03 ottobre 2022

"Vogliamo essere di più di una band qualsiasi": intervista ai Lounge Society

The Lounge Society, un nome che nell’ultimo mese ha abitato numerose chart internazionali di musica alternativa e non solo. Cameron Davey e Archie Dewis sono rispettivamente cantante – oltre che bassista – e batterista di una delle band inglesi più interessanti tra quelle venute allo scoperto negli ultimi due anni. Il loro album di debutto, Tired of Liberty, uscito lo scorso 26 agosto con Speedy Wunderground, è solo il primo traguardo di un percorso iniziato quando i quattro ragazzi di Hebden Bridge, West Yorkshire, avevano appena quindici anni. Il loro sound è vario e spigoloso come il vento che sferza la loro provincia, la loro attitudine ha un sapore vintage: la sperimentazione e la ricerca di uno stile personale sono le linee guida.

«È veramente un momento fantastico. Il nostro album sta andando incredibilmente bene nelle classifiche e ci fa piacere sapere che la gente apprezza la nostra musica. Siamo stati nella top ten dell’alternative chart inglese e persino nella Top Five in Francia, se non sbaglio». No, non sbaglia Archie. Si ricorda benissimo e, mentre aspettiamo che Cameron entri nella chiamata Zoom, racconta il suo entusiasmo senza riuscire a trattenere un largo sorriso colmo di soddisfazione.

Cameron si connette, la sua t-shirt bianca si confonde col muro dello stesso colore alle sue spalle. Una personalità riflessiva la sua, che traspare dal modo di parlare lento e preciso. Il suo tono di voce è colloquiale e nasconde in maniera spiazzante tutte le sfumature che invece emergono quando canta. Decidiamo di partire dall’inizio, dall’High School e da quella Music Class da cui è cominciato tutto:

Cameron: Il periodo della scuola superiore non è stato proprio il massimo in realtà, però è anche vero che è in quel contesto che ci siamo conosciuti, durante una classe di musica. Abbiamo subito fatto amicizia e abbiamo iniziato a suonare insieme. Si può dire che siamo diventati amici e compagni di band allo stesso tempo. In quel momento abbiamo sfruttato a pieno i piccoli club del nostro paese, partecipando a quanti più live possibili e costruendoci sia a livello musicale che personale.

Immagino che i primi Lounge Society non suonassero come oggi.

Cameron: No, decisamente no (ride n.d.r.). Abbiamo incominciato suonando delle cover, il nostro suono si ispirava molto a quello degli Arctic Monkeys e degli Strokes. Poi abbiamo dovuto trovare qualcosa che ci rendesse unici e originali.

Archie: Sì, volevamo essere un po’ di più di una qualsiasi band derivativa.

Siete partiti dalle loro canzoni e poi siete finiti a suonare allo stesso festival. Al Lytham Festival infatti eravate tra gli opening act degli Strokes: come è stato condividere il palco con alcuni dei vostri miti?

A: Incredibile. Finora, è stato probabilmente il più momento più importante per me, e penso anche per gli altri, da quando è nata la band. Il punto saliente. È stata come la chiusura di un cerchio, loro sono una delle mie più grandi fonti d’ispirazione e una delle mie band preferite. Stare nel backstage con i Fontaines D.C. a vederli esibirsi è stato bellissimo e strano allo stesso tempo.

(c) Alex Evans

Uno dei vostri crucci è sempre stato quello di differenziarvi e trovare una vostra strada. Quindi avete ascoltato qualcos’altro in particolare durante le fasi di scrittura e registrazione di Tired of Liberty, qualcosa che vi ha influenzato?

C: Ognuno ha avuto ascolti molto differenti, ciascuno di noi si è immerso in stili e generi musicali diversi e nessuno ha mai condizionato gli altri in maniera diretta. Invece poi, quando abbiamo scritto le canzoni, abbiamo trasferito nella nostra musica tutte le idee, prendendo le nostre influenze principali, tra cui appunto gli Strokes, i Fontaines D.C…

A: I Velvet Underground!

C: ...e portandole in una direzione completamente nuova.

Sembra infatti che cerchiate di rubare tutto ciò che più vi piace dai vari generi musicali. Per esempio, nel vostro secondo singolo No Driver c’è una forte componente elettronica, mentre l’opening People Are Scary è più vicina al reggae e al funk. Ed è anche impossibile non notare che molte delle vostre canzoni iniziano in un modo per poi prendere tutt’altra strada. Come descrivereste questa continua evoluzione, anche all’interno di una singola canzone?

