Ohio Players The Black Keys
7.5

La recensione di "Ohio Players", il nuovo album dei Black Keys

Immaginiamoci di essere tornati un po' indietro. Nello specifico, nel decennio che va dal 1990 al 1999. Una band originaria dell'Ohio è abbastanza conosciuta, ma non come meriterebbe. Le influenze di quel periodo, sia americane ma anche d'oltre oceano, sono relegate per fare spazio ad un suono ben deciso: il blues. La band vorrebbe cavalcare l'onda di quegli anni, fare qualcosa di diverso. Ha in mente un progetto, un disco in particolare, che possa essere figlio effettivo del tempo. Il progetto non si compie. Viene relegato in un cassetto a prendere polvere per quasi trent'anni. E tutto finisce lì.

Quando pensiamo ai Black Keys ci vengono in mente tre cose: il blues americano, Brothers e El Camino con la sua Lonely Boy. Pensiamo anche alla bravura di questi due artisti, alla loro maestria strumentale e alla loro grande voglia di andare controcorrente. È nitida l'immagine che ci viene in mente, così come il suono. Fin dagli esordi ad oggi abbiamo visto e sentito qualcosa di coerente con il background musicale del gruppo. Tutto questo è successo fino ad oggi, perché Ohio Players ha sbaragliato le carte e ha riaperto quel cassetto chiuso oramai da decenni.

Non è un disco di difficile ascolto, anzi. Le 14 tracce sono giocose, intraprendenti e con uno studio dietro veramente importante. Certo, stiamo parlando pur sempre di Dan Auerbach e Patrick Carney e quindi non di quelle persone effettivamente serie nella vita. I loro personaggi si basano sempre sulla risata, lo scherzo e il gioco. Non solo prendono in giro la contemporaneità, ma anche loro stessi e quello che hanno fatto.

In effetti, si potrebbe partire proprio da questo. Giusto per calarci un attimo nel progetto. Ve lo ricordate Derrick Tuggle, star di Lonely Boy? È tornato protagonista del videoclip di un brano, On The Game. Queste immagini ci ricordano molto un altro video, quello di Liam Gallagher con Once, ma ovviamente la storia è leggermente diversa. In questo video molto ironico verso lo showbiz e verso loro stessi, raccontano di come si sia spaccato il rapporto tra il protagonista e la band e di come il primo viva oramai una vita su una fama passata. Non solo quindi il tema ironico, la presa in giro e via dicendo. Ma soprattutto la canzone, una canzone caratterizzata da una chitarra molto riconoscibile. Quella di Noel Gallagher, quella degli anni '90.

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E rieccoci quindi al discorso iniziale. Gli anni '90. Ohio Players non è solo un disco del 2024, ma anche di trent'anni fa. E la presenza di Noel, e non solo, ci fa capire tante cose. In primis la vicinanza ad un suono ben definito e ben caratteristico del tempo. Ma la sua presenza non è l'unica. Questo album è molto legato, anche perché per metà scritto/prodotto, ad un altro personaggio. Il dimenticato, ma non del tutto, Beck.

Proprio lui. Beck è fondamentale per la comprensione delle musiche di questo dodicesimo progetto dei Black Keys. Un progetto che avrebbero voluto fare tanto tempo fa, per cavalcare l'onda di Beck e del suo successo oramai passato e per realizzare qualcosa che fosse figlio del suo tempo. Non è un caso che infatti lo ritroviamo subito nella prima traccia, This Is Nowhere. Un mix tra due sound ben precisi: quello del duo, in particolare la batteria, e quello scanzonato e quasi funk del loser americano. A questo si aggiunge anche la presenza di un'altra traccia, che ricalca sempre un po' la stessa storia.

Paper Crown inizia con una base hip hop. La voce dell'ospite è ben definita, sembra di risentirlo alle origini del suo successo e della sua carriera. Ad aggiungersi la chitarra e il falsetto di Dan e ad un certo punto una strofa totalmente rap. Quella di Juicy J, fondatore dei Three 6 Mafia a metà anni '90. Suona strano sentirlo ora, conoscendo la storia del gruppo. Suona strano perché questo disco doveva uscire trent'anni fa.

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Ma non è tutto. Perché risentiamo Gallagher e la sua chitarra inconfondibile in Only Love Matters. Ma anche Dan The Automator e, in veste di produttore, Greg Kurstin. Un caso? Non credo proprio. È veramente un disco che racchiude in sé le varie sfaccettature del duo. Se ci mancano però i vecchi ragazzoni americani, chitarra facile in mano e suoni sporchi, possiamo ascoltare Please Me 'Til I'm Satisfied o la cover, standard soul anni '60, I Forgot To Be Your Lover di Bell e Booker T. Jones.

Forse questo disco è sinonimo di stallo, uno stallo dovuto ad un blocco creativo. Per altri potrebbe essere la paraculata del momento, qualcosa che è stato pensato proprio per piacere. In verità, e come si sarà capito, questo nuovo progetto era in cantiere da tanto tempo senza mai il coraggio di tirarlo fuori. Forse un po' anacronistico, forse no. Chissà. Sta di fatto che i Black Keys continuano a fare musica e continuano a sfornare brani che in un modo o nell'altro ci piacciono. Quindi li ascoltiamo, li amiamo e li vogliamo sentire dal vivo. Risulterebbe difficile, se non veramente da poser, poter andare contro questo nuovo lavoro e quindi queste nuove 14 tracce. Fin dal primo singolo, anch'esso firmato Beck, Beautiful People (Stay High), il gruppo ha pensato bene di lanciarci un messaggio ben chiaro: questo sarà e questo vi piacerà.

Considerando che il duo non si è mai fermato, e tra tour e lavori in studio è sempre stato al centro dell'attenzione, possiamo veramente esserne solo che felici. La cosa che ci fa amare questo disco in maniera diversa dal solito e che ci fa ben sperare (forse) per tutte le altre uscite discografiche è che dal vivo suoneranno perfettamente. Se agli I-Days hanno spaccato, facendo un set breve ma di grande potenza come solo loro possono fare, sono sicuro che il prossimo ed imminente tour sarà ancora più sbalorditivo.

The Black Keys Ohio Players recensione album
The Black Keys | Credits: Jim Herrington