Being Funny in a Foreign Language The 1975
7.7

Gli ascoltatori di musica indie, ammesso che questo aggettivo abbia ancora un senso, si dividono in due categorie. La categoria UNO, ovvero tutti coloro che amano alla follia i 1975 e li considerano una delle band più rilevanti degli anni Dieci, se non la più importante; la categoria DUE che raggruppa invece tutti quelli che non hanno mai compreso né l’eccitazione né il clamore dei facenti parte del primo gruppo. La verità, come si è soliti dire, sta veramente nel mezzo? Sicuramente il quinto album della band di Manchester non scioglie il dubbio, semmai alimenta la discussione.

Being Funny in a Foreign Language è stato pensato quando la pandemia ha costretto il gruppo alla cancellazione del tour ed è stato registrato in varie fasi durante le quali Matty Healy e soci hanno deciso di cambiare produttore. I lavori sono iniziati con Bj Burton, storico producer tra gli altri di Low e Bon Iver, ma dopo mesi la strada ha preso una svolta inaspettata, per certi versi drastica. Jack Antonoff (Bleachers, Fun) – non ha bisogno di molte presentazioni - ha preso le redini del progetto. Una scelta che ha probabilmente cambiato pelle a quello che sarebbe poi divenuto il quinto album dei 1975.

Ph. Samuel Bradley

Matty Healy è figlio di attori e forse è proprio questo uno dei motivi per cui ha sempre immaginato ogni lavoro della band come una produzione cinematografica, o seriale per essere precisi. Il primo singolo estratto Part of the Band, come un film, si apre in medias res, con il frontman che parla dei suoi amori e delle sue debolezze. Una canzone che anticipa il sound dell’album e mette in mostra fin da subito la presenza di Jack Antonoff: inconfondibili gli archi che incorniciano le strofe. Il testo è sarcastico, a tratti autoironico, ma nasconde il consueto velo malinconico che contraddistingue la band. Il brano si evolve senza un vero ritornello, solo una chitarra acustica traccia il confine.

Proprio la chitarra acustica è una protagonista inaspettata del disco che ritorna spesso e chiude il cerchio nell’ultima When We Are Together. Il finale di stagione, così come lo ha definito la band, è una canzone dal sound folk-country, registrata a New York poco prima della stampa dell’album. Una storia d’amore ambientata nella Grande Mela che si fa metafora delle dinamiche interne della band, tant’è che i titoli delle due canzoni citate potrebbero essere interscambiabili.

The truth is that our egos are absurdI thought we were fighting but it seems I was gaslighting youI didn't know that it had its own word

Se si pensa che i 1975 si sono formati all’età di tredici anni non si può non provare un leggero brividino ascoltando questo pezzo.

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Ok, è giunto il momento di affrontare l’elefante nella stanza: la produzione di Jack Antonoff. Uno dei producer più in voga, forse il più cercato e desiderato al mondo. Il suo sound è inconfondibile e ha rivoluzionato il pop degli ultimi anni, ridandogli una forma più sofisticata, raffinata e retro. Farsi produrre da lui comporta vantaggi e svantaggi. I primi saltano all’occhio in Happiness, l’esempio migliore di cosa vuol dire creare un connubio perfetto tra il sound 1975 e quello Bleachers. Una delle canzoni più vicine al repertorio classico della band inglese che, tuttavia, suona completamente rinnovata. Da un lato la chitarra riconoscibile di Adam Hann, dall’altro il mood E Street Band tipico dei lavori dell’autore statunitense.

Gli svantaggi emergono quando la produzione quasi soffoca il carattere della band. Looking for Somebody (To Love) è un brano in cui la mano del producer è piuttosto calcata, quella dove è forse più evidente. Per questo è anche il più divisivo:

UNO: «Un brano che mostra il lato pop più sofisticato dei 1975, grazie Jack!».

DUE: «Un brano che avrebbe potuto benissimo far parte di Take the Sadness Out of Saturday Night. Bleachers feat. Matty Healy».

UNO: «Il modo in cui il testo racconta il dissidio interiore di una persona che sta per commettere una strage in una scuola è incredibile, per non parlare del contrasto con il mood spensierato della musica».

DUE: «Una canzone che vuole ripercorrere il sentiero già tracciato dai Foster The People con Pumped Up Kicks, nulla di così nuovo e rivoluzionario».

Una cosa mette d’accordo tutti: è una canzone piacevole da ascoltare, un brano che non disturba (aspetta, questo è un bene o un male?).

