Quello che è riuscita a raggiungere la A24 negli ultimi anni nel mondo del cinema è qualcosa di inaspettato quanto stupefacente. A partire dall’Oscar per Moonlight di Barry Jenkins del 2017 fino al record al botteghino di Civil War di Alex Garland – nel mezzo il trionfo del pazzo Everything Everywhere All At Once dei Daniels e il sodalizio con autori unici come Ari Aster e Jordan Peel – la casa cinematografica indipendente che prende nome dall’autostrada italiana Roma-Teramo è ormai una realtà consolidata. Uno dei suoi ultimi progetti è stato restaurare e riportare al cinema in 4K il film concerto dei Talking Heads diretto da Jonathan Demme nel 1984. Stop Making Sense è diventato poi qualcosa di più, un modo per A24 di entrare anche nell’universo discografico con Everyone's Getting Involved: A Tribute to Talking Heads' Stop Making Sense. Una compilation tanto ambiziosa, quanto rischiosa.
I più grandi della storia della musica si possono dividono in due categorie, in base alla percezione del pubblico. Ci sono quelli di cui ti sembra di sapere tutto non appena ne senti pronunciare il nome, pur non conoscendo nemmeno il titolo di una loro canzone. Vedi Taylor Swift. Poi ci sono quelli di cui invece conosci due o tre canzoni quasi a memoria, ma lì per lì, non sapresti dire chi le ha scritte o chi le canta. I Talking Heads, per i meno esperti, appartengono a quest’ultimo gruppo. Difficilmente qualcuno può dire di non aver mai ascoltato Psycho Killer o This Must Be the Place. Eppure, il ruolo avuto dal quartetto composto da David Byrne, Tina Weymouth, Chris Frantz e Jerry Harrison è stato fondamentale per tutto ciò che nella musica è avvenuto a partire dagli anni Ottanta in poi.
Per questo motivo la scelta di A24 Music di pubblicare una raccolta di cover, almeno sulla carta, è una bellissima occasione. Nello specifico i brani scelti sono ovviamente gli stessi – e nel medesimo ordine – di quelli eseguiti dal vivo dalla band durante le tre serate al Pantages Theater di Hollywood nel dicembre 1983. Gli artisti chiamati al difficile compito appartengono a generi disaparati, alcuni super famosi, altri più di nicchia. Allo stesso modo i risultati ottenuti sono in alcuni casi molto interessanti, in altri a dir poco disastrosi.

Partiamo dall’inizio, dalla canzone più celebre dei Talking Heads, nonché quella sulla quale c’era più curiosità, reinterpretata dal nome più ingombrante dei sedici: Psycho Killer, canta Miley Cyrus come direbbe Amadeus dal palco di Sanremo nella serata delle cover. La popstar stravolge il pezzo – il che non necessariamente è sbagliato, anzi – e decide di cantarlo come se fosse Lady Gaga con una produzione pop che appiattisce tutta la drammaticità. Che dire? Inizio peggiore non poteva esserci. Marco Mengoni ne fece una versione dieci volte meglio. Per fortuna, un esito completamente opposto è quello ottenuto dall’altro grande nome del pop contemporaneo. Sia chiaro, Take Me to The River cantata da Lorde non è nulla di incredibile, ma l’artista neozelandese riesce a conferire al brano un tocco sensuale senza compiere inutili stravolgimenti.

In Everyone's Getting Involved: A Tribute to Talking Heads' Stop Making Sense ci sono esempi in cui gli artisti sono riusciti a trasportare il brano nel loro mondo sonoro. Che sia ego o capacità, restano comunque dei buoni risultati. Heaven – uno dei pochi pezzi tratti dallo stupendo Fear of Music – così suonato potrebbe essere benissimo scambiato per un brano dei National. La voce drammatica di Matt Berninger fa pendere il mood originario della canzone, ondivago tra malinconia e spensieratezza, tutto verso la prima. Una cosa molto simile avviene con la versione spagnoleggiante – e più rock - di Slippery People coverizzata dai Él Mató a un Policía Motorizado.
Poi ci sono i The Cavemen. che si cimentano con successo in What a Day That Was, rinfrescandola con cori e armonie vocali esotici, compreso lo stupendo finale. Le Linda Lindas, invece, hanno enfatizzato il lato chitarristico di Found A Job, soprattutto nel ritornello, dando vita a una cover piacevole che rende omaggio all’originale senza combinare troppi danni. Un po’ meno convincente la versione pop rock di Girlfriend is Better realizzata da girl in red: le va dato comunque il merito di aver rischiato e di aver portato a casa un buon risultato.