A: Noi non abbiamo un autore principale, nemmeno per i testi. Ci ritroviamo tutti in sala prove e ognuno di noi magari ha composto una parte, la propone e si va poi a mescolarle tutte assieme lavorandole e affinandole in base al mood e a ciò che sentiamo in quel momento. Quello che posso dire è che un processo di scrittura collaborativo.

C: Non ci poniamo alcuna struttura o schema prima di scrivere una canzone, siamo quattro ragazzi che condividono diversi stili, per cui il risultato può andare ovunque. È per questo motivo che a livello di genere è difficile catalogarci e posizionarci in una determinata tipologia di band.

Beneath the Screen è una delle tracce più eloquenti da questo punto di vista, ricorda quasi una jam session. Come scrivete le vostre canzoni quindi, partite dalla musica o dal testo?

A: Tutto nasce sempre dalla collaborazione e da un’ispirazione collettiva. Dipende dal suono e dall’umore. Io credo che non sia mai un’intenzione a riflettere un mood: lo stato d’animo si genera e basta, è qualcosa che accade. Una volta venuti a capo di quella sensazione comune proviamo a trovare un testo che possa essere adatto. Per cui nella maggior parte dei casi le parole nascono immediatamente dopo la canzone o insieme ad essa.

Questa continua ricerca della varietà ovviamente poi vi consente anche di avere momenti diversi anche nei live, soprattutto nell’alternanza tra pezzi più veloci e rumorosi e altri più soft. Avete già dei pezzi a cui siete più affezionati?

C: Immagino che ognuno di noi abbia le sue preferite, ma a me piace suonare entrambe le tipologie di canzone, perché almeno posso avere delle pause, riguadagnare energia, riprendere fiato.

A: Dipende anche dalla posizione della scaletta in cui ci troviamo in quel momento e da quanto siamo stanchi (ride n.d.r).

C: Sì, abbiamo bisogno di un break con le canzoni più lente, specialmente dopo Remains. È una delle più toste (ride n.d.r.), ma è anche divertente da suonare.

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La Speedy Wundergorund vi ha adottato quando non eravate nemmeno maggiorenni. Dall’esterno viene da pensare, viste le continue collaborazioni e le amicizie tra le band che ne fanno parte, che sia quasi una famiglia per gli artisti coinvolti.  

A: Sì, in comune con le altre band c’è di certo il rispetto per Dan Carey. Non è sempre contento di noi (ride n.d.r.), ma di sicuro questa è una cosa positiva perché cerca di portarci nella giusta direzione. È una bellissima persona.

Com’è lavorare con lui? Sono rimasto sbalordito nel vedere i suoi metodi nel documentario sulla registrazione del primo album degli Squid Bright Green Fields.

A: Pazzesco. Fin dal nostro primo incontro, per registrare il primo singolo Generation Game, è stato un continuo imparare. Dan ci ha mostrato nuove vie di possibilità. Con il suo metodo inconsueto, i suoi modi strani di lavorare e le sue trovate, riesce a tirare fuori il meglio di te.

Generation Game, è stato il vostro singolo di debutto, la canzone da cui è iniziato tutto. Come mai l'avete posizionata come ultima traccia dell’album?

A: Ci sembrava una scelta simbolica da fare. Un sacco delle canzoni dell’album sono state ideate e pensate per un lungo periodo prima dell’uscita del disco, molte sono nate anche prima della pubblicazione di Generation Game. Far terminare l’album con il nostro primo singolo era anche un modo per chiudere il cerchio prima di intraprendere quella che sarà la fase successiva.

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Blood Money è una delle canzoni dell’album che tratta temi politici e sociali. Anche se non dovrebbe essere così, stupisce sempre quando una band così giovane si cimenta con dei testi impegnati. Siete tra quelli che credono che con la musica, o con l’arte più in generale, si possa cambiare il mondo?

A: Assolutamente!

C: Non importa quanto tu creda che le parole di una canzone possano riuscire a cambiare le cose, nove volte su dieci non accade. Conta invece quanto il testo riesca a cambiare la percezione e i sentimenti delle persone influenzandole, anche se poi questo non porterà a nulla. Evito di definirla come una questione di “politica”, la sintesi è che noi ora, grazie al successo che in parte abbiamo avuto e che stiamo continuando ad avere, abbiamo una piattaforma da cui far sentire la nostra voce. Credo che sia una nostra responsabilità parlare delle cose del mondo che ci fanno arrabbiare e di cui non siamo contenti. Sì, è come dire, “noi possiamo farlo, perché non dovremmo?”.

