I Santi Francesi sono un fiume in piena, mossi entrambi da quell'ardore di chi vuole cambiare a suo modo un sistema di cui in un certo senso sono figli, essendo usciti vincitori da X Factor. Il loro ultimo EP Potrebbe non avere peso prova ad andare di sbieco contro le logiche del mercato, come mi raccontano gli stessi Alessandro De Santis e Mario Francese, sorseggiando una birra e una coca in un assolato giardino di un bar milanese, in una tiepida giornata autunnale. Di temi da affrontare ce ne sono tanti: i social e la sovraesposizione mediatica, il sovraccarico di informazioni di cui siamo tutti vittime, il tour in arrivo, i sogni nel cassetto...

Iniziamo con una domanda abbastanza scontata: come mai ancora un EP?
Mario Francese: È la stessa domanda che ci facciamo pure noi! (ride, ndr) L’EP alla fine è il frutto di un compromesso. È abbastanza palese che nel mercato discografico degli ultimi anni l'idea di pubblicare un album sia passata di moda e non sia più una cosa catchy come invece lo è pubblicare solamente singoli. Per noi è stata una sorta di tiro alla fune con tutta quella che è la richiesta discografica che c’è al momento: quindi, tra l'idea di pubblicare un singolo e l'idea di pubblicare un album, c’è l’EP. A noi non dispiace, perché comunque sono 20 minuti di musica che si aggiungono al nostro repertorio, ed è sempre bello pubblicare le canzoni quando le scrivi. Poi abbiamo anche un tour in partenza tra poco e c'è bisogno di avere pezzi nuovi da suonare per il pubblico.
Quindi avvertite una certa pressione dalla discografica?
Alessandro De Santis: Secondo me non sentiamo una vera e propria pressione da quel punto di vista, ma evitiamo anche di volerla sentire. È un tipo di pressione che anche se non ci fosse, comunque non deriverebbe dalla discografica. Tutto il meccanismo è dovuto dalla società in cui viviamo, soprattutto dallo sviluppo digitale degli ultimi anni con i social. La discografica in realtà si ritrova poi ad obbedire alla richiesta a sua volta, quindi alla fine non è una colpa di nessuno ed è colpa di tutti.
Mario: Questo chiaramente è il lavoro di chi deve vendere la musica e che chiaramente deve seguire ciò che accade intorno. Come dice Ale, noi scriviamo e facciamo canzoni, poi sono altre le persone che devono venderle.
Alessandro: Sono due mestieri diversi ed è giusto che rimangano tali. Secondo me è normale che ognuno tiri dalla propria parte: l'artista deve rompere le palle nel modo in cui deve rompere le palle e la discografica deve fare altrettanto dal suo punto di vista.

A proposito di social e di pressione, Alessandro, tu negli scorsi mesi sei diventato una sorta di meme a causa di una tua dichiarazione travisata dove ti si è fatto passare per quello che si è tolto dai social, perché stanco di ricevere commenti per essere troppo bello. In realtà tu avevi detto tutt'altro. Come hai vissuto quest’episodio?
Alessandro: Ma guarda, fortunatamente quando è successa quella cagata, perché si tratta di una cagata gigantesca e di mancanza di lungimiranza di tutta una serie di persone, io già non ero più sui social, quindi non è una cosa che ho patito in nessun modo. E tra l'altro non è successo niente, perché c'è gente che si becca delle valangate di cacca addosso per per cose molto minori e che diventano molto più pesanti. Però sì, sicuramente anche quell'episodio è stato una riconferma di quello che già avevo cominciato a pensare riguardo a tutto uno strato di mondo a cui non voglio appartenere e che non non mi interessa. Poi se uno vuole pensare che sono stupido lo pensa anche parlandomi in faccia, non è quello il problema. Però sì, è una cosa inquietante che sui social ci siano comportamenti che vengono normalizzati. Questa cosa che è successa a me è davvero piccola, ma in realtà capita a tutti quanti in modo molto più grande: ogni mattina c'è una notizia diversa, qualcosa di gigante di cui essere informati e soprattutto su cui bisogna esprimere un'opinione. Non ne ho voglia.
Questo discorso in realtà si collega un po' al concept dell’EP e del suo primo singolo Ho paura di tutto. Cosa temete riguardo l'industria discografica attuale? La quantità di musica che viene pubblicato ogni giorno è spaventosa.
Mario: Arrivano davvero tanti singoli. Oggi è questo il pattern che si usa di base per pubblicare musica. Forse il nostro album che poi è un EP non va totalmente contro questo dinamica, ma ci va un po’ addosso…
Alessandro: … di sbieco.
