03 febbraio 2018

Con The Blonde Album, le I’m Not a Blonde superano la prova del nove

Negli States si adopera un termine gentile, sophomore, lo stesso che definisce quella figura fastidiosetta del pischellino imprigionato nel tremendo limbo che suddivide l’incompetenza della matricola dalla sagacia del dottore; in Italia si preferisce una perifrasi: “spauracchio del musicista riguardo l’esito del secondo album”. Seppur polistrumentista navigata, Chiara “Oakland” Castello del duo I’m Not a Blonde (But I’d Love To Be Blondie) prova ancora quel lieve tremito di persona messa costantemente sotto interrogatorio; questa volta, però, ha incontrato una persona altrettanto emozionata perché alla sua prima intervista. La telefonata si è rivelata un simpatico pasticcio da cui sono state tratte delle chicche inedite sulla sua carriera e sul “secondogenito” condiviso con la collega Camilla Matley, The Blonde Album, in uscita il 26 gennaio per INRI/Metatron. Il duo, costituitosi nel 2014, è succeduto ad un progetto che ha segnato brevemente la vita di Chiara, 2Pigeons, un intenso viaggio affrontato con Kole Laca, tastierista de Il teatro degli Orrori, amaramente interrotto all’arrivo di un bivio che li ha destinati a calpestare diversi scenari, sentieri che tuttavia si intersecano a intervalli irregolari.

«In un’intervista di cinque anni fa, tu e Kole Laca avevate svelato il vostro desiderio di trasferirvi all’estero, però oggi siete ancora qui. È forse cambiato qualcosa a livello musicale?»

«Sono rimasta in Italia per questioni lavorative ed affettive, ma tento ancora di raggiungere un ambiente diverso: per esempio, The Blonde Album uscirà il 26 gennaio contemporaneamente in Italia, Svizzera, Germania e Austria. In Germania sono già usciti due singoli, stanno passando in questi giorni in rotazione su FluxFM, una radio importante a livello nazionale. Inoltre, il primo febbraio andremo a suonare a Berlino al Privatclub con una band canadese, i Peach Pit. Stiamo cercando di muoverci, il desiderio di “espatriare” non è morto, ma per il momento il nostro punto di partenza rimane l’Italia, con uno sguardo proiettato all’estero».

Chiara e Camilla sono entusiaste della nuova avventura in una terra che ha alle spalle una tradizione musicale sostanzialmente elettronica; c’è tuttavia da precisare –Chiara ci tiene moltissimo– che questa componente è soltanto uno dei tanti tasselli che compongono la loro formazione musicale: «la nostra caratteristica è quella di stare in mezzo a un mondo elettronico e un mondo più “suonato”, un songwriting più pop con ritmiche degli anni Ottanta; tu hai citato Le Tigre , abbiamo anche delle influenze legate alla scrittura punk. Noi non siamo completamente inglobate nel mondo dell’elettronica, ma senza dubbio il suo linguaggio ci ha contaminato. Insomma, siamo abbastanza trasversali, e credo che questa trasversalità sia per noi un qualcosa di cui non possiamo fare a meno: è il nostro modo di essere».

«Come rispondono gli italiani alla vostra musica?»

«Non essendoci schierate in un genere ben determinato, con dei canoni e con dei riferimenti propri di un certo tipo di linguaggio, forse si fa più fatica. Non è facile nemmeno per chi compone pura musica elettronica. È curioso notare come in Germania ci sia un’attenzione e un’apertura diversa: in pochissimo tempo abbiamo ottenuto una risposta molto positiva».

Probabilmente, non tutti gli italiani della seconda decade del terzo millennio sono pronti ad ascoltare un racconto di emarginazione con successiva vittoria, tematiche che farebbero rizzare i peli a chi vive nella propria bolla chiamata “grettezza”. Aggiungiamo inoltre la partecipazione del duo alle iniziative del collettivo Non Una Di Meno. Troppo, troppo avanti: ancora oggi si rimane sorpresi della mancata rivoluzione dei Prozac+ e della diffusione dell’euro dance, unica nota elettronica dei magici Novanta.

Il trio punk di Pordenone è redivivo in The Blonde Album grazie alla presenza di Gian Maria Accusani, ora mente dei Sick Tamburo, coautore qui di Daughter, Walls Coming Down, A Reason, WaterfallDaughter è un manifesto di lotta contro chi diffonde la fantomatica teoria di gender e contro il patriarcato, una sensibilizzazione ad un dato di fatto: non saranno i genitori (o chi ne farà le veci) ad assegnare il genere ad un neonato, bensì sarà lo stesso piccolo ad identificarsi, quando ne sarà consapevole, in un genere. Accusani è un bambino che vorrebbe toccare le bamboline della sorellina ma al tempo stesso, perché vittima delle imposizioni sociali, cerca di reprimere il suo desiderio con l’irriverenza. La voce narrante impersonata dalla Castello prova lo stesso sentimento, vorrebbe dedicarsi ad altri giochi, ma se ne duole così tanto da chiudersi in se stessa. Si scopre alla fine che entrambi soffrono con la medesima intensità, piangendo la notte. Sorge spontanea una domanda che più volte è stata posta a Chiara: «qual è oggi il ruolo della donna nel mondo della musica?»

