03 aprile 2025

Temporale è la spinta evolutiva dei Gazebo Penguins: intervista alla band

Arrivare al sesto disco in studio non è mica roba da tutti. I Gazebo Penguins però hanno ancora molto da dire e Temporale è il frutto di tre anni di lavoro in sala di registrazione, dopo essersi auto-imposti un tema ingombrante come quello della mente, del pensiero e delle idee.

Abbiamo parlato di questo nuovo disco direttamente con Gabriele Malavasi, aka Capra nonché chitarrista e voce della band, e con il bassista e voce Andrea Sologni, ovvero Sollo, e ci siamo fatti raccontare come è stato scelto un tema così ingombrante, almeno sulla carta, e come vivono il fatto di essere arrivati al loro sesto album. E ovviamente anche tante altre cose.

Gazebo Penguins intervista
Gazebo Penguins | Credits: Gio Fato

Partiamo dalle cose essenziali. Nuovo disco e tour promozionale: come state?

Capra: Per adesso bene (risata generale, ndr). La stiamo vivendo bene e senza sensazionalismi, come deve essere il nostro lavoro. Ci sentiamo un po’ come Steve Albini quando entrava in sala di registrazione con la tuta da meccanico: non so se hai presente, un po’ quel mood lì. Siamo soddisfatti del nostro nuovo lavoro come un idraulico deve essere contento di presentare una nuova caldaia.

In occasioni come questa, mi piace sempre lasciare introdurre il disco agli artisti stessi, senza dare spunti o indirizzare la presentazione. Per cui, a voi la parola: cos’è Temporale?

Capra: Dunque, Temporale è il tentativo di raccontare qualcosa che accomuna tutte e tutti, ovvero la nostra testa, che va dal pensiero più immediato e concreto fino ad un mondo più profondo, stratificato di pensieri radicati nella mente. Il disco si propone di rappresentare entrambe le essenze: è immediato al primo ascolto ma, per chi vuole e lo desidera, ci si può addentrare e scoprire qualcosa di più profondo.

Sul mondo dei pensieri e sul modo in cui si vede il mondo, pensate che abbia un’influenza il posto in cui si nasce? Vi sentite territoriali?

Capra: Assolutamente sì. In questo momento in giro per Milano ci sentiamo molto provinciali ed è una cosa che amiamo molto. La provincia può essere i margini, ma è lì al confine che si incontrano tutte le particolarità dei punti che confinano: quello è il nostro ambiente, quello in cui si genera il melting pot tra le cose più disparate. Noi veniamo dalle zone più marginali delle province di Reggio Emilia e Modena e, dopo vent’anni, lì continuiamo a ritrovarci ed è solo lì che sono nate le nostre canzoni. Questo legame per noi è indissolubile.

"Temporale" l'album dei Gazebo Penguins
Gazebo Penguins - "Temporale"

Entriamo nel merito del disco e di questa vostra analisi della mente e del pensiero. La scelta di Gestalt serve per introdurre il disco e ne è la chiave di lettura?

Capra: La cosa interessante è che nelle chiacchierate e interviste che stiamo facendo in questo periodo, ognuno ha dato una sua diversa interpretazione in termini di chiave di lettura del disco. C’è chi dice che Quasi e Delle mie Brame lo sia altrettanto, ma Gestalt può esserlo per il suo significato. Racconta come la nostra percezione del mondo sia guidata dal proprio cervello prima ancora di ricevere qualsiasi spunto o stimolo esterno, quindi da chi siamo e dalla nostra ‘teoria del mondo’. Ogni persona vede il mondo attraverso i propri occhi e il proprio cervello, ci sono meccanismi che ci indirizzano a vedere la realtà in un determinato modo: questo è il principio della dottrina estremamente sintetizzato. Inconsciamente il cervello ti fa raccogliere le forme simili, fa immaginare uno sfondo su cui si staglia una figura, ecc. Vedere il mondo secondo forme diverse che compongono strutture più articolate, ognuna diversa per ogni persona, può essere la spiegazione del fatto che persone diverse vedano un pezzo diverso come chiave del disco. Gestalt è il principio chiave del disco, forse.

