English Tapas Sleaford Mods 3 marzo 2017
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In una Gran Bretagna soffocata dal violento scontro al vertice tra conservatori ed ultraconservatori, per la decisione finale sul futuro del Paese dopo Brexit, lo spazio linguistico-politico del “progressismo” ha perso la voce. Una speranza però c’è. Anzi, due. Si chiamano Jason Williamson ed Andrew Fearn. Sono la band punk-rap più celebre di Nottingham, gli Sleaford Mods. Attivi ormai da diversi anni, hanno raggiunto la maturità musicale con la formazione attuale, Fearn-Williamson, con tre album all’attivo. Quattro, con l’ultima uscita: English Tapas (Rough Trade, 2017).

I Mods dell’attuale formazione hanno costruito un canone: beat minimalisti, crudi e grezzi e una voce narrante più che cantante, che uniscono rap/hip-hop e punk. L’elemento Williamson, voce narrante, è vitale per la musica dei Mods. Per intenderci, se scrivesse un album spoken word funzionerebbe, perché sviluppa contenuti di argomento socio-politico formalizzandoli in maniera impeccabile. Jason Williamson è un everyman delle Midlands, vittima della cattività neoliberista, paradossalmente causa ed effetto del clima Brexit. Nessuno, da tempo, sente il bisogno di parlare per gli everymen e qualcuno ha iniziato a farlo addossando le colpe del neoliberismo ad immigrazione ed Unione Europea.

La direttrice minimalista delle basi di Andrew Fearn, ad ogni modo, si sposa perfettamente con l’impianto linguistico di Williamson. Su beat semplici ed asfissianti, il registro linguistico spartano che non risparmia lo sproloquio scorre fluido ed incessante. Sproloquio che ha un verso preciso, dal basso verso l’alto, dove alto sta per i tanti David Cameron e Boris Johnson che popolano l’universo politico di Westminster. Lo stesso Williamson, però, rifiuta la connotazione “politica” ed anche di questo ha parlato a NoisyRoad quando lo abbiamo intervistato. Per lui si tratta di musica di «tutti i giorni».

FB_IMG_1489098397263In Snout, traccia di English Tapas, urla questo: «How dare I slam the uniform of the working class/ Condemn me please, you wanker, to life inside a working class/ Like a spider, suffocated to death for a fucking fiver». Rinchiudere la sua scrittura in una definizione precisa è irrilevante, in realtà. Gli Sleaford Mods hanno un narratario preciso: il lavoratore medio della società neoliberista. Insultare Boris Johnson è una naturale conseguenza.

Ma l’ultimo lavoro risulta meno aggressivo dei precedenti. Prende una piega decisamente più introspettiva. Nell’ultimo brano Jason pronuncia ripetutamente «I feel so wrong» e in tutto il disco Andrew Fearn lo guida con dei beat di basso e batteria quanto mai incessanti, solo qualche volta conditi con piccoli dettagli come i grilli in Time Sands.

Un modus operandi che tramanda la lezione del Wu-Tang Clan e le 36 Chambers, che Williamson cita tra le principali influenze. Su beat grezzi e polverosi rappavano RZA e compagni, su beat grezzi e polverosi – intrisi di punk – vomita fiumi di parole Jason Williamson. Non si tratta solo di basi, però. L’alienazione, la rabbia, la situazione sociale esplosiva, l’assenza di prospettiva futura. Sono le stesse sia per il Wu-Tang che per gli Sleaford Mods, ma anche per il Nas di Illmatic, altra influenza chiave della formazione di Williamson.

Gli Sleaford Mods hanno fegato da vendere. Raccontano una Gran Bretagna «invisibile», con il merito di appropriarsi prepotentemente della narrazione delle paure e delle insicurezze sociali, ormai arma dello squadrismo fascista che ammorba l’Europa. E che miete vittime: Jo Cox, per dirne una.