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Il nuovo album dei 1975 (e successore di Notes on a Conditional Form) è un insieme di istantanee che raccontano sensazioni, ricordi o immaginazioni. Le polaroid sono numerose, alcune funzionano di più, altre meno. I’m in Love With You è una canzone personale che parla dell’innamoramento di Matty per una ragazza. Per la prima volta il frontman ha dichiarato di essere stato sincero e di non essersi abbandonato alla consueta dissacrazione dei suoi sentimenti. Il ritornello sfacciato e impertinente rimane in testa contro ogni tua volontà, il video in bianco e nero, continuazione di A Change of Heart, è invece un tocco di stile. Anzi, tutto l’artwork di questo quinto album è notevole, a partire dalla copertina.

Di tutti i racconti, quello he funziona meglio, è sicuramente Wintering, probabilmente la canzone di Natale dell’anno. Matty ci fa dono di una cartolina, più o meno veritiera, del suo ritorno in famiglia per le vacanze natalizie. Tra parenti felici e infelici, discussioni su giochi da tavolo e politica, tutto scorre via come ogni anno. La musica è perfetta per accompagnare i momenti e le contraddizioni con un pizzico di gioiosa malinconia.

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Being Funny in a Foreign Language è anche un album in cui i 1975 tentano nuove soluzioni, cercando per quanto possibile di distaccarsi dalla consuetudine. Questo accade soprattutto nella seconda metà del disco. All I Need to Hear, è una ballad registrata al piano in una one-take che doveva suonare come una cover. Invece risulta essere uno dei pezzi più scevri dalla mano pesante di Antonoff, una ballad d’amore classica come lo sanno essere le canzoni emozionanti. Discorso inverso invece per Oh Caroline che, a dispetto delle intenzioni, ha tutto l’aspetto di una cover dei 1975 di una canzone di Michael Jackson coverizzata da Justine Timberlake.
Ovviamente la categoria UNO dissente e la considera una piacevole canzone pop.

Se si vuol parlare di sperimentazione, senza dubbio About You, è la risposta che mette d’accordo tutti (o quasi). Il sound completamente diverso, più che gotico, come l’ha definito Matty, è un rock lo-fi dove il riverbero è predominante. La collaborazione con Warren Ellis si percepisce negli archi, quella di Antonoff nei consueti ottoni. E i 1975? Beh, nella voce e nel suono elettrico delle chitarre.
La categoria DUE (guastafeste) dirà: «Senti With or Without You degli U2».

I'm sorry if you're livin' and you're seventeen

Lo ripete otto volte Matty nella consueta intro che porta lo stesso nome della band. Questa volta però si tratta di una canzone vera e propria, il manifesto del disco. Un brano riflessivo sulla giovinezza vissuta dal frontman: le scelte sbagliate compiute a vent’anni sono state molte di più rispetto a quelle azzeccate. Si preferisce ora che ne ha trentatré. Il pianoforte aumenta l’intensità con lo scorrere dei secondi, al pari della drammaticità che raggiunge l’apice con l’ingresso degli archi. Il focus si sposta sulle generazioni presenti e sul loro futuro. Ecco che allora, il discorso generazionale assume tutto un altro valore.
Reggere le aspettative nel mondo moderno è sempre più complicato e il più delle volte ci si dimentica di essere umani. Human Too, a metà strada tra il soul e l'RnB, è espressione della fragilità e del coraggio di accettare i propri errori. Una capacità che i nuovi ventenni hanno perso per colpa di una società improntata al successo a tutti i costi.

Sia UNO che DUE concordano che Give Yourself a Try è insieme il preludio e la continuazione perfetta di questa traccia.

“Essere divertenti in una lingua straniera”. Quale sia la lingua straniera del quinto album dei 1975 è difficile dirlo. Potrebbe essere il nuovo stile sound introdotto dalla produzione di Antonoff, talvolta illuminante, talvolta asfissiante. Potrebbe essere la nuova vena narrativa di Matty, qui ancora più a nudo, spogliato quasi interamente della sua vena giocosa e ironica. Potrebbe essere la maturità dei trent’anni con cui si guarda al passato costellato di pazzie, dipendenze e amori necessari o sbagliati.
O forse è proprio la generazione presente ad aver costretto la band a trovare un nuovo linguaggio per comunicare, raccontare o chiedere scusa.

Being Funny in a Foreign Language è un esempio di pop raffinato, Heart out e Settle Down insieme, ma anche Jack Antonoff (forse troppo?). I 1975 che hanno perso se stessi o che hanno ritrovato una loro nuova versione? La verità, come al solito, sta nel mezzo.

Ph. Samuel Bradley