I know nothing
I’m just getting older
Che qualcosa fosse cambiato lo si era capito lo scorso novembre, lo si percepiva dalle note cupe di pianoforte che anticipano l’ingresso elettronico di chitarre e batteria. Quel singolo, i know nothing, non è finito nel terzo album, ma è come se ne rappresentasse un prologo. Northampton e la politica inglese sono oramai solo uno sfondo sfocato per slowthai, lo sguardo è puntato verso l’interno.
La vita di Tyron nell’ultimo anno è stata stravolta dalla paternità e da una crisi esistenziale che si ritrova in ogni verso del suo nuovo UGLY, acronimo per U Gotta Love Yourself. Per affrontare i propri demoni slowthai si è circondato di personalità di spicco della nuova new wave inglese post-punk: Dan Carey alla produzione, Grian Chatten (Fontaines D.C.) ed Ethan P. Flynn come coautori dei testi.

Immaginatevi in uno studio, seduti davanti a una scrivania con un taccuino tra le mani. Su un lettino di pelle nera c’è slowthai che vi parla delle sue dipendenze e delle sue paure. Voi siete lo psicologo e non dovete far altro che ascoltare. Nata come un’improvvisazione - lo si percepisce dalla base industrial elettronica e dai primi due versi – Yum è un inizio spiazzante e drammatico: i respiri profondi di Tyron si alternano al racconto delle sue dipendenze. Il sottotesto è la paura, unita a quella vocina interore che gli ripete che forse non è all’altezza di una vita da padre. Tyron sputa fuori tutto il veleno in un crescendo ansiogeno, fino all’urlo finale.
I kiss my son before I put him to sleep
And I was workin' for a flat on my feet
Why would you work until you got bloody knees?
L’amore per gli altri e per la vita passa per la forma d’egoismo più grande di tutte: l’amore verso se stessi. Il suono post-punk di Dan Carey fa irruzione nel primo singolo estratto Selfish, le note di chitarra distorta rimbalzano contro la parete di vetro che tiene prigioniero slowthai nel videoclip. La sua voce serba rancore, ma subentrano le prime crepe nel bridge. Il lavoro e la costruzione di un futuro lo costringono ad allontanarsi dal mondo reale e dalla famiglia. Essere egoisti per il bene altrui, un paradosso irrisolvibile.

In origine l’album avrebbe dovuto intitolarsi come la decima traccia Wotz Funny, una canzone che denuncia la disumanità e la bruttezza della società. Tyron parte citando Mother degli amati IDLES, anche sua madre lavora quattordici ore al giorno. Il suo modo di cantare si rifà a quello di Joe Talbot, aiutato anche dal muro chitarristico che lo sorregge per tutti i due minuti e quaranta. Si parla di bullismo, di disagio e dell’incomprensione di chi determinati scenari non li ha mai vissuti. Che cosa ci sia di divertente non lo sa neppure l’ascoltatore, talvolta però non si riesce a mantenere il controllo e la risata diabolica di baudelairiana memoria prende il sopravvento.
L’empatia e l’immedesimazione sono le basi, in Never Again slowthai si mette nei panni dell’altro. Ispirata ad un evento di cronaca, è l’unico riferimento alla sua città Northampton, scelta come ambientazione della sua personalissima West Side Story. Il protagonista è un giovane che incontra la sua ex dopo molto tempo: lei è intrappolata in una relazione tossica e aspetta un bambino. Tra i due c’è un dialogo colmo di non detto: un antico sentimento non ancora estinto e una richiesta d’aiuto celata compongono uno scambio di pochissime parole.
Il brano inizia con il canto sofferto di Ethan Flynn adagiato su una base R&B costruita su piano e basso, poi si trasforma in un pezzo rap dove la batteria è sempre un passo avanti allo storytelling in rima di slowthai. Il racconto arranca in maniera sofferta fino al finale tragico: le percussioni si bloccano e rimane solo una chitarra pulita. L’outro eterea fa da contorno ai rimpianti.
Il centro dell’album è caratterizzato da due tracce antitetiche a livello testuale, ma molto simili su quello musicale. Da un lato la title track ispirata al lato oscuro della natura umana. Scritta insieme a Grian Chatten quando è iniziata l’invasione russa in Ucraina, descrive in maniera drammatica l’impotenza nei confronti del controllo sociale che spinge la gente a combattere le guerre degli altri. L’inganno è perpetrato da chi ispira maggiore fiducia: «The most beautiful people do the ugliest things» è l’ultimo fiato del finale.
La controparte è HAPPY: ancora lo spelling nel ritornello, ancora il basso e le chitarre che incalzano, ma stavolta il tono è meno enfatico. Le strofe parlano di quanto spesso ci si lasci trascinare in basso dalle situazioni, quando invece basterebbe mollare tutto e andare in cerca della felicità. Essere egoisti, appunto. I suoni sintetici si mescolano alle corde di chitarra incatenate in un arpeggio nevrotico, in sottofondo Dan Carey sperimenta e fa accadere cose: il risultato è un suono che si fa più angoscioso proprio quando Tyron si confessa: «I would give everything for a smile».