Mario: Esatto, di sguincio. Per noi è fondamentalmente, perché ci verrebbe difficile fotografare con la musica un momento solo con un singolo e procedere così di passo in passo. Ci vuole un periodo in cui ti devi fermare, devi scrivere, devi concepire una cosa e devi concluderla. E poi forse a un certo punto hai anche bisogno un attimo di preparare il tour e forse dopo il tour hai bisogno anche un po' di vivere la vita, perché sennò poi non non puoi raccontare e suonare niente. Quindi fondamentalmente non è una dinamica che soffriamo, però ci facciamo attenzione, perché se poi ti ritrovi a non avere più un secondo per capire cosa ti sta succedendo, ad un certo punto arrivi che scoppi e devi fermarti, come è successo e succede a molti dei nostri colleghi. Noi stiamo cercando di evitare di arrivare a quel punto.
Giustamente cercate di non andare in burnout.
Mario: Prevenire è meglio che curare, come si suol dire.
Alessandro: Sicuramente c'è della rabbia come è normale che ci sia. E soprattutto c'è tanta preoccupazione. Non serbiamo rancore, non c'è quell'odio, non è tutto una merda. Gli esseri umani sono una figata incredibile. Possiamo fare delle cose veramente pazzesche e meravigliose. Io ci credo veramente a questa cosa ed è quello che mi fa guardare il mondo con speranza. A volte invece magari rientro sui social tramite il profilo della band e penso “cazzo raga, no! Gli esseri umani non sono questi”. La bellezza che c’è nell’uscire, sorridere a una persona o incontrare uno sconosciuto spesso ti insegna un sacco di cose, così come il potenziale delle persone sedute insieme ad un tavolo (indica i presenti, ndr).

Sui social avevate fatto una sorta di appello per chiedere alle persone di ascoltare l’EP dall’inizio alla fine seguendo la tracklist. In un’era dominata dalle playlist, quanto è importante per voi che le persone vi ascoltino in questo modo?
Alessandro: Per noi è naturale.
Mario: È molto importante e riconosco che sia una cosa difficile oggi, quando ti scorrono davanti tremila video che durano 30 secondi. Per noi è una cosa naturale prendere un disco e ascoltarlo dall'inizio alla fine, perché un album ha un intro, un proseguo, un outro, e se ascoltati tutti in quell’unico momento prendono un altro significato, piuttosto che ascoltati a caso in diversi momenti, skippando subito i pezzi che non ti entrano subito dentro, perché invece poi saranno proprio quelli che ti piaceranno di più. Dovremmo smetterla di “sentire” le canzoni e iniziare ad ascoltarle con un po' più di attenzione.
Alessandro: Non vai a una una mostra, paghi il biglietto e passi di corsa. Ti fermi e guardi le opere. Poi magari ti fanno schifo, ma comunque ti fermi a guardarle.
Però anche questo è cambiato con i social… Ci sono diverse persone che vanno a mostre o concerti solo per poterlo postare sui social.
Alessandro: Comunque sì! Sai qual è il concetto? Noi facciamo i fighi, ma la verità è che siamo stati fortunati, perché ci è stata insegnata questa cosa. Io a 8 anni sono andato da Zanfrà a Cuorgnè e gli ho chiesto se mi dava The number of the Beast degli Iron Maiden. Gli ho dato dieci euro, sono tornato a casa e l'ho ascoltato tutto intero. Ascoltando i dischi dall’inizio alla fine, riesci a entrare in un determinato progetto e imparare da esso. A noi ci è successo tante volte ad esempio con i dischi dei Twenty One Pilots o de I Cani. Così facendo sviluppi una sorta di rapporto con l'artista che segui, per cui ti ritrovi a capire quello che sta facendo. E quindi quando escono i nuovi pezzi dei Twenty (di cui siamo super fan), spesso capita che li ascoltiamo e dopo che l’abbiamo fatto bene è come se fossimo partecipi del loro progetto e capissimo le loro scelte artistiche. Se tu non fai uno sforzo per entrare nel mondo di qualcuno, non ti piove addosso. Senza un ascolto attivo non è più ascoltare delle canzoni, ma è solo come mangiarti delle cazzo di caramelle.
Parliamo un po’ della produzione di questo EP: eravate solo voi due con il vostro storico batterista chiusi in studio, giusto?
Mario: Sì, in una villa.
Finalmente non il solito cliché dei vincitori di X Factor freschi di Sanremo che si prendono l’ultimo produttore di moda del momento. Come sono andate le sessioni? Quanto ci avete messo?
Mario: Sui 7-10 giorni.
