Rosalía, che negli anni si è affermata come una delle artiste più innovative e imprevedibili del panorama pop globale, torna con un progetto che sembra voler ridefinire — o forse oltrepassare — tutto ciò che ha fatto finora. Dopo aver saputo fondere flamenco, pop e sonorità urban in El Mal Querer e aver spinto verso la sperimentazione più libera e frammentata con MOTOMAMI (qui il nostro racconto del suo concerto agli I-Days 2023), la cantante catalana sceglie ora una strada radicalmente diversa. Con LUX, abbandona quasi del tutto la dimensione del pop immediato per abbracciare qualcosa di più ampio, più solenne: un album diviso in quattro movimenti, orchestrale, corale, cantato in tredici lingue e registrato insieme alla London Symphony Orchestra. È un’opera che si muove tra la musica sacra e l’elettronica contemporanea, tra liturgia e teatro, con l’ambizione evidente di costruire non solo un disco, ma un’esperienza sensoriale e spirituale.
Quando un’artista con la sua audacia decide di spingersi fino a questo punto, il rischio è inevitabile: quello di oscillare tra la visione illuminata e l’eccesso decorativo. LUX è proprio questo — un lavoro che reclama grandezza, luce, trascendenza, ma che a tratti sembra più impegnato a dimostrare la propria maestosità che a farla realmente vibrare. Il risultato rischia di oscillare fra la visione illuminata e il barocchismo pedissequo.

La suddivisione di LUX in quattro movimenti è già di per sé una dichiarazione d’intenti: non si tratta di un album pop nel senso tradizionale, ma di un’esperienza pensata per essere vissuta come un unico percorso, più vicino a un’opera in più atti che a una semplice raccolta di brani. Rosalía non compone canzoni da ascoltare in modo sparso: costruisce un viaggio che chiede attenzione, un ascolto immersivo, quasi devoto, privo di interruzioni o distrazioni.
Il cammino si apre con Sexo, Violencia y Llantas (Movimento I), e già dai primi secondi è chiaro che non si tratta di un’introduzione accomodante. C’è una tensione costante, un’energia cruda e terrena che si intreccia con immagini forti — “deportes de sangre”, “monedas en gargantas” — e con una promessa di luce che sembra sempre rimandata. Segue Reliquia, una traccia sospesa tra memoria e misticismo, dove la cantante esplora la propria identità oscillando fra il corporeo e il sacro. È forse uno dei momenti più introspettivi dell’album, ma anche uno dei più distanti emotivamente. La costruzione è impeccabile, la voce è controllata, gli arrangiamenti raffinati — eppure qualcosa resta trattenuto. L’equilibrio tra pop e spiritualità, tra ricerca e forma, finisce per diventare una gabbia: tutto è perfetto, ma poco vibra davvero.
Con Divinize, l'artista spagnola porta ancora più in alto — letteralmente — il tema dell’elevazione personale. La voce si fa eterea, sospesa in falsetti che sembrano sfiorare il cielo; gli archi si intrecciano con cori solenni, creando un’atmosfera quasi sacra, come una messa elettronica. Tutto è costruito per suggerire ascesa, luce, trascendenza. Ma è proprio in questa tensione verso il sublime che l’album rischia di perdere contatto con la sua autrice: la magnificenza dell’arrangiamento lascia poco spazio all’emozione pura. Poi arriva Porcelana, e qui qualcosa cambia. È uno dei momenti in cui l’artificio si scioglie e la musica respira davvero. Tornano le radici flamenco, con i battiti di mani che danno ritmo e corpo al brano, intrecciandosi a una produzione raffinata ma viva. Rosalía gioca con le lingue — compare persino il giapponese — e con le texture sonore, ma lo fa con una leggerezza nuova, quasi istintiva.
Il secondo movimento si apre con Berghain, un titolo che già da solo suggerisce una virata più contemporanea e pulsante. È il brano più vicino al linguaggio pop dell’intero progetto, anche se parlare di “pop” qui è quasi improprio. L’elettronica si mescola con l’orchestra, i cori diventano ritmo e materia, e il risultato è un colosso sonoro in continuo movimento. Le collaborazioni — si parla di Björk e Yves Tumor — aggiungono spessore e stranezza. Tuttavia, dietro la potenza dell’impianto resta una certa distanza: Berghain è affascinante, ma anche iper-costruito. È come entrare in una cattedrale del suono e accorgersi che, per quanto splendida, rimane tremendamente fredda.

Il terzo movimento è composto in gran parte dalle tre tracce esclusive del formato fisico, che raggiunge il prezzo record di quasi 60€. Focu ’ranni, Jeanne e Novia Robot, disponibili solo su CD e vinile, sono una scelta che da un lato nobilita il supporto tangibile, restituendo valore all’ascolto totale; dall’altro, crea inevitabilmente una frattura con chi vive la musica in digitale. Un gesto elitista? Forse. Ma coerente con la visione di LUX, che sembra voler parlare a un pubblico selezionato, disposto a compiere un vero atto di dedizione.
Il viaggio termina con La Rumba del Perdón, Memória e Magnolias, tre brani che segnano la resa e la luce dopo tanta grandiosità. Nel primo torna un suono più caldo e terreno che cerca una forma di perdono dopo l’eccesso. Memória è intima, quasi sospesa, un momento di vulnerabilità che interrompe la tensione ascetica. E poi Magnolias, epilogo spirituale e umano insieme: “I come from the stars / But today I turn to dust / To go back to them”. Una chiusura semplice ma efficace, che riassume il senso di tutto — l’ascesa, la caduta e la riconciliazione.
Arrivati a questo punto è necessario parlare della produzione, cuore (e peso) di LUX: monumentale, maniacale. È un lavoro che unisce sacro e artificiale, mescolando culture e simboli con precisione chirurgica. Il risultato è affascinante ma spesso schiacciante. Nei momenti migliori — Porcelana, La Yugular, Magnolias — la macchina sonora lascia spazio all’emozione e l’artificio si trasforma in bellezza pura. Nel complesso resta un’opera che abbaglia più di quanto commuova: un monumento eretto alla propria ambizione.

In conclusione Rosalía firma il suo lavoro più ambizioso e divisivo. È un album che osa dove pochi osano: mescola lingue, orchestrazioni e simbolismi sacri con una coerenza tematica notevole, tutta centrata sulla trasformazione e la misticità femminile. L’artista costruisce un universo complesso, monumentale, in cui ogni suono è pensato e ogni dettaglio pesa. Ma proprio questa grandezza è anche il suo limite. La ricerca del sublime diventa spesso autocelebrazione, e la perfezione formale soffoca l’emozione. Manca la leggerezza, manca il rischio del difetto che rende umani. Le tre tracce riservate al formato fisico, poi, accentuano quella sensazione di esclusività che separa più che unire.
LUX resta comunque un’opera da rispettare: non un disco da ascoltare, ma da attraversare. A tratti è sublime, a tratti estenuante — un monumento al coraggio creativo di Rosalía.