La filosofia ha un ruolo di primissimo piano quindi.

Capra: Durante la scrittura di questo disco ho avuto la brillante idea di iscrivermi alla facoltà di filosofia, per puro interesse personale. C’era questo esame che si chiamava ‘Metodi della conoscenza scientifica’ e che mi intrigava perché non riuscivo a interpretare cosa avrei studiato. Trattava del rapporto tra la filosofia e le scienze cognitive, una sorta di filosofia della mente, ed è lì che scattata la scintilla con il tema che poi ho cercato di portare in sala prove per condividerlo con la band e vedere se potesse diventare il tema del disco.

Quindi l'album è nato dandovi un tema: è stato importante avere una linea guida?

Capra: Importante perché antecedente. Iniziare a pensare a un disco secondo determinate costrizioni, quindi ancora prima di raccogliere le idee su cosa fare abbiamo deciso di far sì che il disco parlasse della testa, che avesse delle sonorità degli anni 80. Darsi delle griglie per vedere se in questo modo potesse anche nascere un nuovo modo di fare musica.

Avere 5 dischi alle spalle è stato un ulteriore sprone a cercare qualche novità anche dal punto di vista della scrittura?

Sollo: Sì, in un certo senso una sfida personale per cercare di ringiovanire tutto il meccanismo per darci qualche ulteriore stimolo, nonostante non siamo assolutamente stanchi di fare musica. Abbiamo anche provato qualcosa di nuovo a livello di sonorità, perché ovviamente se ti dai un tema poi provi anche a descriverlo con i relativi suoni. Già in Quanto avevamo provato una formula simile, visto che alla base c’era questo riferimento alla meccanica quantistica e anche lì avevamo ragionato sui suoni e sulla struttura dei pezzi. Quindi estenderei questo tentativo già anche al nostro disco precedente.

Capra: Durante il tour di Quanto abbiamo incontrato un sacco di ragazze e ragazzi molto giovani che inaspettatamente ci avevano scoperto proprio con quel disco. Questa nuova ondata di attenzione sul lavoro più recente ci aveva da subito ispirato a metterci al lavoro: una risposta agli stimoli arrivati durante il tour precedente.

Gazebo Penguins
Gazebo Penguins | Credits: Gio Fato

Avete menzionato gli anni ‘80 e questa ricerca di un cambiamento anche nelle sonorità. I vostri ascolti e i vostri riferimenti si sono evoluti?

Sollo: Per me gli Idles sono una costante da Brutalism, il loro primo vero disco, e molte sonorità di TANGK le ritrovo. Quello che mi aveva colpito da subito erano gli effetti alle chitarre, le distorsioni anche sulla semplice nota piuttosto che su un accordo, oltre a certi riverberi e ambienti. Loro hanno questo imponente uso di droni e pad che noi usiamo già da tempo e che adesso è utilizzato sempre più frequentemente. Per il resto non ho visto grossi cambiamenti nella musica che abbiamo ascoltato. Poi il fatto di aver lavorato negli ultimi anni con il rap e l’hip hop, sicuramente ha avuto un’influenza sul modo di scrivere questi dischi.

Dalla vostra risposta precedente, e avendovi visto dal vivo, è chiaro come la dimensione live sia fondamentale per voi.

Capra: Lo è. Uno dei principali motivi per cui continuiamo a fare musica è proprio per suonarla dal vivo. Per questo disco è stato avvincente e sfidante il fatto di averlo scritto tutto senza mai aver fatto una prova, quindi dopo averlo mixato e stampato devi impegnarti proprio a trasferirlo nella dimensione live. Quindi questo trasloco è stato il nostro lavoro delle ultime settimane e proseguito poi con l’inizio del tour. In un certo senso la fatica raddoppia perché ti concentri sulla registrazione, ma poi devi far sì che dal vivo il tutto abbia la stessa forza.

I vostri live sono cambiati dopo la pandemia?

