Se dovessi giudicarlo solo in base al linguaggio non verbale, non esiterei un secondo a dire che Laurent Brancowitz è un perfetto italiano: gesticola spesso, per rendere a pieno alcuni concetti utilizza in lungo e in largo le mani, si appassiona a ciò che dice, e se non dovesse bastare mentre lo intervisto si trova sulla terrazza del suo appartamento romano. Se il nome non dovesse dirvi molto sappiate che per gli amici è Branco e dagli anni '90 il suo ruolo è quello di chitarrista nei Phoenix, la band francese che con quel celeberrimo e squisito disco, Wolfgang Amadeus Phoenix, ha influenzato prepotentemente la scena indipendente nella prima decade del 2000.
Sono passati 22 anni dal loro debutto e lo scorso 4 novembre la band capitanata da Thomas Mars ci ha regalato il loro settimo album, Alpha Zulu. Non è la prima volta che viene utilizzato un nome insolito per il titolo (ricorderete tutti l'italianissimo Ti Amo). Questa volta le parole vengono prese in prestito dall'aviazione e danno il nome ad un disco con cui ritroviamo i toni colorati e famigliari dei Phoenix: basti pensare a Tonight in coppia con Ezra Koenig dei Vampire Weekend, un singolo allegro e spensierato destinato ad essere un grande classico per ogni indie kid che si rispetti, o Season 2 con la sua buona dose di elettronica fatta da sintetizzatori e raffinatezza spiccatamente francese. Ma tra i 10 brani che compongono questo album troviamo anche sonorità che potrebbero spiazzare gli aficionado della band: in primis la title track usata per lanciare il nuovo progetto con i suoi toni cupi o Winter Solstice, che lo stesso PR definisce la canzone più triste del gruppo.
In tutto ciò, band tornerà in Italia all'Alcatraz di Milano il prossimo 18 novembre per un live a cui vi suggeriamo caldamente di non mancare. Nel frattempo, ecco com'è andata l'intervista.
Siete appena tornati dal tour in America e state per suonare in Europa, tra l’altro anche a Milano. Come è stato tornare in tournèe?
È stato bellissimo, perché siamo stati fermi per un po’. Ogni volta che finiamo un album siamo felici di andare in giro per il mondo. Sai, un disco è un processo parecchio monacale. Questa volta ancora di più per tutto ciò che è successo, non potevamo lasciare l’Europa. Perciò essere tornati all’improvviso ad avere la possibilità di viaggiare per il mondo è stato stupendo. Sono un po’ frastornato, sono appena tornato a casa e ci sono parecchie emozioni.
Immagino, e cosa ti è mancato di più dell’andare in tour?
Mmm di più? Fare tour è un’esperienza che ti arricchisce, perché in una delle sue parti ti permette di scoprire, ad esempio, una città ogni giorno e ogni sera vivi questo momento in cui sei in missione, è come se fossi un apostolo (mon Dieu, apostol - sì!) e hai un messaggio che cerchi di trasmettere al mondo. Perciò è una combinazione di scoperta e missione, che è una cosa molto piacevole, ma anche molto stancante.
Ci credo, è abbastanza duro, specialmente quando hai dei tour mondiali.
Sì, alle volte, però per lo più è divertente e emozionante.
Avete suonato alcune delle nuove canzoni non ancora uscite?
Sì, ne abbiamo suonata alcune, 4 o 5 nuove canzoni penso. Abbiamo gradualmente aggiunto più canzoni e anche questo è parte del divertimento: suonare nuove cose e vedere come funzionano sul palco.

Parlando del nuovo disco, lo avete quasi interamente registrato di fianco al Louvre. Mi sono piaciuti molto i video che avete utilizzato per lanciare l’album. Come siete finiti ad avere uno spazio lì? Penso non sia così facile.
(ride, ndr) Siamo stati fortunati perché loro stavano cercando degli artisti che facessero tipo delle residency lì per la prima volta. Noi stavamo cercando qualcosa di nuovo, siamo sempre alla ricerca di nuovi spazi, perché preferiamo di gran lunga non suonare in uno studio di registrazione professionale. Quindi per tanto tempo abbiamo fatto scouting, soprattutto a Parigi e quando abbiamo sentito che c’era questa opportunità… Non si aspettavano che dei musicisti avrebbero fatto richiesta, perché dal punto di vista acustico non è il luogo adatto, ma ci siamo abituati, i nostri primi dischi sono stati fatti nel nostro seminterrato, perciò possiamo trasformare qualsiasi spazio in uno studio e quello è parte di ciò che sappiamo fare (ride, ndr).
Visto che eravate così vicini al Louvre, avete mai provato a replicare quella famosa scena in quel film di Godard dove corrono per il museo?
Ovviamente lo abbiamo fatto, perché avevamo le chiavi. Cioè magari non proprio al Louvre, no, ma è lo stesso palazzo, è il palazzo del Louvre!
Che è enorme, perciò possiamo dire che eravate al Louvre.
