Dea della vita, della guarigione, della fertilità e della magia. Questa è Iside, antica divinità venerata dagli Egizi, protagonista assoluta della risurrezione di suo marito Osiride.
Gli Iside (band; disambigua, direbbe Wiki) sono un po' meno. Non si propongono come déi salvifici della guarigione, ma hanno, comunque, qualcosa di magico dentro di loro. Una sorta di realismo magico nella bergamasca. Complici della risurrezione di svariati immaginari musicali in cui parole e suoni uniscono l'elettronica, il pop e l'indie rock più puro. Chet Faker e Mura Masa che incontrano Flume. Per cercare una descrizione quanto più ibrida e fluida possibile. Ma sono anche altro. In Memoria è il loro ultimo, secondo album pubblicato con Sony Music: un concept (e non hanno paura di usare questo appellativo) per dire (soprattutto a loro stessi) che ci sono. Sembrano voler dire e urlare al loro pubblico che "Gli Iside sono più vivi che mai", nonostante il titolo di questa ultima fatica (compresa la dodicesima e ultima traccia dal titolo Addio) possa far pensare, erroneamente, ad una chiusura, ad un'ultima chiamata. È più una spinta verso universi inesplorati e proprio da questa riflessione è iniziata la nostra intervista a Dario Pasqualini, frontman della band.

Da Paradiso a DNA: quanto ancora degli Iside del 2019 ritroviamo in In Memoria?
Musicalmente, forse, poco. Nel senso che oggettivamente sono passati alcuni anni ed è subentrata una consapevolezza diversa. I nostri ascolti non sono cambiati, ma la consapevolezza su ciò che ci possiamo permettere di fare, sì (parlo soprattutto per me). Magari prima erano meno palesi, parlavamo di concetti più vaghi, perché non avevamo la serenità di parlare di concetti più pesanti, mentre ora posso farlo e ho imparato di doverlo fare. L'intenzione, però, non è mai cambiata e la voglia di vederci in studio resta tale.
Avete definito il vostro nuovo album come "uno spaccato reale di ciò che siamo, di ciò che vorremmo fosse ricordato di noi e dei ricordi che ci hanno formato come esseri umani". Io, però, non lo definirei un testamento musicale: è più un'apertura timida a universi ancora non esplorati?
Sicuramente. Non è di certo il punto di fine, anzi. Probabilmente lo era anche il primo album, ma questo è effettivamente il primo tassello di un percorso in cui ci rivediamo moltissimo. È il primo pianeta esplorato, mettiamola così. Questa cosa della musica è una parte troppo fondamentale delle nostre vite, mi sa che ce la porteremo dietro finché creperemo, al di là di ogni questione discografica.
È chiaro anche il senso di appartenenza ad una terra: volevo chiedervi quanto influisca la città di Bergamo nella stesura di un disco come questo
Influisce parecchio. Bergamo in particolare ha delle caratteristiche speciali che ci condizionano molto, anche perché abitiamo in provincia e si conoscono tutti tra di loro. Un perfetto paese per abitare per ricercare tranquillità e serenità. Se, invece, si vuole portare avanti una vita "alternativa" è più complesso ricercare delle immagini a cui riferirsi. Forse siamo i primi nel nostro paese a fare questo...

Ti stai autodefinendo un pioniere, non vorrei dire...
Un pazzo, più che altro! Sicuramente qui qualcuno mi vede come un po' strano, un po' così...
Avevamo intervistato Santachiara che ci ha detto che si sente molto cittadino del mondo avendo viaggiato on the road a causa del lavoro dei suoi genitori: voi siete invece molto legati ad un luogo specifico perciò, nel vostro caso, come ci si può sentire a casa in luoghi dove non lo è propriamente?
Quando si è in tour il concetto di casa ce lo portiamo dietro. Ma extra tour mi è capitato: Copenhagen. Questo è stato uno dei posti che, inconsciamente, mi ha colpito, che ammiro, mi ha fatto sentire molto bene avendo delle caratteristiche che io apprezzo, differenti dalla mia.
Ho visto su YouTube un video in cui assistiamo alla nascita di Addio, ultimo pezzo nella tracklist di In Memoria: perché è posizionata lì e cosa significa per voi un brano del genere?
È ultima con cognizione di causa. L'addio lì voleva cercare di chiudere-non chiudere il disco. Una sorta di morte apparente, che vuole aprire tautologicamente, come un cerchio che non si chiude. Non è una questione di vita ultraterrena, quanto più il ricordo di ciò che è stato fatto e possiamo ripartire da qui.