UGLY non è però un disco di soli lati oscuri, il percorso terapeutico di cui siamo testimoni è fatto anche di tappe apparentemente più leggere. Sì, solo in apparenza, perché in fin dei conti si balla e ci si scatena sulla tristezza. È quanto accade nelle due tracce gemelle Sooner e Feel Good. La prima è un brano dai risvolti pop punk con una vena elettronica quasi estiva. In un misto di nostalgia e spensieratezza immotivata, slowthai sembra prendersi gioco del proprio stato mentale, soprattutto quando canticchia del tempo perso e di tutte le occasioni mancate per essere felice. Per questo spera al più presto di tornare a provare quelle sensazioni che ora riesce a vivere solo grazie alla musica, alla chitarra e al ritmo catchy dettato dal basso.
Se Sooner rimane sul piano metanarrativo, Feel Good è l’attuazione del piano stesso, realtà allo stato puro: una canzone presa bene scritta da Tyron con Shygirl per tirarsi su di morale. I feel so good ripetuto come una cantilena è un’opera di autoconvincimento tutta da ballare che prende le mosse dalla bellezza di sentirsi vivi, anche quando sentire fa male a tal punto da contorcerti l’intestino. Scelto come secondo singolo, Feel Good ha un videoclip altrettanto felice in cui i fan sono stati raggiunti dal Nostro nei loro soggiorni per danzare insieme.

slowthai cresce canzone dopo canzone, la seduta aumenta la sua consapevolezza nei confronti della propria situazione psicofisica. Il processo di crescita è certificato dalla bellissima Tourniquet: piano, chitarra acustica e batteria costruiscono una ballata raffinata sulla quale Tyron sputa le barre e tenta un canto primordiale incrinando la propria voce fino a spezzarla. Il laccio emostatico simboleggia il distacco dal passato e da tutto quanto impedisce di avanzare. È il proseguio di Dead Leaves, canzone dell'album di debutto Nothing Great About Britain.
Il finale è un’altra delle tracce più sperimentali, quasi acustica e caratterizzata da un arpeggio di chitarra elegante, dai cori femminili e dall’accompagnamento rilassante dei tamburi suonati a mano. 25% è la percentuale mancante in ognuno di noi, da riempire con quella persona o quella cosa in grado di completarti. Può essere una donna, un uomo o semplicemente una canzone con in sottofondo il rumore della pioggia. Si chiude il cerchio, 25% Club è stata la canzone che slowthai ha scritto prima di sfogarsi con l’improvvisazione di Yum.

UGLY è un album personale e universale, fatto di suoni elettrici, di distorsioni post-punk, farcito con una metrica altalenante e un canto trascinato. C'è una canzone che, da sola, ne è spiegazione e ambizione: Falling. slowthai l'ha scritta immaginando una scimmia che vola nello spazio, chiusa in una capsula che avanza col pilota automatico nell'oscurità. Essere trascinati via nel buio e guardare giù è una tentazione letale. Può essere appagante stare con i piedi in aria e la testa appoggiata al suolo come i Pixies, chiedendoci se stiamo impazzendo per davvero.
Allo stesso modo del protagonista di Dance Dance Dance di Haruki Murakami, Tyron ha il terrore che tutto possa svanire e, come suggerisce l'Uomo Pecora, l'unica soluzione è continuare a danzare. Le lacrime, come canta in Sooner, sono quelle di un pagliaccio. Versate nel buio di una stanza vuota fissando la luce che penetra dalla serratura. Un esile fascio luminoso, un minuscolo riflettore sotto cui ballare per rimanere vivi.