Sollo: Noi siamo rimasti molto colpiti nel corso del tour precedente in cui oltre ai vecchi fan abbiamo incontrato davvero tanti ragazzi molto giovani, attenti a noi come band ma anche ai temi che trattiamo. Questo è quello che ci è rimasto impresso più di tutto. Quando pubblichiamo un disco partiamo in tour con aspettative molto basse (ride, ndr), in realtà è andato molto bene.

Capra: Generalizzando il discorso, ho visto che nel 2025 ci sono davvero tanti concerti in giro. Quello che ora rimane nella zona d’ombra e si fatica a salvare sono i piccoli club e i piccoli circoli. Quando abbiamo iniziato a suonare potevi permetterti di fare tour anche di 20 date all’interno della stessa provincia, in tanti circoli sperduti, mentre ora dopo il Covid quella dimensione ha bisogno di una mano.

Secondo voi dove sta l’origine del problema? Dalla proposta e quindi dagli artisti o dal pubblico?

Sollo: Secondo me è un problema condiviso. Adesso nelle etichette va molto il concetto di festival, anche mettendo a repentaglio o in discussione un tour per avere la conferma di un determinato festival. Ci abbiamo provato anche noi, ma ci siamo resi conto ben presto che nel nostro caso la soluzione migliore è fare più date anche se con meno audience, per suonare anche in posti più piccoli, dando loro la possibilità di poterci chiamare. Perché noi veniamo da lì, da quella dimensione, e perché se stiamo troppo a casa ci rompiamo i coglioni (risata generale, ndr). Adesso c’è una struttura davvero molto costringente: devi fare il disco, mandarlo in hype il prima e il più possibile e se non ti presenti al mega-festival non sei nessuno.

Capra: Venendo dalla provincia il nostro piano marketing è andare a suonare nella provincia, anche in quella più sperduta, senza tirarsela troppo.

Torniamo sul disco e chiudiamo analizzando un po’ di brani. C’è qualche canzone a cui siete particolarmente legati?

Sollo: Io direi Finisce Male. Nella versione in vinile è l’ultima, in quella digitale e nel CD no: ci sono tre tracklist diverse per i vari formati. Mi piace particolarmente perché è costruita su un solo giro di chitarra e il brano si sviluppa sulla progressione armonica e sull’ingresso dei fiati che danno una nuova impronta al testo con tanto di cambio sul cantato. É un pezzo che ci piacerebbe portare dal vivo anche con i fiati, anche se sarà difficile.

Capra: Il mio invece è Mnemosyne perché è quello in cui ho sperimentato un po’ di più in fase di produzione, soprattutto sulle chitarre, e penso che sia uscito un brano bello coeso. Poi c’è questo Juno (un sintetizzatore, ndr) che abbiamo rispolverato per le atmosfere anni ‘80 e che abbiamo utilizzato in modo meno convenzionale: abbiamo fatto partire un arpeggiatore su cui ho fatto partire dei delay e dei riverberi ed è diventato un drone anni ‘80. Anche il tema di questo pezzo è quello che forse mi ha colpito di più perché mi immagino una persona malata di Alzheimer.

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Io invece vi nomino Inospitale, che mi ha colpito anche per il suo video: un po’ sci-fi, un po’ distopico, con questo tema del documentario. Di recente anche i bdrmm all’estero hanno fatto qualcosa di simile, mi chiedevo se l’idea alla base del video fosse una sorta di sfida con la realtà che stiamo vivendo o a qualche sottogenere.

Capra: Questa reference mi manca purtroppo. In realtà il video è frutto di un progetto portato avanti con Vernante e Daniele (Pallotti e Zen, registi del video musicale, ndr) che avevano questa idea di fare un mockumentary sul pogo e noi ce ne siamo accaparrati, perché ci sembrava fighissimo e perfetto per il concetto di Inospitale, perché il pogo rappresenta metaforicamente quel luogo sulla Terra in cui sai quando entri ma non sai se ne uscirai nella tua interezza: un viaggio verso le tue zone d’ombra. Il video era perfetto per una canzone che in maniera meno faceta parla proprio di quando il cervello si comporta in modi che non corrispondono alla nostra persona e volontà. E così ci ritroviamo a convivere con un cervello inospitale, appunto.

Gazebo Penguins
Gazebo Penguins | Credits: Gio Fato