Alessandro: In tutto sarà stato una quindicina di giorni, però sono tutti pezzi che provengono da momenti e luoghi diversi. Quello che è successo è che abbiamo affittato una villa sulle colline di Parma, vicino alla Strada del Prosciutto, nome che ci faceva molto ridere. In sette giorni abbiamo praticamente chiuso questi sei brani. Alcuni di questi li abbiamo dovuti ri-arrangiare, altri invece erano già pre-prodotti e bastava solo ri-registrare le tracce. Eravamo tutti in una stanza e quindi il disco suona naturalmente più live, più caldo. Sarebbe stato molto diverso se l’avessimo fatto dividendoci in otto studi diversi a Milano, in cui poi la sera torni a casa e stacchi. Noi invece volevamo proprio un posto in cui vivere per dieci giorni, dove poter cucinare, mangiare, dire cagate, giocare alla PlayStation e divertirci… e in più creare qualcosa insieme. È stato molto bello, e come hai detto tu il finalmente per noi lo è stato per davvero: è stato finalmente come poter fare per la prima volta il tuo mestiere. Quella roba che si faceva fino a qualche anno fa: scrivo dei pezzi, li registro, li pubblico, faccio un tour. E poi? Penso. E poi riparto.
Mario: Le sessioni comunque le facciamo, ne abbiamo fatte un sacco con produttori fantastici. Però era arrivato il momento per noi di poter salire su un palco e dire “ok, questa cosa l'abbiamo fatta noi con le nostre idee e se poi fa schifo o meno è solamente colpa o merito nostro".
Alessandro: “Non avete scuse raga!”.

E a proposito del tour in partenza a fine novembre in giro per i club italiani, state anche già pensando di fare qualche data all'estero?
Alessandro: Perché?! Non potevamo parlare di tutto il resto? (ride, ndr) Ci stiamo pensando molto da almeno un paio d’anni. Nel 2023 quando abbiamo suonato allo Sziget siamo rimasti completamente fulminati da questa cosa e non volevamo più tornare. Avremmo voluto suonare due giorni di seguito! Ci siamo esibiti praticamente su ogni palco italiano, dai più piccoli ai più grandi, ed è capitata questa cosa assurda, che su un palco estero a Budapest in cui nessuno capiva l'italiano, un palco rotto, con le casse rotte, abbiamo iniziato a suonare e magicamente 500 persone sono arrivate davanti a noi. Hanno iniziato a saltare e a divertirsi. Non conoscevamo nessuno, se non i soliti quattro italiani con la bandiera. E abbiamo pensato "cazzo, ma è la prima volta che ci succede nella vita una roba del genere!”. Da quel giorno sicuramente ci pensiamo spesso e poi sai, io scrivevo in inglese all'inizio. Magari sono tutti sogni matti che probabilmente non si avvereranno mai, ma cambiare lingua e aprirsi a qualcos'altro per me sarebbe fighissimo in un futuro anche solo per dimostrare al mondo che puoi essere italiano e fare una figata se vuoi. Perché in realtà secondo me ne siamo capaci. Dagli anni ‘70 è caduta tantissimo la credibilità artistica italiana nel mondo. I Måneskin ci ha fatto un mezzo favore anni fa. Damiano adesso ci sta provando da solista. Però se pensi una volta al cinema… gli attori italiani erano i più famosi al mondo, erano delle star incredibili. Adesso succede molto meno.
Parlando di cinema, vi piacerebbe un giorno scrivere una colonna sonora per un film?
Alessandro: Il cinema ci piace un sacco e sì, scrivere una colonna sonora sarebbe veramente figo.
Sempre come Santi Francesi o singolarmente?
Alessandro: Se Mario mi vuole, si! (ride, ndr)
Mario: Abbiamo già avuto modo di entrare in quel mondo: per l’opera prima di Gianluca Santoni, Io e il Secco, abbiamo fatto una cover, e anche se si tratta solo di questo e non di un’intera colonna sonora, già solo poterne farne parte e andare a vedere la prima a Roma è stato incredibile: mi sono messo a piangere nonostante fosse solo una cover. Vedere la musica combinata alle immagini fa prendere ancora più potenza.
Com'è il vostro rapporto con l'italiano come lingua nella musica? Il vostro background immagino sia principalmente straniero.
