A tre anni dal suo ultimo disco, Canzoni per metà (2016), Giuseppe Peveri – meglio conosciuto come Dente– decide di raccontarsi ai suoi ascoltatori attraverso un nuovo album, intitolato semplicemente Dente. Uscito il 28 febbraio scorso, proprio il giorno del suo compleanno, con questo disco Dente si è messo in gioco e ci ha messo la faccia (proprio in copertina), cambiando il suo modo di fare musica senza però snaturarsi e mettendosi a nudo, tra nuove consapevolezze, riguardanti lui stesso ed il mondo che lo circonda. Abbiamo quindi fatto due chiacchiere la settimana scorsa, riguardo questo suo nuovo lavoro, riguardo lui e riguardo il tempo che scorre ed i cambiamenti che porta con sé.
Claudia: Innanzitutto, come va?
Dente: Bene, tutto a posto: sono vivo!
Parliamo di musica, avevo piacere di far sapere ai nostri lettori qualcosa di te: chi sei, come nasce Dente… Insomma, parlarci un po’ di te.
Eh, è un po’ lunga!
È una domanda molto complessa e generica e la risposta potrebbe portarci via tipo un paio di giorni. Diciamo che se dovessi presentarmi, ti dico che sono un cantautore che nasce con una grande passione per la musica da ascoltatore. Da ragazzino ero un grande ascoltatore di musica e poi in tarda età, intorno ai 20 anni, ho cominciato a suonare e a scrivere canzoni. Da lì ho continuato a farlo. Poi le cose mi sono andate bene e adesso lo faccio nella vita, ed è una cosa molto bella. Questa potrebbe essere una biografia in trenta secondi.
La seconda domanda che avevo piacere di farti era se ti vengono in mente 3 brani, sia tuoi o altrui che possano appunto descriverti o dire qualcosa di te, della tua musica, che siano simbolici in qualche modo.
Non è facilissimo perché parlando di musica, come ti dicevo, da ascoltatore ne ho macinata tanta, quindi ridurre a 3 pezzi cose che mi rappresentano è molto difficile. Sicuramente posso dirti una canzone a caso di Battisti: penso che mi rappresenti perché è ciò che ho ascoltato di più nella vita. Potrebbe essere anche una canzone a caso del mio primo disco, perché è l’inizio di un’avventura che è arrivata fino a qua. Poi direi una canzone a caso del mio ultimo disco, che è un po' come un secondo esordio… Anzi, non una a caso, diciamo Anche se non voglio.

Parlando appunto del tuo ultimo disco: ti ho sentito più consapevole di te stesso, più protagonista rispetto ai tuoi lavori passati. Cos’è successo e come ti sei sentito cambiare rispetto al tuo ultimo lavoro?
È successo che… non lo so cos’è successo. Penso di essere semplicemente diventato più grande e come tutte le persone, cambio. Si cambia, si cambiano un pochettino anche i modi di essere e anche i modi di fare. In questo disco ho cambiato tante cose. Tecnicamente sono cambiate tante cose: dalla scrittura, al pianoforte invece che la chitarra, al modo di produrre il disco - un modo sicuramente diverso dal precedente, molto più contemporaneo -, ma questo probabilmente è una conseguenza anche del fatto che sono evidentemente cambiato io. Non ti so dire, ma sicuramente sono cambiato rispetto a qualche anno fa. È un cambiamento che si concatena l’uno con l’altro e che insieme hanno prodotto questo disco, e ci metto anche il naturale avanzamento dell’età.
Ho notato appunto che parlavi spesso del tempo, c’era sempre questo leitmotiv che ritornava. Ti andrebbe di spiegarci cosa rappresenta per te il tempo e che ruolo gioca all’interno di questo tuo ultimo disco?
Mi sono sempre interrogato sul tempo e ne ho anche già scritto in passato. In questo disco lo state notando di più forse perché c’è un po' di più. Comunque, lo scorrere del tempo è un argomento che mi ha sempre fatto pensare: lo scorrere del tempo, il diventare, il crescere ma anche l’invecchiare. In questo disco quindi parlo un pochettino anche del futuro, addirittura di quello in cui non siamo neanche più vecchi, ma non ci siamo addirittura più. Mi sono sempre chiesto come andrà, cosa succederà dopo di me. È proprio una delle cose che mi fa più dispiacere del morire, quella di non sapere come poi vanno avanti le cose. Anche da ragazzino mi interrogavo su queste cose e mi dispiaceva molto. In questo disco parlo anche del passato, dato che ne ho accumulato un po’ e comincio ad avere un sacco di ricordi. Oltre al passato e al presente, secondo me questo è un disco molto attuale, con un’estetica molto nel presente. C’è un po' tutto il tempo in questo disco.

Cosa ti ha spinto a cambiare il tuo sound, a passare da un sound “da cameretta” ad uno più completo?
Non so bene cos’è stato. Sicuramente il desiderio di essere più contemporaneo ed il fatto di avere con il disco precedente chiuso un capitolo, un cerchio dei miei primi dieci anni. Dal 2006 al 2016 ho fatto sei dischi e con l’ultimo disco ho voluto chiudere un po’ quella parentesi. Chiudendo una parentesi se ne apre poi inevitabilmente un’altra e quindi ho voluto dare un segno di cambiamento: chiudere una parentesi per aprirne una uguale non ha molto senso. Questo desiderio di cambiamento, di fare qualcosa di diverso ce l’avevo già da parecchio tempo. Mi ci è voluto un po’ di tempo perché non è molto facile cercare di rinnovarsi rimanendo comunque ancorati a sé.
E lo stesso è valso anche per la scrittura? Leggevo che hai deciso di mettere “in panchina” i tuoi famosi giochi di parole.
Sì, diciamo che non me ne sono venuti. Anche questa è una cosa di cui non conosco bene il motivo. Non so perché non me ne siano venuti: evidentemente negli ultimi tempi in cui ho scritto non me ne sono usciti! Forse perché li usano in tanti oggigiorno e forse di reazione non mi è venuto da usarli, perché ho sempre cercato di fare le cose che non ci sono già. Non ho voglia di ripetere cose che sta facendo qualcun altro.
In passato ho consumato i tuoi scorsi lavori e tra questi ho trovato ad esempio i pezzi in collaborazione con Brunori Sas o con Il Genio. Volevo domandarti se in futuro ti vedi a collaborare con qualcun altro, magari anche con qualcuno di nuovo sulla scena.
Non mi dispiacerebbe, tra l’altro ne ho già fatta una che deve ancora uscire e non si può dire niente. Comunque sì, non sono chiuso alle collaborazioni, assolutamente: ne ho fatte tante, poi per un po’ mi sono fermato, adesso sto ricominciando.
Ti pongo l’ultima domanda quindi, è sul futuro. Cosa pensi che possa riservarti la scena dell’indie di oggi?
Non ne ho assolutamente idea, il futuro è la cosa più incerta che c’è: io avrei dovuto cominciare un tour la settimana prossima e non lo comincerò. Non ne ho proprio idea. È anche un momento in cui parlare del futuro è veramente… strano e quindi non ho proprio idea di cosa succederà, a me, a questo disco e anche al Paese intero. Il futuro è molto incerto, ma cerco di vivere il presente senza scoraggiarmi, pensando che ci sarà un futuro.
Dunque, se in questi giorni silenziosi vi state domandando cosa potreste ascoltare e avete voglia di un disco fresco e maturo al contempo, di un disco introspettivo, Dente è proprio il disco che fa per voi.
Fotografie di Ilaria Magliocchetti Lombi.