Se ancora oggi il nome Godblesscomputers non vi dice niente, dovreste tornare indietro aprire la piattaforma che utilizzate per ascoltare musica e digitare questo nome. Si forma come beat maker, producer e dj, mosso da una precoce passione per i campionatori e per i vinili. Ma come ci fa capire nella sua musica, Lorenzo Nada vero nome di Godblesscomputers è un ragazzo fedele al groove, legato soprattutto all’hip hop, con suoni che variano tra synth analogici, chitarre jazz, scratch e voci evanescenti che lo rendono impossibile da ingabbiare o descrivere in un genere. La sua ultima fatica The Island scritto e prodotto interamente da lui, vi porterà per mano lontano, alla ricerca di questa isola che può apparire ovunque, specialmente dentro di te.
Otto tracce per lasciarsi scivolare via la noia, con titoli evocativi e sintetici per avvolgere l'ascoltatore tra mille sfumature fatte di rimandi, influenze e intuizioni. Suoni vividi ma leggeri che parlano da soli e si fondono con una inaspettata eleganza alle voci di Jennifer dei Technoir, Glenn Astro e Montoya, ma soprattutto del vibrafono di Pasquale Mirra. Proprio in occasione del suo live del 20 luglio all'Arena Est di Milano, dove più sue tracce si mescoleranno insieme, abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere, chiedendoli qualcosina in più sui suoi futuri progetti ma soprattutto del ritorno sopra un palco.
Per iniziare partiamo dagli esordi, Lorenzo Nada si è “trasformato” in Godblesscomputers durante la residenza berlinese. Quanto è stata importante quell’esperienza per la musica che fai oggi?
Vivere all’estero in una città stimolante come Berlino sicuramente ha significato molto nel mio percorso, sia livello musicale che a livello personale. Era il 2010 ed ero alla ricerca di spazio, per crescere e sperimentare. Godblesscomputers è nato lì, e ancora adesso Berlino è una città dove amo tornare.
Domanda doverosa, scontata ma non banale. Cosa significa per te ritornare a suonare dal vivo dopo mesi e mesi?
È una domanda a cui sto ancora cercando di dare una risposta. Viviamo tempi in cui tutto si evolve e si muove continuamente sia fuori che dentro di noi. Sicuramente suonare dal vivo, vivere quell’energia che si instaura con il pubblico mi è mancato tantissimo. La ripresa dei concerti però è stata molto repentina e in modalità nuove... diciamo che mi devo un po’ riabituare all’idea ma già con queste prime date ho avuto un bellissimo riscontro. Ho costruito uno spettacolo audio/video che si adatta bene anche alla prospettiva di un pubblico seduto: è un live immersivo in cui ho voluto rielaborare il mio percorso fin qui e sono davvero felice di portarlo in giro.
Di nuovo continuiamo su questo filone, il tuo è un album uscito in un periodo ovviamente complicato, il perché è inutile ribadirlo, c’è una traccia in particolare che non vedi l’ora di suonare?
Come ti dicevo, il live è costruito con una progressione e rielaborazione del mio percorso musicale, in cui brani più recenti si mescolano con tracce appartenenti ai miei primi album. Ho preso in mano queste tracce per creare qualcosa di nuovo, che sto continuando a modificare e perfezionare data dopo data.

All'Arena Est di Milano ti alternerai con gli RGB prisma, che hanno da poco rilasciato un disco d’esordio ben fatto, ben strutturato, dove perdersi tra synth, chitarre, percussioni e voci che riescono a creare un insieme di immagini e di sensazioni in cui ognuno è libero di vedere paesaggi differenti e illusioni nuove. Credi ci sia una nuova consapevolezza o una “riscoperta” di questo genere in Italia? Troppo spesso passato in sordina.
In Italia lavorano e producono moltissimi musicisti e producer incredibili, ma venendo alla questione della “riscoperta” del genere, bisogna capire di che genere si sta parlando e se, appunto, questo genere è sempre chiaramente catalogabile. Se parliamo in generale di “musica elettronica” possiamo metterci dentro tantissime cose, anche molto diverse. Io stesso sono stato catalogato in questo modo, anche se il mio suono spesso attinge da profonde radici hip hop, o comunque legate all’eredità della musica afro-americana.
Personalmente penso che nel nostro paese sia molto difficile arrivare a un grande pubblico per un musicista che comunica unicamente con la musica e con i suoni, senza avvalersi di un testo cantato in italiano. Questo è un ostacolo per molti artisti.
Rimanendo in tema di tracce dove perdersi, Pacific Sound è sicuramente una di queste capace di trasportarti altrove verso luoghi inesplorati. Ci racconti com’è nata?
Pacific Sound è un brano nato dall’incontro con Jennifer dei Technoir. La sua voce è davvero incredibile ed era perfetta per un brano che stavo costruendo, dove volevo viaggiare verso altri emisferi, seguendo atmosfere che mi portano verso la Nuova Zelanda. In generale Pacific Sound è una sorta di omaggio a quella regione del pianeta, che mi affascina da sempre.

Negli anni ti abbiamo visto comparire silenziosamente in molti album, come in quello di Mecna, Ex-Otago e di Willie Peyote. Puoi dirci se ti ritroveremo ancora a sorpresa o vorresti concentrarti su altro?
Collaborare con artisti, con produzioni ad hoc, remix e altro è parte del mio lavoro come producer ed è molto stimolante. Mi permette di connettermi con la musica e il linguaggio di una persona diversa da me, e da questo si impara sempre.
Sicuramente in futuro questo tipo di collaborazione proseguirà, anche se con il mio progetto Koralle ho trovato una valvola di sfogo per portare avanti questo tipo di collaborazioni, lavorando con artisti internazionali.
In tutto il disco la voce sembra venire trattata più come uno strumento, le intere produzioni ti fanno via via viaggiare dentro questa complessa isola. Ma in generale come sei riuscito ad unire tutto così insieme? Cosa ti ha fatto innamorare delle voci di Jennifer dei Technoir, Glenn Astro e Montoya, ma soprattutto del vibrafono di Pasquale Mirra?
Come dicevo, aprirsi a collaborazioni, sia con cantanti come Jennifer, che come producer e musicisti nel caso di Glenn Astro, Montoya e Pasquale Mirra, è sempre stimolante e arricchente. Negli ultimi anni ho ampliato le collaborazioni in studio con altri musicisti. Con Solchi ho portato la cosa a un livello sistematico, e l’evoluzione è stata quella di mettere in piedi una band per il tour.
Nel 2020 ci hai sorpreso con The Island, quali sono i progetti futuri di Godblesscomputers?
È difficile parlare di futuro in tempi come questi... ho tante idee in mente, tanti progetti in cantiere ma voglio concentrarmi sul presente giorno dopo giorno. Attualmente il tour e la ripresa delle date è la cosa che mi preme di più. Spero di vedervi in tanti sotto al palco!
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