La prima cosa che penso mentre intervisto Svegliaginevra nella sede della Sony è che ci tiene veramente tanto a quello che fa. Non è una cosa scontata. È un fiume in piena, eppure soppesa ogni parola, ci tiene che il messaggio del suo nuovo disco Nessun Dramma trapeli non solo dalla musica, ma anche dalle interviste. Un concept album sull'amore, declinato in tutte le sue forme e sfaccettature. E con moltissime influenze: da Patti Smith a Sufjan Stevens, passando per Lucio Dalla e gli Strokes. Con un'artista così, gli spunti di discussione sono veramente tanti e interessanti.

Nessun Dramma è un album che esce senza la pandemia di mezzo, com'era stato per il tuo disco d'esordio. Che sensazioni hai?
Mi sento molto bene, perché comunque è stato un lavoro intenso di quasi un anno e mezzo. Sto iniziando a realizzare solo ora tutto il lavoro che che ho fatto. Sono molto fiera del risultato finale.
Quindi avrai modo di fare anche un tour come si deve, a partire dalle prossime due date a Milano e Roma.
Saranno due date speciali, pensate proprio per presentare il disco. Una sorta di festa a tema in cui cercherò di raccontare queste dodici canzoni. E poi ovviamente suonerò anche i miei pezzi vecchi e avrò degli ospiti per l’occasione. Sarà proprio un modo per avvicinare tutti al concept centrale del disco. Sono molto carica di salire sul palco.
Ci puoi spoilerare qualche nome o gli ospiti sono ancora top secret?
Non posso spoilerare niente, ma posso dire che ci saranno ospiti che hanno lavorato con me a questo disco e a quelli precedenti.
La copertina è molto evocativa e nel look richiami volutamente Patti Smith. Sei cresciuta ascoltandola o l’hai scoperta poi da adulta?
Direi la seconda. Ci sono tanti artisti che magari per legame emotivo ed affettivo ho ascoltato fin da piccola e ho continuato ad ascoltarli, ma solo poi quando ho iniziato a fare questo mestiere, mi sono resa conto ancor di più della grandezza delle cose che volevano fare. Ho riscoperto tanti testi e rivalutato tantissimi concetti espressi da artisti più grandi come, appunto, Patti Smith. L’ho voluto fortemente citare proprio per la libertà di espressione che lei ha sempre cercato di spiegare al grande pubblico e mi piaceva l'idea di associare questo tipo di estetica al disco, perché è proprio un album di vicinanza ed empatia nei confronti delle persone che appunto fanno proprio fatica ad affrontare i drammi della vita. Volevo avere questo tipo di di arroganza per dimostrare che il dramma avviene e bisogna accettarlo, affrontarlo e andare avanti per la propria strada.
Ti chiedo se da un lato non ci sia dietro anche la volontà di sdrammatizzare anche tanti piccoli drammi che capitano nella vita di tutti i giorni.
Hai assolutamente centrato il tema. È un titolo volutamente ambivalente, perché da una parte io stessa vorrei avere quel tipo di pensiero di “C'è un dramma, devo soltanto accettarlo”. Dall'altra parte, sono proprio la persona che crea drammi. Io ho origini campane, quindi come ben sai la drammaticità fa parte della nostro essere. C'è l’ambivalenza di un significato tendenzialmente ironico che è il “nessun dramma, però in realtà mi faccio un dramma”. Questo disco lo userò come monito per me stessa, per cercare di vivere la vita con leggerezza, che è molto complesso.
Sapevi già dall’inizio che avresti voluto fare un concept album o la cosa è venuta fuori da sé?
L'idea del concept non mi è venuta subito, perché avevo innanzitutto bisogno di capire dopo il secondo disco dove, artisticamente parlando, sarei potuta arrivare. Ho capito che c’erano cose che dovevo imparare a dire in maniera molto più chiara, anche musicalmente. Mi sono resa conto che avevo bisogno di andare in una direzione molto più pop, non inteso come genere musicale, ma nel senso che volevo che il messaggio delle mie canzoni arrivasse a più persone possibili. Alla fine mi sono resa conto che c'era un legame fra tutte le canzoni che avevo scritto e che erano tutte congiunte da un tema comune.
