I Am Easy to Find The National 17 maggio 2019
8.4

Difficile. Se dovessi descrivere questo album con un solo aggettivo, utilizzerei la parola difficile: la durata complessiva del disco, le 16 tracce, i testi, i cori, gli archi e il pianoforte, il cortometraggio d’accompagnamento, le voci femminili, i sintetizzatori rendono tutto particolarmente ingarbugliato. Non appena si finisce di ascoltare questo album si ha la sensazione di riemergere da un’apnea sonora e lirica talmente vivida e personale da lasciare meravigliosamente confusi, una confusione che ci porta a chiederci che cosa si è appena ascoltato. Ma facciamo un passo alla volta. I Am Easy To Find (4AD) è l’ottavo album della rinomata e notoriamente malinconica band di Cincinnati, i National, che tornano sulle scene a sorpresa, dopo neanche un paio di anni dall’uscita di Sleep Well Beast. Con l’ultimo album, per la sottoscritta, avevano raggiunto l’apice della loro carriera e ammetto di aver avuto un filo di paura per questa nuova fatica, perché è risaputo che nella maggior parte dei casi il poco tempo è nemico degli artisti, che rischiano di fare un grande scivolone oppure di adagiarsi e sedimentarsi in una loro ristretta comfort zone. Ecco, non è questo il caso. L’album sembra essere la prosecuzione naturale del precedente, ma anche l’ennesimo ulteriore gradino nella carriera dei National.

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Quanto più una cosa è scarna e minimale, tanto più è complessa da descrivere, ed è proprio così la parte strumentale che accompagna l’ascoltatore nelle viscere dell’anima di Matt Berninger. Vengono ripresi i leggeri sintetizzatori che avevano fatto capolino con l’opera precedente, ma qui si fanno strada, diventando elementi chiave, essenziali, di ogni singolo brano, da Quiet Light a So Far So Fast, tanto che se si togliessero da alcune parti rimarrebbe solo il silenzio o la voce in solitaria del cantante. L’elettronica non è mai invadente, è un tramite per rendere ancora più delicate le atmosfere vellutate, aggraziate e intime che solamente i National sanno creare, in questo caso talmente fragili e di cartapesta che rendono difficile estrapolare un singolo di punta, come poteva accadere in Trouble Will Find Me. Questo rende il disco fortemente omogeneo, ai più distratti persino monotono, e capace di schiudersi completamente e dare un senso all’ascoltatore solo nella propria interezza.

Come ho detto prima, questo non è un disco di svolta ma di crescita, perciò non possono mancare quegli elementi che hanno sempre caratterizzato il gruppo, dalla voce sempre velata di tristezza di Berninger a quella batteria secca e incisiva di tracce come You Had Your Soul With You e Where Is Her Head. Ma a far fare l’ennesimo salto di qualità sono due nuovi elementi: le voci femminili e i cori, che si intersecano a quel baritono a cui è impossibile non affezionarsi. Per la moltitudine di voci celestiali il gruppo si è affidato al Brooklyn Youth Chorus, che in pezzi come Dust Swirls In Strange Light e negli intermezzi Underwater e Her Father In The Pool elevano le atmosfere del disco a spazi ultraterreni e spirituali, facili da accostare ad alcune immagini estrapolate da quel telegenico “Young Pope” di Sorrentino. Inoltre, il frontman chiama al rapporto donne del calibro di Gail Ann Dorsey, Sharon Van Etten e Lisa Hannigan, di cui si fida ciecamente tanto da ritirarsi in alcune battute e lasciare che siano loro le vere e uniche protagoniste. Le voci femminili sono elementi imprescindibili di questo disco, tanto da non necessitare che i nomi delle cantanti vengano riportati sotto forma di duetti, come a dire che sono state incorporate completamente nel progetto e nella band The National.

Proprio questo elemento femminile pervade l’album di un’umanità infinita, che prende vita attraverso i meravigliosi testi di I Am Easy To Find. Il disco infatti, secondo me, è stato concepito per dare rilevanza principalmente alla parola, non si può ascoltare senza prestare attenzione al flusso di coscienza e lo sfogo di emozioni di Berninger, che con maestria riesce a condensare sentimenti primordiali quali dolcezza, insicurezza, paura e amore in poche emozioni (questa volta anche con l’aiuto della moglie) ridandogli finalmente l’importanza e lo spazio che meritano in un mondo caotico, iper-veloce, e sempre più disordinato che spesso con troppa facilità le diluisce e le sminuisce. Sostanzialmente sono gli stati d’animo alla base della vita, corredati di personaggi (Rylan, Hey Rosey) e luoghi (Not In Kansas). Tutto ciò viene reso in immagini dall’amico regista Mike Mills, che ha diretto il cortometraggio di accompagnamento con Alicia Vikander. Durante il corto, ad un certo punto, passano in sovraimpressione queste parole: “The feeling of love”, quella cosa dannatamente complicata da descrivere, che prevede uno spettro di sensazione molto vasto, e che si ripercorre per tutta la discografia dei National. L’amore, con la A maiuscola.

Si parla innanzitutto apertamente dell’altra faccia di questo sentimento, quella insicura, malinconica e tremula, quei «Days of brutalism and hairpin turns», sostanzialmente quei momenti difficili rintracciabili nella cronistoria di ogni essere umano, sono trattati in Hairpin Turns, o quell’incertezza che, nonostante tutto, ci si porta spesso appresso di Oblivions, resa alla perfezione con quel ripetuto «You don’t walk away, don’t you? / Still got my fears». Ma c’è anche l’amore incondizionato («I'm still standing in the same place where you left me standing») e il mettersi a nudo con sé stessi e con l’altro, nella canzone che dà il titolo all’album, I Am Easy To Find, che ho personalmente interpretato come “è facile trovarmi”, sono qui, non mi nascondo, vieni qui. Quell’emozione gigantesca e ideale che viene messo in musica anche in Roman Holiday, che prende spunto dalla storia d’amore tra Patti Smith e Robert Mappelthorpe, la cantante e il fotografo, rimasti legati per tutta la vita da un affetto sconfinato e un’amicizia artistica, nonostante l’omosessualità dichiarata di lui e il conseguente nuovo compagno di lei.

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Ora capite perché la prima parola che mi è venuta in mente ascoltando I Am Easy To Find è “difficile”? È sostanzialmente un disco profondamento maturo, che da una parte può piacere, a chi come me è sulla ventina, per le frasi allo stesso tempo essenziali e piene di significato, ma ho quasi la certezza che verrà apprezzato ancora di più da chi ha qualche esperienza in più sulle spalle. Bisogna ammetterlo, ci sono libri, film e un certa musica che si apprezzano solo con determinati occhi, che si capiscono solo dopo aver vissuto certe cose, e quest’album è il risultato di una band che dagli inizi del 2000 ad oggi ha fatto la propria strada, passando dall’avere 20 anni all’essere sulla quarantina. Un lasso temporale che gli ha permesso di crescere, evolversi e sviluppare un bisogno costante di andare oltre, di essere tremendamente sinceri con l’ascoltatore, come a volergli testimoniare e ricordare costantemente in un orecchio la bellezza della fragilità dell’essere umano con ritmi e sonorità sempre in divenire, e questo secondo me è ciò che rende i National e I Am Easy To Find una delle mie poche certezze, rifugi e dolcissime consolazioni di un maggio mai così grigio da decenni: «I'm your angel when it rains, dear».

I National saranno live in Italia il 9 agosto durante l'Ypsigrock Festival in Sicilia: http://www.ypsigrock.it/