Quante volte abbiamo chiesto a Lorde di mettersi a nudo? Sulla copertina del suo precedente album, Solar Power (2021), è solo la striscia di un bikini tra due gambe lunghissime inquadrate da sotto a scongiurare lo scandalo: tra atmosfere mistiche e svariati centimetri di pelle esposta al sole ce l’aveva quasi fatta a illuderci che la vera Ella Yelich-O'Connor fosse la ragazza fuggita dallo showbiz di L.A. per rifugiarsi tra yoga e cristalli sulle spiagge della sua terra natale. 5 anni dopo, con l’arrivo di Virgin – visivamente una radiografia di un bacino con una cerniera e una spirale contraccettiva – Lorde si sbugiarda da sola, e si prende gioco di chi ha voluto credere a quella versione di lei pur di soddisfare la malsana pretesa di capire tutto quello che si cela dietro un’artista.

Lorde in uno scatto promozionale per il nuovo album "Virgin"
Lorde | Credits: Thistle Brown

Niente fronzoli, balli di gruppo o coprisole questa volta, ma un album dove silenzi e pulsazioni regnano, accompagnati da una scrittura cruda. Il richiamo al passato di Melodrama e Pure Heroin è forte, ma Virgin sembrerebbe veramente il culmine di un processo di rinascita iniziato con il feat con Charlie XCX in Girl, So Confusing della scorsa estate: per la prima volta in 8 anni Lorde cammina libera da Jack Antonoff nella produzione (accoppiata su cui tanto si è detto), riduce al minimo la reverenza verso il pop, preferendo inclinarsi verso l’elettronica e la dance, ma soprattutto sembrerebbe, mostrarsi una volta per tutte per la vera weirdo che è.

I might have been born again / I'm ready to feel like I don't have thе answers”. Hammer, terzo singolo e la traccia di apertura, fa da pietra angolare del disco: dopo un crescendo metallico e disorientante in apertura si arriva dritti a tutti i dunque che ruotano attorno alla figura di Lorde in questo momento: la rinascita pubblica e forse anche privata, il disprezzo malcelato per l’industria musicale che la spreme e la mantiene (I jerk tears and they pay me to do it, oh) e la frase pronta a far tremare l’opinione pubblica: “Some days, I'm a woman, some days, I'm a man”.

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Non è mera voglia di provocare, forse solo un po’ di sconvolgerci con disinvoltura– come succede nel coro a cappella di Clearblue, racconto abbastanza verosimile di una gravidanza sfiorata o forse interrotta - chi conosce Lorde lo sa: la sua produzione musicale è un perenne gioco di specchi dove non è concesso un confine netto tra metafora e realtà.

L’epifania che la porta a questa voglia di rinascita è esposta, asettica e spietata, in Shapeshifter (“mutaforma”) dove tra sussurri e pulsazioni ci sembra di assistere a una creatura della notte che riemerge dalle tenebre a testa alta. Il ritmo è affilato e la voce ripercorre tutte le forme e abitudini assunte per stare negli spazi di qualcun altro. I riferimenti sono quasi certamente quelli alla relazione passata di Lorde, terminata nel 2023 con un uomo più grande, coinvolto nella sua carriera fin dagli esordi, la stessa persona che è l’elefante nella stanza di Man Of The Year, dove viene citato Fight Club (“You met me at a really strange time in my life”) e un arrangiamento orchestrale si perde nel rock di una chitarra distorta, mentre il verdetto è chiaro: da quando non si muta più forma si assomiglia più a se stessi.

Mirror, mirror, on his shirt

I see a hot mess in an antique skirt

But the voice in my head says

"Don't let him leave alone"

I become her again

Visions of a teenage innocence

How'd I shift shape like that?

- Shapeshifter

La traccia più scanzonata ed ammiccante al pop è senza dubbio Favourite Daughter , dedicata al rapporto con la madre, la poetessa neozelandese Sonja Yelich, la quale ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione stilistica della figlia, ma che l’avrebbe costretta a diventare “un’attrice” per inseguire un'asticella talvolta troppo alta.

In Current Affairs, dove elettronica e grunge si alternano a inserti hip-hop - precisamente un sample di Morning Love di Dexta Daps – un momento borderline viene affrontato con un: “Mama I’m so scared”, facendoci rimuginare sulla quantità di riferimenti al grembo materno presenti in Virgin. Da un lato la voglia di rifugiarsi nella figura materna per ricominciare da capo, dall’altro l’istinto di rifuggire la pressione sociale di diventare madri a propria volta, alla quale, per questioni anagrafiche, Lorde è naturalmente esposta.

Lorde, foto promo di Thistle Brown per "Virgin"
Lorde | Credits: Thistle Brown

Discendente e un po’ mistica ci accompagna verso la fine GRWM, un gioco di parole tra l’acronimo che le influencer usano per dire “Get Ready With Me” e il significato reimmaginato da Lorde “GRown WoMan”: come in ogni morning routine che si rispetti, ci si lava, ci si guarda allo specchio e si decide chi vuole essere quel giorno, per Lorde, una donna adulta con una maglietta da bambina. Sorprendentemente rockettara If She Could See Me Now è la penultima traccia dedicata alla sè del passato e a un nuovo equilibrio nella vita da celeb, che ora parrebbe tiepidamente accettata, con quello che sembrerebbe un leggero scherno per il successo della sua fase Solar Power "'Cause I'm a mystic, I swim in waters / That would drown so many other bitches / Got me lifted, feeling so gifted, ah-ah-ah".

Nella discografia di Lorde, che non concede di frequente e soprattutto per caso nuova musica, Virgin è il lavoro che stilisticamente più si avvicina all'iconico Pure Heroin. Seppur più smaliziato, scontroso, politically (s)correct, quest'album sembra essere uno spiraglio, sincero fino al limite del consentito, su tutto ciò che Ella ha visto e provato dai 16 anni in poi. Dopo qualche ascolto diventa chiaro che si tratta dell'anello di congiunzione tra la chiusura di un ciclo e l'inizio di uno nuovo, musicale? Probabilmente. Mediatico di certo.