Come and See Gurriers
7.5

Il termine gaelico Gurriers si traduce con “vagabondi” o “zoticoni”. Per i cinque componenti di questa band irlandese post-pandemica, tuttavia, Dublino non è stata un punto di partenza, ma di arrivo. Dan Hoff (voce), Ben O’Neill (chitarra), Mark MacCormack (chitarra), Pierce Callaghan (batteria) e Charlie McCharty (basso) provengono da varie zone dell’Irlanda e si sono incontrati nella Capitale. Come cantano nelle loro canzoni, la patria che amano somiglia sempre di più a un mondo distopico, deprimente e pericoloso. La Nausea che apre il loro album di debutto Come and See riguarda non solo il momento politico, ma soprattutto la situazione sociale ed economica della gioventù del loro Paese. Se loro sono rimasti è solo grazie alla musica. In questo i Gurriers rappresentano un’eccezione, molto spesso per le band irlandesi, esempio principale i Fontaines D.C., avviene il contrario.

Gurriers come and see
(c) Joshua Mullholland

Oramai con l’exploit del post-punk, o semplicemente della new wave verde quadrifoglio, ogni artista o gruppo che proviene da Dublino e dintorni cattura l’attenzione immediatamente. La medesima sensazione la si prova ascoltando il suono distorto e il rumore che quasi copre la voce urlante di Dan, che introduce il primo pezzo. Un orecchio abituato a queste sonorità probabilmente non verrà spiazzato, anzi, troverà molte similitudini, forse persino troppe, con uno dei tanti brani rabbiosi degli IDLES. La differenza sostanziale però sta nella scrittura dei testi.

I social, il mondo presente sono attaccati e descritti di petto, senza troppi giri di parole e senza un minimo di ironia. «I Was Born in the Wrong Era» urla Dan nel ritornello di Approachable, uno dei primi singoli pubblicati dalla band. Ci sono dramma, disperazione e rabbia, mescolati con riferimenti letterari, tratto distintivo del cantautorato irlandese in generale. «Orwellian Rebellion, I Want to Be Machiavellian» è il verso più significativo e geniale del disco, accompagnato da un sound che quasi sfocia nel metal e che non perde la propria carica dal vivo.

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I Gurriers ci invitano, come suggerisce il titolo del disco a compiere un viaggio odisseico nella realtà contemporanea irlandese. Dipping Out parla della disillusione irlandese delle nuove generazioni, del tasso di suicidi che aumenta di anno in anno e di un futuro nebbioso e senza speranza. Se il suono non brilla per originalità - immaginate i Fontaines D.C. con la rabbia quasi esoterica dei Gilla Band – viene comunque voglia di urlare il ritornello. Meno incisiva è No More Photos, ma siamo chiari: ci troviamo difronte a uno dei pezzi che dal vivo faranno scatenare il pubblico. Il wall of sound che accompagna il racconto di Dan Hoff è trascinante – come la sua voce - ma non è un’eresia affermare che ancora una volta sembra di star ascoltando un brano di Joe Talbot e soci.

Più interessante è Prayers, nonostante lo spoken sempre marcato di Dan e la batteria instancabile di Pierce. Le chitarre e l’atmosfera qua ricordano il grigiore di Drunk Tank Pink degli shame, prima della sezione quasi a cappella che precede il finale e che dal vivo regalerà di certo dei brividini, soprattutto per il piccolo elemento melodico che fa capolino nel rumore.

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Abbiamo parlato di Dublino e Irlanda, eppure il disco è stato registrato e prodotto in Inghilterra nello studio di Leeds di Alex Greaves, produttore tra gli altri dei bdrmm (qui la nostra intervista). Il suo tocco è quasi invisibile perché Come and See non è un album pulito, per fortuna. Qua e là però ci sono dei tocchi raffinati che alzano il livello, come nella già citata Prayers e nei due brani più “dance”. Des Goblin ha una componente danzereccia che conduce la band lontano dai territori che ci si aspetterebbe da essa. Una boccata d’aria fresca, con un bridge esaltante e una vena melodica inedita.

La componente rave prende il sopravvento in uno dei brani più belli del disco. Close Call è una scarica acida. Uno slide di chitarra penetra la strofa generando un’atmosfera labirintica dove i laser impediscono la vista. Non ci si stupisce che i KNEECAP li abbiano scelti per aprire il loro tour, qua Dan e soci invadono il loro territorio con basso, batteria e chitarra. Bisogna aspettare qualche traccia per arrivare al momento migliore di Come and See.

Top of The Bill rappresenta i Gurriers al massimo della loro potenzialità. Racchiude tutto: spoken rabbioso e quel «I Don’t Feel a Thing» da cui si percepisce la disperazione quasi poetica che ci trascina altrove nel ritornello. Le due chitarre si muovono su due binari paralleli tra un arpeggiato nostalgico e un sound noisy distorto. Dan dimostra di poter fare ciò che vuole con la voce e quando il brano finisce, se ne avrebbe voglia ancora. I Gurriers rimangono comunque una band poco affezionata ai sentimenti e lo ripetono nella successiva Sign of the Times, un altro degli episodi che mostrano delle sfumature inedite che speriamo in futuro possano diventare il loro tratto distintivo.

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Il finale con la titletrack ci restituisce un momento diverso. Sembra quasi che l’algoritmo di Spotify ci abbia traghettato in uno dei gruppi affini e che il disco sia finito. Anche la voce di Dan, che per la prima volta decide di cantare e abbandonare lo spoken, acquista tutta un’altra colorazione. I Gurriers sanno anche scrivere delle belle melodie e riescono a mantenere la loro verve anche in una ballad hard rock più classica. Se nel contesto dell’album potrebbe apparire un po’ fuori contesto, in fin dei conti è un gran finale emotivo in cui il gruppo guadagna qualche punto in più in quanto a originalità.

Perché il difetto, termine forse troppo cattivo, di Come and See è il carattere fin troppo derivativo di alcune soluzioni. Allo stesso tempo bisogna ricordarsi che ci troviamo davanti a un debutto. Ce ne fossero di dischi così coerenti e con una linea tematica così definita e un suono che riesce a restituirne alla perfezione le sensazioni. I Gurriers hanno dalla loro il fatto che sono capaci di fare tutto. Post-punk in senso classico, dance punk, rave punk (esiste una cosa del genere?) e anche di abbracciare la melodia e sfociare nel rock da stadio senza perdere consistenza. Hanno anche un frontman magnetico che passa dallo spoken al canto senza cataclismi e che, insieme al chitarrista Ben O’Neill, scrive da Dio.

Sono l’ennesima band rock/punk irlandese degli ultimi anni, vero, ma non ci basta. C’è ancora tanto da raccontare e da ascoltare. È solo l’inizio per un genere che sta lentamente riconquistando un proprio spazio nel panorama musicale (quasi) mainstream internazionale.

Gurriers