È la chiusura di quel famoso testamento di cui parlavamo prima?
Più che altro punto all'obiettivo che tra cento anni qualcuno, anche solo una persona, continui ad ascoltare questo disco. Sarebbe il coronamento del mio sogno. È uno dei sensi e desideri di chi crea, credo. Proiettare la propria ombra un po' più in là.
Crocefisso ha un testo molto forte: volevo chiedervi quale fosse il vostro rapporto non tanto con la religione, quanto più con la fede (perché anche in DNA c'è un riferimento esplicito...)
Non credo e sono una persona molto pragmatica e realista, per quanto non sia un uomo di scienza. Mi servono i dati per credere. Se qualcuno mi dà un'informazione, devo sempre testarla. Questo concetto non mi è mai stato troppo imposto nemmeno dalla mia famiglia, perciò preferisco fidarmi più di ciò che vedo e delle persone delle quali mi circondo ogni giorno. Non mi piace che qualcuno possa risolvere le cose per me (anche al di là della fede) quindi non credo che, proprio per natura, possa essere un buon credente.
In Incubi si dice "Per analizzarmi, sai, ci potrei fare una serie a puntate": quale sarebbe la serie tv di cui In Memoria è la colonna sonora?
Allora ho la risposta pronta, ma non ragionata perché è ovvia nella mia testa. È italiana e, vi prego, se avete possibilità, fate diventare In Memoria la colonna sonora delle serie di ZeroCalcare. Mi riconosco in quella poetica e non succede spesso; affatto.
E vorresti spodestare così Giancane?
Ma... insieme dai!
Ti è piaciuta più la prima o la seconda serie?
Allora, la prima, perché trattava un tema più nel quale mi potevo ben riconoscere. Nella seconda ho intuito più le sue paure riguardo la questione Netflix e di come potesse giustificare quello che continua a fare...

Pur essendo molto breve e, rischiare, magari, di essere evanescente, Mommy, al contrario, colpisce subito: com'è nata?
Visto che abbiamo parlato di serie tv, qui c'è lo zampino di un grande regista: Xavier Dolan. Nella vita di chiunque la figura della mamma è un pezzo fondamentale, nel bene e nel male che sia. Non volevo fare un pezzo esagerato e dura poco anche per quello: non serviva un'altra strofa, forse, anzi, ne sono state dette anche troppe. È un rapporto complesso, non volevo mettere cliché né retorica. Il paradosso è che mi desse fastidio, che facesse troppo rumore mentre lavava i piatti. Sono partito da lì per analizzare quanto sia grande la quantità di cose che i genitori fanno per te e tu, seduto sul divano magari, non riesci ad essere lucido e riconoscerle e ascolti solo il rumore.
Quest'anno avete anche suonato al Miami: raccontateci un aneddoto di questa esperienza.
In generale posso dirti che mi è piaciuto molto perché il disco nuovo era uscito da una sola settimana e la scaletta era all'80% roba nuova e avevamo un po' di paura che nessuno sapesse neanche una strofa. In realtà, abbiamo visto che c'era già emotività e conoscenza e ci ha stupiti. Però, ora, un aneddoto interessante non mi viene in mente... sarà che siamo persone molto noiose.
Allora vi faccio una domanda di riserva (che, in realtà, tanto di riserva non è). Quest'anno avete suonato anche al Primo Maggio: avendo definito In Memoria un disco gridato, quanto era importante salire su un palco del genere in un giorno così particolare?
Non avremmo mai dubbi su questo concetto. Penso che chi porta un progetto deve dare la massima sincerità al pubblico. Sono contro questa idea di mettermi in ginocchio guardando chi c'è davanti: mi bastano quegli otto presissimi che hanno capito tutto, piuttosto che quaranta che ascoltano in maniera blanda, soprattutto in quelle situazioni lì con grande pubblico e trovo che sia sbagliato arrivare con la roba mediocre lì. Bisogna dare il massimo.
Ultima cosa: ci sono state ispirazioni non musicali che hanno accompagnato la stesura dei brani?
Tanto cinema, arte. Sono molto legato avendo studiato in accademia e tante riviste. Ad esempio ho visto la biografia di Virgil Abloh o Dennis Rodman, quelle figure che nel loro ambito sono diventate iconiche e hanno vissuto la carriera in modo loro. Quelle personalità che in determinati lavori sono fuori da ogni schema ma riescono nel loro intento, anche meglio degli altri.

Gli Iside chiuderanno l'anno con due date a Roma e Milano, date e biglietti qui.