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A tal proposito c’è una canzone, Upheaval, un unicum del disco per tema e stile sonoro: suono pulito e distorsione assente. Come è nata?

C: Anche se il tema centrale di Upheaval, con l’uccellino intrappolato tra i grattacieli che vola compiendo giri su se stesso, sembra dare una rappresentazione del cattivo stato in cui si trova oggi la natura, in realtà l’abbiamo scritta pensando molto anche a Hebden Bridge, la città dove siamo cresciuti. Le sue valli, i suoi paesaggi incontaminati, ci hanno fatto riflettere su come spesso non ci rendiamo conto di essa e non l’apprezziamo abbastanza.

A: Non significa necessariamente arrendersi al suo continuo deterioramento, ma cercare di godersi ciò che ancora rimane di essa.

Voi provenite tutti dal West Yorkshire, siete cresciuti tra Hebden Bridge e Tomdorden. Una zona alla quale dimostrate costantemente di essere molto affezionati. Quale è l’aspetto più bello di quest’area dell’Inghilterra poco conosciuta?

A: La natura, la possibilità di essere completamente soli in mezzo ai boschi, a qualche miglio di distanza dal resto delle persone. Non è una cosa che tutti hanno a portata di mano, è molto rilassante.

C: È bello soprattutto tornarci dopo il tour. Dopo aver viaggiato per tutta la Gran Bretagna e l’Europa, è il posto perfetto per “disintossicarsi”.

Ci sono due canzoni nell’album che parlano del nord dell’Inghilterra. In North is in Your Heart la provincia è il luogo dove coltivare e far crescere i propri sogni, in Boredom is a Drug invece è il posto da dove scappare per realizzarli.

C: Sono due canzoni con cui abbiamo cercato di mettere in mostra le varie prospettive, gli aspetti positivi e quelli meno.

A: North is Your Heart rappresenta il lato più bello del posto in cui viviamo, Boredom is a Drug è invece il lato potenzialmente più oscuro.

C: In Boredom is a Drug parliamo di quello che accade un po’ in tutte le piccole cittadine inglesi e probabilmente anche in quelle europee, più in generale. Quando avevamo meno di diciotto anni, non potendo trovare rifugio nei locali o nei pub, ci ritrovavamo insieme fino a tardi al parco e in paese. In quel caso dovevi dare il meglio di te per evitare di incappare nell’alcol o nelle droghe che si consumavano in quei posti. Tuttavia, proprio a causa della lontananza dalla città, è la noia la prima droga, che poi spinge al consumo delle altre sostanze. Tutto comincia dalla noia.

Siete tornati a casa, in una sorta di homecoming date, al The Trades.  Come è suonare in quello che può essere definite il Brixton di Hebden Bridge, nel luogo dove siete cresciuti musicalmente e non solo?

A: Beh, amiamo quel locale e adoriamo suonarci. Tuttavia, esibirsi lì per me è molto più complicato rispetto a posti più grandi, anche all’estero, dove magari ancora non conoscono la band. Fare un concerto davanti ad amici e parenti di certo intimidisce e mette più paura.

Lì dentro ci avete girato anche il videoclip di Cain’s Heresy (2021). Date molta importanza a questo aspetto, anche il singolo  Blood Money è stato tradotto in un video in stile anni Novanta dove nulla è lasciato al caso. C’è un regista con il quale vi piacerebbe collaborare un giorno se potreste scegliere?

A: Wooh Wes Anderson!

C: Sì, sicuramente Wes Anderson, per il suo stile, oppure Martin Scorsese.

Il tour vi porterà in Italia a novembre, a Milano e Bologna. Siete mai stati nel nostro Paese da turisti?

A: No, infatti non vedo l’ora di venire!

C: Credo, invece, che Herbie (il chitarrista) sia stato più volte a Napoli, ama moltissimo la città.

Prima avete accennato ad una chiusura del cerchio e a una fase successiva. Quale sarà il prossimo passo?

A: Non ci stiamo realmente pensando ancora, al momento siamo focalizzati nel dare quanto più amore possibile a questo primo lavoro, portandolo in giro col tour e facendolo conoscere a più gente possibile.

I Lounge Society saranno live in Italia a novembre:

Venerdì 4 novembre - Covo Club, Bologna, biglietti disponibili qui.
Sabato 5 novembre - Arci Bellezza, Milano, biglietti disponibili qui.