Prima citavamo Patti Smith. Ci sono state altre influenze dirette per questo album? So ad esempio che per scrivere Non mi piace ti sei ispirata liberamente dalla musica di Sufjan Stevens e Ornella Vanoni.
Ho voluto riscoprire tanto cantautorato italiano, che credo sia il genere che abbia più funzionato in Italia ed è quello a cui mi avvicino di più, anche solo per l'importanza che ho sempre dato ai testi da quando ascolto la musica. Quindi ti posso dire che ho ricevuto influenze dal più classico dei punti di riferimento per tutti che è Lucio Battisti, quindi Lucio Dalla, De Gregori per poi arrivare a voci femminili potenti come Elisa, Levante o, magari, proprio una via di mezzo che può essere Vanoni, perché per me è molto importante anche interpretare le canzoni che canto, quindi dare peso ad ogni parola. D'altro canto però, essendo del '91, sono cresciuta con tutta la musica leggera italiana: Laura Pausini, Nek e tutto quel filone lì. Mi piaceva molto l'idea di unire il cantautorato a un tipo di musica che semplificasse i concetti che poi sarei andata a sviluppare. Alla fine il risultato è questo flusso di contaminazioni che ha portato poi a un disco che non so neanche bene descrivere dal punto di vista del genere musicale, perché forse ce ne sono troppi, perché la musica, alla fin fine, mi piace tutta.
E per quanto riguarda gli artisti stranieri?
In realtà ho molti più nomi esteri perché se penso allo scenario femminile, mi vengono in mente (oltre a Patti Smith) Tori Amos, Kate Bush, Björk, Bat for Lashes, una serie di cantautrici femminili, tutte che hanno fatto la storia. Se penso al pop penso a Lady Gaga, Florence... comunque artiste che in qualche modo hanno saputo rendere mainstream delle tematiche, magari difficilmente trattate da altre, perché il peso delle parole di una donna, purtroppo, vale sempre meno di quello di un uomo.
C'è veramente tanto lavoro da fare a riguardo, a partire dall'industria musicale.
È sicuramente un tema molto delicato. Sono contenta di affrontarlo con te perché è importante parlarne, come tutte le tematiche relative alle minoranze o a problematiche che sono purtroppo la conseguenza di una società abituata ad avere convenzioni abbastanza patriarcali, dove il maschio ha un ruolo e la donna un altro. Prendi Sanremo: c'è il 10% di donne rispetto agli uomini e si tende sempre a pensare che sia semplicemente una questione di meritocrazia: "No, non è perché sono donna, ma è perché la mia canzone è più brutta di quella di x". Invece secondo me tutto questo è la punta dell'iceberg di un problema che ci portiamo dietro da anni. Per questo motivo ho citato Patti Smith nel disco, perché è una lotta per la parità che stiamo affrontando da tanto. È importante far capire principalmente alle donne che possono fare questo mestiere, perché siamo le prime ad essere stati convinte che non possiamo farlo per questioni di identità di genere. Perché noi dobbiamo fare soltanto quello, dobbiamo apparire. Dobbiamo essere in un certo modo e quindi si tende poi a reprimere la nostra vera identità. Per tutti questi motivi sono molto orgogliosa di fare parte del programma Equal di Spotify. Ci sono tante donne che pensano di non poterlo fare e quindi è importante, appunto, supportarle in questo settore. In realtà non sono poche, anzi. Tante persone che lavorano per me sono donne e fanno molto di più di uomini che in realtà hanno quel ruolo e sono lì perché, magari, si pensa che debba essere quest'ultimo a gestire determinate cose. È una tematica molto importante per me e il messaggio che volevo esprimere con questo disco era che qualsiasi sia la propria identità è importante tirarla fuori. Sono certa che le cose pian piano cambieranno, perché lo vedo anche proprio nella generazione che ha voglia di lottare per i diritti umani.
Con questo album ti sei aperta al pop, ma senza snaturarti. Ci sono ad esempio diverse citazioni lettararie (Leopardi, Goethe, ecc.) che non siamo abituati a sentire nella musica mainstream.
Per me questa è una cosa fondamentale. Usare questo tipo di citazioni serve a fortificare il messaggio: un modo per riuscire a farlo arrivare più forte. Ho citato anche altri artisti come gli Strokes in Gelatai o Come è profondo il mare di Lucio Dalla in Non mi piace. È un modo per unire il mio punto di vista a quello di altri artisti che l'hanno fatto meglio prima di me.