«Spesso questo argomento segue alla richiesta di delucidazioni sul significato del nostro nome. È un riferimento al noto detto inglese –solo in seguito abbiamo scoperto che viene usato anche in altre lingue– “to be a blonde”, che significa “essere stupida”. Ispirandoci a questo termine e facendo la dichiarazione di non esserlo, abbiamo lanciato una provocazione in chiave ironica, uno spunto di riflessione rispetto a una scena musicale –generale, non solo italiana– in cui si vede la presenza marginale della donna: ancora oggi si fa fatica a trovare donne in ruoli di fonici, produttrici, ingegnere. Fortunatamente, stiamo vedendo che le cose stanno cambiando, le nuove generazioni stanno prendendo i loro spazi».

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La seconda uscita discografica è la prova del nove dei maestrini pronti a stroncare con il proprio matitone bicolore le abilità del novellino preso in esame. Si può affermare facilmente che con The Blonde Album, Chiara e Camilla sono riuscite nel loro intento, essere delle Blondie molto originali, sbarazzine come la chioma lunghissima della copertina che gioca a scuotersi nel video promozionale. In queste nove tracce c’è tanta voglia di conoscersi meglio e di svelarsi ad un pubblico, diventando nella loro intimità le portavoce dell’esistenza degli altri: c’è una sorta di mutuo soccorso, ed è per questo motivo che non ho paura di definire l’album emblematico. È un lavoro ben architettato, con un preciso equilibrio tra la parte elettronica e i giri di chitarra, con temi snocciolati in brani concatenati. Viene raccontata in tutti i suoi amari stadi una relazione giunta al capolinea (Walls Coming Down: non rendersi conto della situazione; A Reason: il tentativo di recuperare i cocci rotti, di consolidare quel muro spaccato; The Road: trovare una nuova meta dopo un momento di perdita della bussola); viene tracciato il proprio ritratto in Not Today, storia di un Icaro al femminile, nella soave Five Days e nell’ermetica Waterfall:

«Il testo è volutamente implicito, è ambientato in una dimensione in cui il sogno e la veglia coincidono: c’è dunque una lettura duplice della canzone. È un racconto di quello che mi è capitato in un sogno, una situazione che replica la realtà di tutti i giorni. Ad un certo punto “those grey ghosts are hunting in my dream”: i fantasmi grigi rappresentano la società che cerca di omologarmi, persone che vorrebbero mettermi in una scatola, che vorrebbero che io fossi come tutti gli altri. Questi fantasmi mi tormentano sino a quando “arrivi tu, che non sei grigio o grigia ma che hai un altro colore e mi vieni a salvare”. Ogni volta che faccio questo sogno, qualcuno mi salva. È una concezione simbolica: questa persona può anche essere una parte di me. Waterfall è la sintesi delle battaglie quotidiane del riuscire a ricordarsi chi si è e della propria individualità rispetto ad una società che tende a volerti formare con lo stampino».

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C’è ancora tanta strada da percorrere per essere comprese, e il duo non teme di mostrarsi nella sua veste più sensuale (Pinball), raggiungendo la velocità dei Novanta (Rain in August): sin dal primo ascolto ho creduto che dietro a quel paragone dei pezzi del flipper buttati all’interno di una scatola ci fossero le anime di Chiara e Camilla, tant’è che la conferma di questo pensiero da parte della cantante mi ha persino rallegrato: «le mie canzoni preferite sono Five Days, Pinball e Rain In August…ma per essere certe del loro essere specchio della nostra personalità, dovresti fare la stessa domanda a Camilla!».

Più volte i blogger hanno descritto la musica delle I’m Not a Blonde come componimento ad incastri in quanto l’elemento identificativo di esse è la continua sovrapposizione di segmenti musicali. I live sono caratterizzati da una scenografia povera, un telone sul fondo che riproduce immagini in movimento e un tavolo di lavoro al centro che divide in due lo spazio di azione delle performer. All’Home Festival avevo ammirato la loro simmetria, che però a partire dal prossimo tour subirà dei cambiamenti: a loro si aggiungerà «Leziero Rescigno, conosciuto come produttore di tanti progetti italiani, che ha lavorato come batterista prima con i La Crus, poi con gli Amor Fou, infine con Mauro Ermanno Giovanardi; suonerà con noi il 25 gennaio al Biko di Milano per presentare l’album».

«Perché è necessaria la presenza di un batterista in questo tour?» ho chiesto senza pensarci su, essendomi dimenticata del video di A Reason, laddove Camilla picchia fortissimo il rullante e il charleston...pardon! Questo è un album meno “artificiale”:

«Noi crediamo che sia l’album stesso ad averci chiesto di trovare un batterista perché le canzoni sono diverse e c’è un aspetto un po’ più complesso rispetto al lavoro precedente. Sentivamo il bisogno di avere un elemento in più che potesse aiutarci a far uscire al meglio queste canzoni, più vicine alla scrittura pop e meno all’elettronica intesa come uso degli strumenti quali la loop station che tuttavia continueremo ad usare: questa modalità non cambierà mai perché farà parte del nostro modo di scrivere».

Al di là dalle retoriche abbraccia–tutti del femminismo pop promosso dalle fortezze del capitalismo, al di là dalla stessa battaglia aspra, questo album è una piccola oasi rifocillante, libera dai troppi “venti” campionati che, alla lunga, avrebbero stancato. La crescita è ancora in corso; a bordo di questo rapido biondo, fate pure i portoghesi: l’importante è salirci.