Alessandro: L’influenza è prettamente straniera, anche se poi abbiamo tantissimi artisti del cuore italiani, come ad esempio i Cani che ti citavo prima. C’è qualcosa di meraviglioso nella scrittura italiana della musica. Secondo me semplicemente è che è da un po’ di anni che ci stiamo inseguendo, tutti quanti. Devi immaginarti tutti gli artisti italiani che corrono in cerchio e cercano di acciuffarsi a vicenda. Quella è la sensazione che ho. Siamo paradossalmente anche poco ispirati e poco desiderosi di tirare fuori cose assurde, lontane da quelle che escono ogni giorno in Italia. L'altro giorno sono finito ad ascoltare una playlist su Spotify partendo dagli Ark: alla fine ho passato tre ore ad ascoltare del metal/rock/pop scandinavo. C’è della meraviglia che non puoi capire, ci sono dei pezzi pazzeschi! A parte che cantano il 90% in inglese, quindi arrivano a tutti. E quella è un'altra cosa: l'inglese, che ci siamo trovati praticamente a snobbarlo da quando abbiamo iniziato a scrivere in italiano, una lingua che ha un suono meraviglioso che ti arriva in faccia. L'inglese invece si nasconde un po' in giro per la bocca, per la gola, però ha un linguaggio che è effettivamente più semplice, più dritto. Ti permette molto spesso di dire dei concetti giganteschi con frasi veramente brevi, cosa che spesso l'italiano invece non concede. Devi dirlo bene.
In questi anni si sono moltiplicati i featuring nei dischi. C'è qualche qualche artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?
Mario: Che ci piacerebbe sì…
Alessandro: … ma in programma purtroppo no. Ti dico l'ultimo che in questo periodo mi stava balenando per la testa: vorrei tantissimo collaborare con Aaron Bruno degli Awolnation, una band pazzesca che però vivono in questo b-side della musica: non sono più i personaggi mainstream dei tempi di Sail e di Run, i due pezzi che ti fanno dire “Ah sì, ok, sono loro!”. Adesso fanno la follia più totale, l’ultimo album che è uscito qualche mese fa è la libertà assoluta, è meraviglia.
Tornando a Potrebbe non avere peso: qual è il pezzo che vi ha creato più difficoltà per trovargli la forma finale?
Alessandro: È quello che ci piace anche di più…
Mario: Gatti. È una canzone che è partita da una produzione completamente distante da quella finale: all’inizio era un pezzo rave, con un cassone dritto elettronico e molti synth. Era un pezzo molto incazzato.
Alessandro: Molto cupo.
Mario: Paradossalmente è diventato un po' più leggero e ci siamo resi conto durante la sessione a Parma che era l'unico brano che era molto distante dagli altri. E quindi ci siamo detti di provare a reimmaginarcelo partendo da zero, dalle linee vocali. Così abbiamo ripreso la chitarra e abbiamo rifatto tutto da capo. Soprattutto lo Special ci ha fatto tribolare tanto: mi ricordo che ci siamo incastrati per 4 ore a fare dei cori che sono solo il 5% del pezzo e di cui a nessuno importerà alla fine (ride, ndr). Però la dedizione e la cura con cui abbiamo fatto quel pezzo mi piace un sacco e quel momento è stato molto magico.
Alessandro: Se dovessero chiederci qual è un nostro pezzo che riassume chi siamo, io direi assolutamente Gatti. È il pezzo in cui siamo riusciti ad esprimere ciò che volevamo nel miglior modo possibile, suonando nel modo più sensato e più pesante paradossalmente per noi, pensando sempre solo ai nostri gusti, non a quelli esterni. È un pezzo scomodo, come quasi tutti gli altri dell’EP. Forse Ho paura è l'unico più leggero melodicamente parlando.

Comunque la morale di tutto questo è che voi con questo EP avete cercato di fare qualcosa che piacesse a voi, più che pensare a inseguire le mode del momento.
Mario: Esatto, fondamentalmente è quello.
Alessandro: È incredibile quanto ti suoni naïf oggi il concetto di fare la musica che ti piace fare (ride, ndr)
Fra l’altro è un concetto espresso più volte da Rick Rubin, quando gli chiedono qual’è il segreto degli album di successo che ha prodotto in carriera: non provare mai a fare un disco che piaccia al pubblico, ma che piaccia all'artista.
Mario: Esattamente, lui lo dice spesso. Siamo invasi dall’apparenza e dalla convinzione che possiamo decidere e sapere cosa piaccia alle persone. Pensiamo di conoscere la formula per far funzionare un pezzo, ma non è così. È un mistero quello che riesce a far vibrare le persone: è la magia della musica ed è una figata.
Alessandro: Alla fine tutto torna, ma non dobbiamo dimenticare che è la prima volta che l'umanità vive i social. Questa per me è la differenza gigantesca con tutto quello che è successo in passato. È vero ci sono molte similitudini, ma questa roba qua è nuova eh! Sono dieci anni che la stiamo vivendo e si parla di 200.000 anni fa di vita dell’essere umano senza i social, mentre ora viviamo con questa quantità di roba che ci cade addosso ogni giorno. Secondo me fa estremamente la differenza.