(le squilla il telefono, si scusa subito. Mi cade l’occhio sul suo screensaver, una locandina di un live dei Beatles, ndr.)
Scusa ma mi è caduto l’occhio e non ho fatto a meno di notare il tuo screensaver.
(ride, ndr.) Questa cosa la notano tutti, per il cellulare uso solo foto di vecchie locandine di band storiche. Le cambio spesso, mi piacciono tantissimo le cose vintage.
Allora ti faccio una domanda d’obbligo: come hai vissuto la release di Now and Then dei Beatles?
Ne ho parlato di recente con i miei amici e mi sono sentita fortunata come le persone all'epoca di quando usciva un nuovo lavoro dei Beatles e potevano ascoltarlo in quel momento. Che poi vabbè, adesso è un discorso di "apro Spotify e clicco play", mentre prima non era così semplice. Mio zio mi raccontava che negli anni '80 si radunava con i suoi amici per comprare un vinile e ascoltarlo tutti insieme, perché non tutti potevano farlo.
Secondo te si è perso quel senso di aggregazione di una volta?
Secondo me sì. È per questo che, quando è uscito la canzone nuova dei Beatles, ho ripensato al fatto che avrei probabilmente preferito avere vent'anni in quegli anni lì, perché sono molto più per il CD fisico, per avere un effetto che vada oltre la canzone e basta. Infatti ho voluto fare la fanzine proprio perché non potendo stampare il disco (perché nessuno ormai li compra), mi piaceva l'idea che i fan avessero poi un ricordo fisico.
Quindi questo vale sia per Ginevra come fan che come Svegliaginevra come artista.
Esatto sì, perché sono sono un'artista che sale sul palco, ma sono sempre stata una fan che va ai concerti e che tutt'ora ci va tutte le volte che posso. Per me i concerti sono una sorta di messa: quando sono fra il pubblico non parlo, non canto, sono lì ad osservare.
Il concerto più bello che hai visto quest’anno?
Ne ho tre! Sono andata al Mediolanum Forum a vedere Bon Iver e lì sì che è stata veramente è una messa: mancava solo l'ostia e il vin santo (ride, ndr.). Poi ho visto Lana Del Rey a La Prima Estate: per me lei è la regina delle delle mie fonti ispirazione più grandi. In ultimo ti direi gli Arctic Monkeys agli I-Days, ero però un po' dietro quindi non me la sono goduta appieno.
Hai collaborato con molti nomi fra cui Riccardo Zanotti e Tommaso Colliva. Com’è andata?
Conosco Riccardo perché abbiamo dei manager in comune. Ho avuto la fortuna di conoscerlo prima come persona e poi abbiamo deciso di scrivere insieme. Le collaborazioni di questo disco mi hanno insegnato veramente tanto, perché ho un po' imparato a gestire bene il discorso “sono un'artista, ma la mia musica va al di là della mia persona”. E quindi avere la fortuna di confrontarmi con artisti come Riccardo (Zanotti, ndr.) e produttori come Colliva o Bertolotti è stato veramente qualcosa di bello. Ti rendi conto che i numeri non contano e che siamo tutti lì per un unico scopo che è quello della musica: la condivisione. Io magari sono stata fortunata ad avere collaborato con determinati artisti, però è stato veramente del tutto naturale. In session con Riccardo non ha assolutamente sentito il peso dei suoi numeri. Eravamo semplicemente due persone appassionate di musica che volevamo raccontare qualcosa nell'unico mezzo che gli riesce meglio: le note e le parole. La musica è venuta da sé e pezzi come Gelatai o Alla fine di tutto sono il risultato di tante visioni d'insieme che si sono unite.
Ultimissima domanda, molto leggera… sogno nel cassetto?
Ah pensavo volessi chiedermi di che segno fossi! (ride, ndr.) Ho tanti obiettivi grandi che non dico per scaramanzia, perché poi la vita va vissuta di giorno in giorno. Diciamo che adesso il mio obiettivo più grande è che questo disco arrivi così come voglio che arrivi, cioè come l'ho scritto. Ma anche solo il fatto che esca in realtà mi appaga tantissimo. Però sì, vorrei che il mio messaggio arrivasse forte e chiaro.
