Per chi li segue e li ha già visti dal vivo almeno una volta sembrerà un’ovvietà. L’aspetto che più colpisce di un concerto dei Murder Capital è la potenza e la crudezza del loro suono. È come se ti arrivasse un muro ogni volta che la distorsione delle chitarre di Cathal Roper e Damian Tuit prende il sopravvento. Oppure quando la batteria di Diarmuid Brennan diventa protagonista nei brani più spinti, come Feeling Fade o Moonshot. Poi ci sono James McGovern e Gabriel Blake: il frontman – carismatico e vecchio stampo – e il bassista dominano il palco a tal punto che difficilmente si è tentati di distogliere lo sguardo dai loro movimenti. A meno che non si venga trascinati nel pogo.

Dopo il live superbo di due anni fa al Circolo Magnolia, quello di ieri sera all’Alcatraz di Milano suscitava molta curiosità riguardo ai pezzi del terzo album Blindness. Alcuni erano già stati eseguiti dal vivo nel set di apertura del concerto di Nick Cave e dei Bad Seeds lo scorso ottobre. Ma si sa, uno show è un’altra cosa. E infatti, fin dalla prima canzone The Fall, si percepisce come la band irlandese sia molto più sciolta davanti al proprio pubblico. Senza freno a mano e senza alcun tipo di preoccupazione. Del terzo album il gruppo suona quasi tutto: c’è la più cadenzata A Distant Life, le più convincenti Swallow e That Feeling, e ovviamente i singoli Can’t Pretend To Know e Words Lost Meaning lasciati sul finale per far scatenare il pubblico, insieme al classico Ethel.

Ecco, il paragone tra le canzoni dell’acclamato (giustamente) Gigi’s Recovery e il terzo album è inevitabile. Lo è stato appena è uscito Blindness lo scorso febbraio. Un disco che a livello lirico è stato un ulteriore passo avanti – basti pensare al testo di Love of Country che anche dal vivo mantiene tutta la sua forza - ma che sul piano sonoro è stato un passo indietro rispetto all’approccio più sperimentale e raffinato del sophomore. Ne ha guadagnato la dimensione live che era proprio l’obiettivo dichiarato del gruppo mentre era in fase di registrazione con l’ormai fido John Congleton. I nuovi brani reggono il passo con gioielli come The Stars Will Leave Their Stage (che dal vivo resta uno dei momenti migliori) e The Lie Becomes The Self.
Ed è un peccato che nella scaletta di questo tour non ci sia Return My Head. Il punto è che i Murder Capital sono capaci di indossare entrambe le vesti. Quella più punk e scatenata, così come quella più attenta alla cura del suono e dei dettagli. L’esempio principe è la resa sonora di Heart in the Hole. Il singolo – che non è incluso in nessun disco della band – rispetto a quando l’abbiamo ascoltato nel tour di Gigi’s Recovery, ha tutto un altro sapore. La componente elettronica è messa ancor più in risalto e crea un contrasto esplosivo quando lascia spazio al finale più rumoroso.

In tutto questo James McGovern non molla mai di un centimetro. Col suo fare da rockstar navigata e il suo modo di porsi spavaldo e sfacciato, dialoga e risponde alle richieste del pubblico. Lo controlla muovendo le braccia e allungando il microfono. La sua crescita nel modo di cantare è evidente, al pari di quella del resto del gruppo. Fin dal loro esordio, i Murder Capital hanno indirettamente affrontato una sorta di confronto costante con i concittadini Fontaines D.C.. When I Have Fears è uscito quasi in contemporanea con Dogrel e, nonostante le recensioni molto positive, è come se in parte fosse stato oscurato dal lavoro dell’altra band di Dublino.
Eppure, i Murder Capital in questi sei anni hanno dimostrato di essere altro e di avere in comune una scena e una città di partenza da cui poi hanno trovato la loro strada. E dal vivo rimangono una garanzia: emozione, divertimento e una continua crescita.