Modern Panic Deaf Radio 15 novembre 2019
8.0

Ormai secoli fa, l’incoronazione poetica volle che a specchiarsi nelle onde del greco mar fosse Zacinto, oggi si potrebbe azzardare un simile parallelismo anche per Astypalea, isola più occidentale del Dodecaneso e patronimica del primo singolo estratto da Modern Panic, secondo album dei Deaf Radio, band alt rock originaria dell’antica e mitica Attica. Messo in conto che il nome del gruppo possa probabilmente non dirvi nulla, basti sapere che è parte della più tenace schiera, concretamente indiependente, ertasi a difesa della sopravvivenza del capostipite guitar rock. In questa lotta, nobile nei principi, ma decadente stando ai meri numeri, i Deaf Radio si sono allineati in prima linea sin dal graffiante debutto risalente al 2017, Alarm, presentandosi come una tanto necessaria linfa giovane per le radici del genere, direttamente dall’underground heavy del panorame europeo, così quanto un contrattacco originale nell’esecuzione e al contempo fedele ai canoni di riferimento, scritti una ventina d’anni fa da band quali Kyuss e successivamente Queens of the Stone Age, palesemente mostri sacri per i quattro ragazzi di Atene.
L’essenzialità di impatto scenico, caratterizzante gli impetuosi riff del disco d’esordio, ritorna nuovamente in questo sequel: esattamente come il suo predecessore infatti, ci troviamo di fronte ad un’opera senza fronzoli, rielaborata in una decina scarsa di brani in grado di affermarsi facendo leva esclusivamente sul potenziale degli strumenti di sfondo e la nitida produzione che li avvolge. Alarm era infatti un continuo incalzare di tracce, l’una più vorticosa dell’altra, sui binari di un percorso già battuto da molti, ma con abbastanza imposizione da rendersi unico nel proprio campo; Modern Panic dal canto suo ne riprende invece sia quest’ultima dicotomia sia la zelante insistenza, con tuttavia l’aggiunta di un ulteriore elemento di sviluppo stilistico a partire dalla seconda metà dell’ascolto.

La sfumata dissolvenza a collegamento dell’Intro e di Death Club parla chiaro: dall’inizio alla fine sarà un album schietto, brusco nei metodi ed estraneo ad ogni astrazione del concetto di stacco o intermezzo. Enfatiche chitarre asincrone, protagoniste indiscusse del primo brano effettivo, trascinano, senza alcun tipo di preavviso, l’ascoltatore nel bel mezzo di un impeto adrenalinico, che si estenderà anche alle successive Animals e Dance Like a Reptile, malgrado le leggere differenze compositive tra quest’ultime. Di conseguenza, anche se un po’ totalmente a sorpresa, prenderà spazio persino un forte senso di tangibile atmosfera nato dall’alternanza della velocità, con cui i brani corrono e si accavallano l’un l’altro, e degli ampi margini di respiro concessi, appunto, dalla terza Animals. Fin qui, come si diceva qualche riga più sopra, un primo lato in linea con quanto ci si potesse aspettare dal seguito diretto dell’introduzione alle scene per il quartetto ateniese. Quando dunque l’imprevedibile sembra un ricordo lontano, la quinta Astypalea, calata sul tavolo da gioco al pari del famoso asso nella manica, svolge però un ruolo decisivo ed inusuale all’interno della scacchiera, non solo elevando a potenza tutte le componenti attestate in precedenza ed espandendo il suono dei Deaf Radio in nuovi territori, ma ergendosi pure da spartiacque con il secondo lato del disco. La crescita del gruppo culmina precisamente in questa traccia, allo stesso tempo suggestiva e iconica per la personalità ad oggi della band: un marcato riff, le variazioni di velocità e il testo in evanescenza durante le luci del tramonto sull’isola stessa delineano maggiormente un’identità sonora, non tanto più mirata ad omaggiare i miti d’ispirazione, quanto anzi volta a lasciare concretamente un proprio segno distintivo in vista della futura alba all’orizzonte.

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L’intrinseca maturazione e ricerca artistica verranno poi sviluppate nella metà conclusiva del CD, inseguendo sonorità parallele, o quantomeno tangenti, di realtà quasi derivanti dal post rock; la struttura stessa dei brani, non a caso, ne risentirà, districandosi su un maggior numero di minuti rispetto le canzoni d’apertura e, cedendo il passo a svolgimenti cadenzati, si allontanerà dai richiami, palesi o meno che siano, ai QOTSA dei primi del 2000, a favore di costruzioni orecchiabili d’altra parte nei lavori più recenti della band californiana stessa. Un notevole ed apprezzabile cambio di approccio esemplificato dall’omonima title track, Modern Panic, seguita da Fossils e dalla conclusiva Gas Station People.
Nonostante il repentino cambio di registro (seppur non eccessivamente drastico) degli ultimi brani di Modern Panic, la magia che accompagna i Deaf Radio non cambia: così come due anni fa rimasi sbalordito dal fatto che una band agli esordi fosse stata in grado di produrre in totale autonomia un album di per sé notevole e memorabile per il suo contesto d'appartenenza, oggi, allo stesso modo, dopo l’ascolto del loro nuovo lavoro sono ancora più convinto che questa sia la band da tenere d’occhio nella nicchia dell'indie rock. Modern Panic, riff dopo riff, continua dunque il cammino intrapreso con Alarm nel 2017, ponendo a sua volta nuove ed interessanti basi per l'evoluzione del gruppo. Padroneggiando i medesimi echi che gli avevano spinti, in primissimo luogo, a suonare, i Deaf Radio hanno, per la seconda volta, superato ogni aspettativa e dato voce ad un genere in declino, correggendo in parte i limiti del loro disco d'esordio. Una band da non sottovalutare.

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