sostenibili con una proposta culturalmente rilevante, ma commercialmente piccola, ora è molto più difficile. Mi piacerebbe che questa attenzione verso la parte culturale del Sexto possa rappresentare un riferimento per far partire un qualcosa in qualsiasi parte d'Italia. Il passato deve essere un riferimento, ma non un freno: i gusti, le tecnologie, la mentalità evolvono e bisogna farsi trovare pronti a saper cercare la novità che non alteri identità e dimensione del festival. Questa è sempre stata la nostra mentalità.

Ce ne vuoi parlare?

Certo! Si tratta di uno spin-off se vogliamo di Sexto, un festival che è già alla sua quarta edizione ma che secondo me ha potenziale per essere sviluppato ulteriormente. Sexto come giustamente stiamo raccontando ha una sua linea artistica, una sua storia alle spalle, da cui difficilmente ci si potrà allontanare nettamente. Convergenze per le prime tre edizioni si è svolto vicino a Sesto Al Reghena, nei pressi di una torre vedetta dell'abbazia (la torre del Parco delle Fonti di Torrate, ndr), ma per una serie di problematiche legate al contesto in cui si svolgeva ci sposteremo quest'anno alla Centrale Idroelettrica del Malnisio. Un'ex centrale idroelettrica pedemontana che di fatto dava la luce a Venezia. Hanno riqualificato e ristrutturato l'area: un posto particolare e bellissimo. Il comune di Montereale Valcellina ci ha chiesto e proposto di spostare il festival proprio lì.

Qual è il target di Convergenze?

L'elettronica. Al momento è sicuramente il genere in cui c'è più sperimentazione e possibilità di fare ricerca. Siamo partiti nella prima edizione con artisti della zona perché come in tutte le cose devi capire e guardarti attorno, guardare le reazioni. Abbiamo visto che la cosa piaceva e quindi siamo passati a Daniela Pes due anni fa e JoyCut l'anno scorso. Ma la cosa interessante è sicuramente l'ampio spazio dedicato alla cultura, con una collaborazione ancora più stretta con la Fondazione Pistoletto che cura le installazioni e la parte dedicata all'arte. Per questo dico che c'è potenziale e possibilità di sperimentare e continuare a introdurre elementi.

Veniamo ora al presente: qual è l'apporto di Fabio Bortolussi all'edizione numero 20 del Sexto 'Nplugged?

(Ride, ndr) Beh continuo a partecipare alla direzione ovviamente, a partecipare al confronto sulla linea artistica. Il mio contributo è sicuramente Anna von Hausswolff, che ho voluto fortemente. Penso sia anche il concerto ideale per il nostro festival: suono ricercato, proposto in full band e come unica data italiana. Poi i Baustelle sono la quota italiana che nel nostro festival c'è sempre stata, cito Cosmo e Verdena delle edizioni 2024 e 2023. Poi ci sono i Black Country, New Road che sono eclettici e offrono un grande spettacolo che consiglio davvero a tutti i gusti, e i Molchat Doma. La cosa di cui spesso non si tiene conto è che per organizzare festival come il Sexto si partecipa a bandi pubblici, in cui la proposta musicale e culturale deve soddisfare tantissimi parametri per permettere al festival stesso di continuare ad esistere e sostenersi. Ed è lì che si vede quanto uno ci sa fare.

Molchat Doma Fabrique Milano concerto
I Molchat Doma, headliner del Sexto 'Nplugged 2025 | Credits: Maria Laura Arturi

La lineup del Sexto 'Nplugged 2025 - XX Edizione:

3 luglio: Molchat Doma4 luglio: Black Country, New Road5 luglio: Anna von Hausswolff6 luglio: Baustelle

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