Sì, sì, assolutamente, è la stessa cosa, ci siamo anche stati sui pattini, sai? Quando siamo arrivati era vuoto, perché era chiuso al pubblico, perciò per tanto tempo abbiamo avuto le chiavi e potevamo andare in giro in piena libertà in quegli spazi vuoti, ci siamo divertiti molto.
Ti invidio un sacco! Qual è la tua parte preferita del Louvre? Visto che è così grande.
Intendi per quanto riguarda l’arte? Sono un grande fan del Rinascimento italiano, ne abbiamo rubati un po’ di molto belli (ride, ndr). Sai, ci sono parecchie cose molto belle. Direi che quella è la mia sezione preferita, però il Louvre è gigantesco, mi piace anche il settore egiziano. Dipende dal mood. Noi eravamo al Musée des Arts Décoratifs che ha una sezione medievale molto bella, con dei dipinti di prima del Rinascimento. É un periodo che mi piace tanto, sull’orlo di una rivoluzione, proprio al limite.
Credo che essere circondati da così tanta bellezza e arte abbia avuto un impatto sul disco. Penso che non sia un caso che l’artwork sia una versione pop di un'opera di Botticelli. Quanto è ampia questa influenza, il fatto di avere avuto così tanta arte attorno a voi?
Mmm ci sono due aspetti: uno vedere il meglio del meglio della civiltà umana ti rende più umile. Ma anche vedere le persone che lavorano lì, i restauratori e i curatori, loro sono il meglio della cultura, sono così bravi in quello che fanno, e anche questo è meraviglioso e ti rende più umile, ma allo stesso tempo è così bello che senti la libertà di esse un po’ sciocco, per fare musica pop devi mantenere un pizzico di frivolezza, altrimenti non funziona, capisci? Quindi tutta questa bellezza per qualche strano caso ci ha aiutato a essere un po’ sciocchi.

Anche l’Italia è un paese famoso per la sua arte, e le avete dedicato il vostro ultimo disco (quando ho sentito la parola prosecco in una delle vostre canzoni ho letteralmente urlato). Tu ora sei a Roma, so da Giorgio Poi che sei lì spesso. Trovo divertente che una band francese sia così affascinata dal nostro paese, di solito è il contrario. Molti nostri artisti dicono di essere appassionati alla cultura francese. Cosa ci trovate di così affascinante nell’Italia?
Ci sono molti aspetti. Sotto il punto di vista del modo di vivere, c’è una vera art de vivre, come lo dite? Capisci che intendo? Per me l’approccio alla vita è veramente magnifico e so che i francesi sono famosi per questo, ma è una bugia: è in Italia che la gente sa come vivere. Poi amo tutte le varie fasi della storia, dall’Impero Romano in poi, sai… Ogni decade è interessante, ogni secolo. Poi se parliamo di arte, ovviamente c’è il cinema italiano e la musica italiana, l’abbiamo scoperta un po’ tardi. Quando ero bambino, mio padre… (passa all’italiano, ndr), mio papà è trentino quindi quando sono cresciuto ho ascoltato tanto Adriano Celentano (ride, ndr), il coro della SAT, a me piace tantissimo ancora oggi (ritorna di nuovo all’inglese, ndr). Recentemente, cioè forse 15 anni fa, ci siamo un po’ stancati dell’imperialismo culturale anglo-americano, e abbiamo ascoltato tanta musica italiana, specialmente Battisti e Battiato. Mio padre, penso abbia lasciato l’Italia nel ‘66, per andare a Londra e poi a Parigi, perciò non conosceva per niente Battisti, l’ho scoperto io da solo più tardi. Tutto questo ha avuto un certo fascino su di noi che è stato molto forte. Tu hai parlato del prosecco, ma sai quello che amo in molte canzoni di Battisti è il fatto che parlano di cibo. Quando le ho sentite per la prima volta il mio cuore si è sciolto, sai? A dir la verità anche in Giorgio Poi è così, parla parecchio di cibo, non può essere una coincidenza.
A proposito di Giorgio Poi, ascolti anche qualche artista italiano contemporaneo?
Sì, Giorgio Poi l’ho visto suonare poco tempo fa a Roma, sono un grande fan del suo lavoro. Quando ho sentito per la prima volta la sua musica è stato come con Battisti, c’è stato un momento in cui il mio cuore improvvisamente si è spezzato (con le mani fa il gesto di cadere, ndr), è molto acuto, si basa su piccoli dettagli. Ci ho pensato proprio oggi, quando ascolti i brani che Battisti ha fatto in inglese, il fascino si perde completamente, perciò capisci che è qualcosa di molto fragile ed è molto difficile spiegare cosa c’è di così toccante, ma questa è la sua bellezza. Cambi solo una parola, la lingua, magari la pronuncia di una parola e improvvisamente è musica media. È molto strano. Perciò amo Giorgio Poi, e chi altro? Calcutta, mi piace tanto, i suoi testi sono molto buoni, alcuni sono favolosi. Chi consigli?
