Scritto Nelle Stelle Ghemon
7.5

«Senza la musica la vita sarebbe un errore», diceva il filosofo Friedrich Nietzsche nel diciannovesimo secolo, e lo sarebbe sicuramente ancora di più in questo periodo difficile sia per l’Italia che per il mondo intero. Sono infatti passati quasi due mesi dal giorno in cui il nostro Paese è stato dichiarato zona rossa e di conseguenza da quando le nostre vite si sono quasi congelate e paralizzate tra ansie e paure. Nonostante tutto la musica si è dimostrata certamente una buona cura per sdrammatizzare questo momento e la scelta (anticommerciale) di Ghemon di pubblicare ugualmente il proprio album Scritto nelle Stelle non fa altro che regalare un vero e proprio spiraglio di luce in questo brutto momento. 

La prima impressione già vedendo la copertina di questo album è che questo sia un ulteriore passo in avanti in termini di consapevolezza e di serenità dell’artista avellinese. Concluso il ciclo del precedente lavoro, Mezzanotte, album più cupo e tormentato dove Ghemon si metteva a nudo parlando della propria esperienza con la depressione; quello uscito lo scorso 24 Aprile appare quindi come un capitolo nuovo. Ascoltandolo sembra di avere tra le mani una serie di fotografie diverse che vengono scattate nello stesso momento da diversi punti: può leggermente cambiare l’angolazione tra queste ma è evidente che poi al centro, perfettamente a fuoco, ci sia sempre Gianluca Picariello e il suo stesso percorso.

E proprio quest’ultima parola diventa di fondamentale importanza nella produzione di quest'album, dove Ghemon cerca di creare un racconto omogeneo, con il chiaro intento di non duplicare qualcosa di già fatto ma di comportarsi invece come uno chef stellato: «quando entri nei loro ristoranti fanno un percorso di come loro hanno inteso la cucina, e io volevo dare la panoramica di come io avevo cucinato le cose e messo i sapori insieme, senza doppiare delle emozioni o replicare delle atmosfere». Quello che abbiamo tra le mani è infatti un disco con un inizio, una fine ed un mentre che rende omogeneo e completo il racconto, alternando una varietà di stili e atmosfere in una miscela sempre raffinata di soul, R'n'B, hip hop e rap.

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In un brano di qualche anno fa Ghemon cantava «Sono un lupo solitario, il mio branco è andato perso» e ascoltando questo album non si può fare altro che confermare come, in una scena musicale italiana sempre più indirizzata verso due poli ben chiari e distinti, il rap da una parte e l’indie pop dall’altra, Ghemon si ponga esattamente in mezzo a questi due binari. Questa scelta fortemente identitaria non fa altro che sottolineare l’unicità e la consapevolezza di Gianluca che viaggia da anni ormai a fari spenti verso una propria e personalissima direzione. Quasi tre anni di distanza dal precedente successo di Mezzanotte, Ghemon riprende infatti la stessa sintesi di soul e rap italiano già affrontato nei due album precedenti, ma con un differente umore e consapevolezza di sé e dei propri mezzi. 

Con la trasparenza e la sincerità che lo ha sempre contraddistinto, in quest’album la penna di Ghemon ricerca costantemente frammenti di quotidianità e dinamiche sentimentali in cui chiunque può ritrovarsi, ed è anche in questa ricerca che si avverte l’influenza della stand up comedy sull’artista: partire dalla vita di tutti i giorni per costruirci poi qualcosa, e arricchendo poi il tutto con poetica, melodia e ritmo. Così come ci ha detto confermato durante le quattro chiacchiere scambiate la settimana scorsa: «Ho visto Louis C.K. ho passato anni a studiare ed è stato sempre interessante il fattore autoironico, che era qualcosa che io avevo nel mio privato ma non riuscivo a tradurre in musica. E gli stand up comedians che più mi hanno toccato sono quelli che mi hanno fatto riflettere, oltre che ridere, che mi danno il loro punto di osservazione, ed è quello che io cerco di fare nelle mie canzoni».

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Questioni di principio alterna tanti “potrei” dettati dalle aspettative altrui che descrivono una sequela di possibilità che non sono realizzate ma, anzi, scartate con una consapevolezza frutto delle esperienze maturate in questi anni. È la rappresentazione della propria voce interna che vince su quelle esterne. Scivoliamo quindi verso In un certo qual modo, un brano che oscillando tra funk e disco, soul e sonorità elettroniche appare quasi come un bel featuring dell’artista campano con i Disclosure. La successiva presa di coscienza di Champagne con il suo ritornello «Stappo una boccia di champagne per il pericolo scampato, chissà se non mi fossi fermato dove sarei a quest’ora» anticipa invece il funk anni '80 di Due settimane, in cui c'è la produzione del grande Big Fish che riesce a farci tornare con le sonorità indietro di qualche decennio.

Lo stesso vale per Cosa resta di noi, una traccia molto intima e dolorosa che sembra invece uscita dagli anni '90 e che affronta l’elaborazione della fine di una relazione e la ricerca di risposte che ti portano ad evolvere come persona. Si procede quindi con Inguaribile e romantico, brano incentrato sui fragili equilibri di coppia e sul bisogno di mettere a nudo i propri bisogni e le proprie debolezze, raggiungendo così una profonda e nuova consapevolezza di sé stessi. La luce e la carica positiva di Buona stella aprono poi l'accoppiata Io e te + Un vero miracolo dove la rappresentazione della quotidianità come una sfida complicata ci apre a tanti riferimenti della vita di tutti i giorni. Troviamo quindi Un'anima, un’intima ballata piano e voce che parla della paura del fallimento e di non essere all'altezza ma che anticipa infine l’energico e graffiante epilogo di K.O. a rappresentare quasi una dichiarazione di intenti nei confronti delle difficoltà della vita. 

Non ci resta quindi altro da fare che tuffarci a capofitto nell'ascolto durante queste ulteriori settimane di quarantena. Ma la convinzione finale è che, indipendentemente da questa, quest'album rimarrà a lungo scritto nelle stelle.