Harry's House Harry Styles
7.0

Lo ammetto: sono un nostalgico. Non è difficile intuire quanto mi manchino gli album che annunciavano l’inizio di un’estate adolescenziale all’insegna dell’incertezza. Quelli che, almeno circa dieci anni fa, avevano tutt’altro tipo di estetica. Il problema non era risultare glamour o, in qualche modo, normali, bensì l’esatto contrario. Sto parlando dei tempi in cui si contavano gli abiti vintage che avevi nell’armadio, puntualmente meno rispetto a quelli del tuo migliore amico. Nota bene: non quelli acquistati in quel negozio agghindato in centro, ma al reparto usato della Montagnola o di Porta Portese a pochi centesimi o euro. La stessa epoca in cui collezionare pacchetti di sigarette era ritenuto un gesto di estrema ribellione, così come il tentativo vano di abbattere il capitalismo comprando gli ultimi Nokia in commercio. Tutto pur di non cedere allo status symbol della Apple!

Spesso mi guardo indietro e non posso fare a meno di trovare tutto questo all’apparenza ridicolo. Allo stesso modo, sento molto la mancanza quel velo di spensieratezza, accompagnato da un pizzico di spavalderia e speranza nei confronti degli anni a venire.

In tutto questo, cosa c’entra Harry’s House? In primis, l’attesa. Ormai possiamo ammetterlo senza paura: l’hype che si è generato per il nuovo album di Harry Styles non è poi così lontano da quando eravamo in fila per streammare illegalmente AM degli Arctic Monkeys.

Tuttavia, il cantautore britannico non sembra voler smettere di sorprenderci. Tenace è la sua inconfondibile personalità, che ancora non riesce a trovare un punto d’incontro tra la pop star esuberante e l’intimità dei suoi testi. Ma nonostante il vacillare, riesce comunque a mantenersi in buon equilibrio, in un disco che racconta mille sfumature. Perché a differenza dei precedenti – entrambi lavori dal successo internazionale – Harry questa volta imbocca una strada molto più eterogenea, donando ad ogni pezzo un’identità perfettamente riconoscibile.

E con l’obiettivo di accoglierci in casa sua, il disco si articola in tredici brani che si destreggiano tra il pop rock e il dolce e melanconico suono del synth. Non vengono lasciate da parte anche altre influenze, che vengono messe in evidenza sin dall’apertura, come il funk di Music for a Sushi Restaurant o gli accenni di blues in Late Night Talking. Il giusto ritmo prima di lasciarsi andare verso una ballata pop musicalmente un po’ troppo superficiale, che ricorda di come dopo la pandemia «you know it’s not the same, As It Was».

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L’essenza delle sue tante sfaccettature emerge totalmente nella parte centrale dell’album, attraverso trampolini di lancio come Daylight. Si parla di legami e relazioni nati dal saper cogliere l'attimo, ma in cui si è sempre in bilico. In fondo, pur essendo consapevoli di avere tra le mani la scelta giusta, buttarsi nella mischia non è mai una cosa semplice e basta un attimo per dissolversi. Principio palesato anche nella successiva Little Freak, ma sfociato in un tono più nostalgico e poco propenso ad un lieto fine.

D’altro canto, è abbastanza impossibile non notare alcune effettive mancanze di questo disco, a incominciare da un po’ di brani leggermente abbandonati a sé stessi. Tralasciando la poca sostanza di pezzi come Cinema, nato appositamente per canticchiare il ritornello sotto la doccia, la troppa semplicità – quasi monotonia – di Daydreaming e Keep Driving fa solo perdere di credibilità ad un insieme tutt’altro che spiacevole.

Per fortuna, non si può dire lo stesso delle battute finali del disco: Boyfriends, in particolare affiancata da Satellite, hanno un’intensità niente male, anche se non quanto Matilda. Dal sound malinconico e quasi struggente, è una tenera lettera a cuore aperto. Ispirata o meno al personaggio di Rohal Dahl, la delicatezza e la fragilità di questa canzone lasciano spazio all’autentico animo dell'artista inglese. Perché sebbene voglia – almeno a tratti – arrivare ad essere la nuova Beyoncé, in fondo Harry Styles è l’amico del cuore. Quello con fare da genitore, che ogni sera ti chiede se hai mangiato in abbondanza e con cui poi ti ritrovi improvvisamente a fare due chiacchiere tra i cuscini, anche se poi prende inevitabilmente sonno mentre gli racconti dell'ennesima giornata storta.

Harry’s House fotografa la bella stagione. Allo stesso modo in cui dieci anni fa veniva incorniciata dagli Swim Deep, Vampire Weekend o dal Jake Bugg del suo periodo d’oro. Un disco che per un attimo ci riporta indietro, mostrandoci come si può crescere e andare avanti quanto si vuole, ma certe sensazioni non cambieranno mai. Il messaggio del nostro giovane musicista inglese si colloca proprio qui, sulla buona strada per cui un giorno si possa arrivare a dire "Harry Styles, è Harry Styles".

Harry Styles tornerà in Italia per due imperdibili date sold out il 25 e 26 luglio a Bologna e Torino, entrambe aperte dai Wolf Alice.