Che altro suggerisco? Ti dico tutto il roster di Bomba Dischi, la label di Giorgio Poi e Calcutta, loro sono molto bravi!
Sì sì, Bomba Dischi, è vero!
Tra i loro artisti c'è questa giovane artista, Ariete, che al momento sta esplodendo, lei è troppo brava!
Sì, loro sono molto bravi, adoro quei ragazzi, ne conosco alcuni. Sono davvero cool.

Tornado indietro a parlare del disco ho letto che a voi come band non piace scrivere da soli, è molto importante scrivere insieme ed è una sorta di vostra terapia. Avete iniziato a lavorare all’album tra il 2020/2021: è stato un modo di affrontare quel difficile momento che abbiamo tutti vissuto?
Sicuramente è stata la via di fuga perfetta. La nostra musica è un incantesimo molto potente, perché quando ci mettiamo a comporla ci dimentichiamo di tutto. Improvvisamente quel momento è più forte del contesto e questa forza è stata molto utile in quel particolare periodo, quando la tensione universale in tutto il mondo era forte, perciò sì è stata la scappatoia perfetta.
E pensi sia solo un caso che questo disco contenga Winter Solstice, la canzone più triste dei Phoenix?
(ride, ndr) Abbiamo scritto quella canzone nel momento più difficile della pandemia, quando eravamo in Francia. Cera un lockdown molto duro, non potevamo uscire, quindi io ero a casa e Thomas era bloccato negli Stati Uniti, in California. È stato un momento biblico, apocalittico, perché c’erano rivolte, il Covid, grandi incendi, perciò era circondato dal fumo… Gli ho mandato la musica a cui avevamo lavorato con la band qualche giorno prima, semplicemente un piccolo loop, e ha registrato la voce che senti nel disco, abbiamo lasciato quel take. Quindi il brano è molto molto speciale, perché cattura davvero quel momento. Non sono sicuro che sia la più triste. È abbastanza intensa, ha una certa energia.
Parlate di un senso di isolamento anche in Tonight, il brano con Ezra Koening. Quando lo avete conosciuto e quando avete deciso di collaborare?
Lo abbiamo conosciuto… Sai abbiamo suonato in un sacco di festival insieme, credo che ci siamo incontrati forse nel 2009.
Parecchio tempo fa.
Tanto tempo fa, sì. Siamo sempre stati incuriositi da questa band, perché sono molto bravi e li abbiamo visti in tour. Hanno una certa presenza, che è una cosa molto rara, molte band non sono davvero lì in quel momento, perciò è un bene, è un buon segno (ride, ndr). Poi siamo diventati amici, la moglie di Thomas, Sofia Coppola, ha lavorato con la moglie di Ezra e perciò c’era questo legame, ed è stato naturale chiedere a lui di lavorare insieme. Solitamente lavoriamo con gente che conosciamo, con amici. Abbiamo dei problemi a lavorare con persone che per noi sono degli sconosciuti, perché il nostro approccio al fare musica qualche volta è davvero brutale. Possiamo lavorare su un brano per un mese e poi improvvisamente decidere che lo odiamo. È difficile chiedere a qualcuno che non conosciamo bene di partecipare a questa cosa, questa sorta di violenza (ride, ndr). Conoscevamo Ezra e se non avesse funzionato lui avrebbe capito, non l’avrebbe presa sul personale.
Visto che hai detto che normalmente lavorate con gli amici, ti chiedo: cosa ti manca di più di Philippe Zdar? Eravate soliti lavorare con lui.
Lui era il tipo di persona a cui chiedevo consigli, ad esempio quando dovevo comprare un tartufo, un tartufo bianco, l’avrei chiesto a lui. “Dove vado a comprare i tartufi?” e lui avrebbe sempre avuto la risposta.
Era quel tipo di amico.
Lui era quel tipo di amico, il miglior amico che puoi avere. Ovviamente mi manca, ma in un certo senso non ha davvero lasciato questo mondo, perché la sua presenza è ancora percepita. Alle volte sento che non se ne è andato. Magari è più forte della morte, può essere.
Abbiamo parlato di tanti fantastici artisti, quale diresti sono state le influenze musicali per questo album? Normalmente questa è la domanda più difficile.
Mmm alle volte abbiamo dei momenti particolarmente intensi in cui ascoltiamo musica di un particolare stile, ma questa volta non è successo… Forse, in qualche modo strano, per me direi, che la mia influenza più grande è stato il primissimo disco dei Beatles. Durante la pandemia ho studiato parecchio i loro primi dischi e quelli dei Beach Boys, specialmente il modo in cui le canzoni sono composte nei loro primi brani, tutto è molto compatto. Perciò molte volte ho cercato di fare le cose in quel modo, replicando il movimento veloce e non ripetendo la stessa sezione. Quindi questa è stata un’ispirazione razionale, perché stavo davvero ascoltando, studiando, annotando e cercando di capire quel particolare periodo di forse 3/4 anni dopo il primo disco dei Beatles.