Can We Please Have Fun.
Una domanda retorica che fa già capire come no, nessun divertimento all'orizzonte.
L'ultima volta abbiamo sentito i Kings of Leon era il lontano 2021, un periodo (post) covid nel quale il gruppo americano aveva rilasciato l'album When You See Yourself, un disco che aveva ricevuto comunque un discreto successo, sempre considerando gli alti e i bassi delle sue tracce.
Quando Caleb Followill e soci avevano dato segni di vita, qualche mese fa, si pensava ad un progetto bello carico. Qualcosa che potesse portarli ad uno step successivo, il classico step di una band che voleva fregarsene delle aspettative della critica e del pubblico. Il titolo infatti dava segnali incoraggianti: un invito strafottente, a significare che volevano solamente divertirsi. Il problema, a posteriori, è che sembra che il divertimento di cui si parla sia quello di un gruppo da ospizio, nel profondo deserto americano.

Partiamo comunque dal primo singolo rilasciato, Mustang. Il classico brano da boomer eterosessuale, che pensa di dire qualcosa di ironico, ma in verità il pensiero è ben reale.
Are you a Mustang or a kitty?
Il brano in sé ha tutte le caratteristiche strumentali della band americana, ma si rivela essere una grande copertura al nulla più cosmico. Oltre al testo, e lasciamo stare quella parte perché potrei andarci giù ancora più pesantemente, gli arrangiamenti sono proprio banali e senza quella spinta che ci fa dire "loro sì che si divertono". Batteria e chitarra sono oramai le stesse da anni, non c'è un minimo di innovazione strumentale e quindi tutto cade, purtroppo, nel dimenticatoio.

La partenza è proprio con questo brano. Il loro annuncio, questo divertimento tanto richiesto, parte da una canzone che non è né cioccolato né merda. E nel percorso di tutto il disco, la situazione non migliora certamente.
Il primo brano, Ballerina Radio, è un po' l'intro che vuole andare controcorrente. Una ballad noiosa e monotona, benzina al fuoco che non fa aumentare la fiamma. Si cerca il colpo, verso metà della traccia, ma senza un vero e proprio successo. La traccia successiva, Rainbow Ball, non ha quel momento di spinta: chitarra e basso ci riportano un po' indietro ai vecchi tempi della band senza però dare nessun segnale di divertimento, solo di tanta inerzia.
Un fulmine a ciel sereno, quasi inaspettato e che comunque richiede qualche ascolto ulteriore è la successiva Nowhere To Run. La batteria ritmata è piacevole, una canzone che comunque ha quel tocco di vecchio stile da inizio carriera, ma che non dispiace se ci provi veramente ad impegnarti. Non è sicuramente qualcosa di innovativo, ma è proprio qui che i Kings of Leon si chiedono se si stanno ancora divertendo.
Are we still having fun?
Oh Yes, we'll see
If you'll ride or die for me, ah
Le tracce successive al primo singolo, Actual Daydream, Split Screen e Don't Stop Bleeding sono altre tre ballad alquanto noiosine. Non danno quel tocco in più al disco a livello generale, e messe così una dietro l'altra rendono la fruizione del disco per l'appunto noiosa.
Dobbiamo arrivare a Nothing To Do, il brano dove forse il frontman si sgola più volentieri. La canzone parla di un uomo che sta per impazzire, ma questa è la sua missione. Il ritmo della canzone è quell'hard rock intellettuale americano: è forse quello più convincente a livello strumentale per la sua varietà nell'utilizzo delle chitarre e per la presenza di un giro costante che si sposa molto bene con la band.

Hesitation Gen è forse la chicca per i boomer. Il brano racconta le difficoltà delle generazioni, quelle sicuramente più giovani, che cercano di cambiare lo stato delle cose nel quale vivono. Il problema, in questo caso, è che a raccontarlo sono uomini di mezza età.
L'ultimo brano, Seen, ha qualche synth in mezzo per passare da un momento all'altro della canzone. Scelta interessante, ma comunque fuori luogo del tutto.
Insomma, come avrete capito, se queste sono le premesse per divertirsi, sapremmo farlo meglio da soli: in primis non ascoltando questo disco. È ineccepibile come la voce di Caleb sia sempre a livelli impressionanti, una delle più belle voci nel panorama rock internazionale. Il graffio, l'energia che scaturisce da quelle corde vocali è impagabile.
L'idea per questo disco proviene da un desiderio di divertimento, qualcosa che la band ovviamente voleva seguire in tutte le sue modalità. Fa strano, fa anche sorridere se ci pensate, vedere e sentire degli uomini di mezza età che cercano di fare i giovani con la scusa del divertimento. Possono assolutamente fare i giovani come pare a loro, per carità, ma qua non sembra proprio che di felicità ce ne sia.
È un po' il problema dei Kings of Leon a pensarci bene. Non sono mai stati poi del tutto scanzonati, anche se alcuni dei loro testi invece lo erano. Tra la scrittura e l'attitudine strumentale c'è un grande abisso che li tradisce e gli fa perdere la direzione. Consideriamo anche che il loro genere, quel rock classic americano, è oramai interessante solo se ci apporti delle innovazioni.
Qua le innovazioni ci sono state? La risposta è no. Gli arrangiamenti sono sempre gli stessi, un po' come le parole usate. Non c'è quella traccia di divertimento che viene accennata dal titolo e che si sperava fosse una svolta molto più leggera.
Ma quindi, nel 2024, Caleb Followill e soci hanno scoperto il divertimento? Sembra proprio di no. Il loro sforzo è stato vano, potrebbero fare molto di più. In parole povere: se questo è come pensate voi di divertirvi, tornate a fare i seri.