Prima di passare alle cover migliori, il nostro dulcis in fundo, passiamo in rassegna le prove che convincono a metà. In alcuni casi, come in Burning Down the House dei Paramore, la cover risulta troppo didascalica, producendo un effetto quasi da X Factor. In questo caso il problema risiede forse nella scelta del brano, la band avrebbe spiccato di più con qualcosa di più lontano dal suo mondo. Per certi versi, vale lo stesso discorso per la nuova versione di Making Flippy Floppy dei Teezo Touchdown che, tolto il finale spaziale, aggiunge poco all’originale.
DJ Tunez, invece, con un rifacimento soft e intriso di blues di Life During Wartime, stravolge il brano ottenendo un risultato piacevole. Le trombe sono il tocco in più, ma che non lascia a bocca aperta. Toro y Moy, insieme a Brijean, hanno trasportato Genius of Love in un terreno a loro congeniale, mantenendo comunque ben evidente l’anima e il nocciolo della canzone. La conclusiva Crosseyed and Painless, coverizzata dai Chicano Batman, ci dà lo spunto per iniziare a parlare dei risultati più convincenti. Mantenuto il ritmo frenetico, ma reso più contemporaneo il suono con l’inserimento di dettagli che si colgono ascolto dopo ascolto. Incredibile come i Chicano suonino quasi come una versione moderna dei Talking Heads.

Tra le sorprese più inaspettate c’è sicuramente Swamp, cantata da Jean Dawson. L’arrangiamento acustico, con l’inserimento qua e là degli archi, e la sua tonalità di voce black rivoluzionano il brano. Per non parlare del finale cinematografico che lo rendono quasi una colonna sonora. Bello, persino più del buono risultato ottenuto dai BADBADNOTGOOD chiamati alla mission impossible This Must Be The place (Naive Melody): una cover didascalica che viene elevata dalla stupenda voce di Norah Jones che dimostra di essere ancora una delle voci soul e R&B migliori al mondo.
C’è infine da parlare anche di Blondshell, uno dei profili più promettenti, esplosa l’anno scorso con il bel debutto self-titled. Anche nel suo caso il brano scelto non era dei più facili: Thank You For Sending Me an Angel. Col senno del poi, invece, per il tema della canzone era forse il più azzeccato per la cantautrice californiana che utilizza la sua formula vincente. Inizio soft, acustico, chitarra e voce, per poi esplodere con le chitarre distorte in crescendo finale. La sua voce fa il resto.
La cover migliore? È quella di uno degli artisti più distanti dal mondo dei Talking Heads. Kevin Astract, fondatore dei BROCKHAMPTON, prende Once in a Lifetime e ne fa quello che vuole. Prendendosi pure il rischio di accorciarla di quasi un minuto. Eppure, in appena 2 minuti e trentotto secondi il pezzo cambia persino pelle. Sembra iniziare come l’originale, prima di trasformarsi in un brano del rapper statunitense. Il ritornello con l’autotune entra a piè pari nel territorio di Justin Vernon e dei Bon Iver, mentre le strofe buttate fuori con il suo flow riconoscibile acquistano ancora più significato. Ma i brividi arrivano coi synth del finale che enfatizzano il lato malinconico del brano originario. Bomba.
Quando A24 Music ha pensato a questo progetto così ambizioso, forse aveva proprio questo in mente. Far rivivere l’immaginario di una delle band più importanti della storia della musica in una nuova veste che non fosse solo nostalgia e riverenza. Che poi, non dovrebbe essere la missione ultima di una cover?