24 giugno 2025

Goddess, intervista a Fay Milton: "Un progetto nato dalla sorellanza"

Mi ricordo benissimo il momento in cui ho sentito Shadows. Ho messo in pausa tutto quello che stavo facendo per concentrarmi solo sul pezzo. Ho riconosciuto la voce di Elena Tonra (Ex:Re) dei Daughter, sebbene le sonorità non c’entrassero nulla con loro: era il primo singolo di Goddess, il nuovo progetto di Fay Milton. Un album dove la batterista delle Savages ha chiamato a raccolta 10 artiste donne e non binary (fra cui Shadow Stevie, Shingai, Izzy Bee Phillips dei Black Honey) per ciascuna traccia del disco, di cui una è cover degli Afterhours. Il risultato è un progetto eterogeneo e bellissimo, che abbraccia stili e generi diversi, dall'industrial e post-punk all'elettronica. Parlare con Fay Milton è stimolante, si toccano tanti temi, dalla musica alla politica, senza mai scadere nella banalità.

Fay Milton aka Goddess in posa
Fay Milton aka Goddess | Credits: Rob Greig

Goddess è probabilmente un raggio di luce in questi tempi oscuri, soprattutto per le persone trans e non binarie, specialmente dopo la sentenza della Corte Suprema Britannica. Come ti fa sentire vivere in Inghilterra al giorno d’oggi?

È una grossa domanda. Cerco di non concentrarmi troppo sul Regno Unito, e a dire il vero, non vorrei essere il Primo Ministro di nessun paese in questo periodo storico. Il mondo è complicato e tutto accade così velocemente. Sono sicura che sia così in ogni Stato. Penso che dobbiamo tenere fede ai nostri valori e quando accadono cose orribili come a Gaza, non rimanere inermi ma fare tutto quello che possiamo per far cambiare le cose. Quando ci sono così tante tragedie c'è il rischio di rimanere inermi e paralizzati da esse. È una situazione complicata, e significa davvero tanto per me sentirti dire che la mia musica è un raggio di luce. È una cosa molto lusinghiera da dire, grazie di cuore! Penso che chiunque faccia azioni gentili e generose in ogni campo, dalla medicina all’istruzione, debba continuare a farlo. In un certo senso anche fare musica è una cosa molto generosa al giorno d’oggi, dato che non si guadagna bene e alla fine regali alle persone un album senza farle pagare (ride, ndr). I governi cambiano, ma lo spirito umano e i gesti delle persone rimangono per sempre.

Quanto è stato difficile trasporre questo album per un’esibizione dal vivo?

Non è stato semplice per via di tutti gli strumenti usati in studio: archi, arpe, suoni matti e un sacco di altre cose. È un album che in realtà non è pensato per essere suonato dal vivo: essendoci una cantante diversa per ogni canzone sarebbe davvero complicato. Ho dovuto imparare a fare cose nuove per me, come quella di usare e far partire tracce pre-registrate su cui suoniamo dal vivo batteria, basso e voci.

Sei partita sapendo che non avresti scritto un disco pensato per essere suonato live. Questo ti avrà aperto a un’infinità possibilità di scelte tecniche e sonore in studio. Ti ha destabilizzato avere tutte queste opzioni davanti a te?

All’inizio sì. Ho lavorato su questo album per un bel po’ di tempo e quando ho cominciato non avevo ancora mai prodotto nulla nella mia carriera. Sono partita proprio dalle basi, e quando cominci così, puoi fare qualsiasi cosa, hai libertà assoluta. Inizi a registrare le prime idee e ti rendi conto di che suoni ti piacciono e, di conseguenza, che direzione prendere. Così cominci a tagliare fuori tutto il resto, in modo che si inizi a creare una certa coesione con le cose che stai registrando. Ovviamente nasco come batterista, quindi la batteria è al centro di ogni pezzo, così come il basso, suonato praticamente sempre da Ayse (Hassan, ndr) delle Savages. Mi sono divertita molto a suonare il piano, che uso come strumento principale per comporre, e gli archi. Sono partita da tutti questi elementi a cui poi ho aggiunto un sacco di elementi noise ed effetti vari.

La copertina dell'album d'esordio di Goddess

C’è stato un momento particolare in cui ti sei resa conto che questo sarebbe diventato un progetto con un messaggio specifico, con 10 cantanti diverse, tutte donne o non-binary?

Sì, c’è stato un momento specifico, anche se non mi ricordo esattamente quando, ma ricordo di aver avuto un giorno l’idea di questo disco con una cantante diversa per ogni brano. Da lì si è trattato solo di capire chi coinvolgere nel progetto. Alcune di loro le conosco da anni e sono mie grandi amiche come Isabel Muñoz-Newsome e Shingai. Quest’ultima poi è una delle mie più grandi fonti d’ispirazione nella musica. Ci sono poi artiste che ho conosciuto di persona grazie a questo disco e di cui sono diventata amica: Shadow Stevie, Salvia, Harriet Rock… C’è stata davvero una bella combinazione di amici di una vita e nuove conoscenze.

Goddess suona molto personale e intimo: come sei riuscita a raggiungere questo livello di intimità anche con chi hai lavorato per la prima volta? Hai mai avuto paura che non avrebbe funzionato?

Penso ci sia molto vulnerabilità in gioco quando sei in studio a scrivere musica con altre persone. A volte addirittura ti rende più vulnerabile farlo con gli amici che non con artisti con cui non hai relazioni extra-lavoro. In questi casi mi piace molto usare come analogia quella del nuoto: se vuoi farti una nuotata devi spogliarti e se lo fai davanti a qualcuno che conosci può essere strano rispetto a uno sconosciuto. Ogni artista con cui ho lavorato in questo album è incredibile nel suo campo e mi sono davvero goduta tutto il processo, anche la parte di capire le esigenze di ciascuna di loro nello studio. Amo lavorare con altre persone, amo lavorare con cantanti donne e non binarie: loro sono la mia gente. Passare il tempo con loro e scrivere con loro è stato sicuramente una delle gioie più grandi di questo disco.

Durante Little Dark, nel bel mezzo del brano, c’è una parte strumentale che è come se facesse collassare il brano su stesso. Momenti del genere, tradizionalmente, sono più verso la fine delle canzoni: penso ad esempio ad A Day In The Life dei Beatles o se vogliamo guardare più al presente a I Know The End di Phoebe Bridgers o anche Bending Hectic degli Smile. 

(sorride, ndr) Si è trattato esattamente di un collasso del brano su stesso. In quel pezzo, come anche negli altri del resto, c’è una grande energia che di solito hanno gli artisti emergenti. E in un certo senso, mi sono sentita così anch’io essendo il primo disco che abbia mai prodotto. Quando ti metti nei panni di un emergente hai un sacco di libertà e ti dici di continuo “ma perchè non fare questo?”, “perchè non farlo in questo modo?”. La tua creatività non trova i paletti che magari avrebbe se si trattasse di un progetto già avviato da anni. Quella parte di Little Dark è sicuramente figlia di questa libertà. E poi quello spezzone è stato fatto durante la pandemia, quando tutti eravamo nel caos. Penso che quella confusione rifletta perfettamente il periodo che abbiamo vissuto durante il lockdown. Amo quella parte, è davvero fantastica.

Goddess, Fay Milton
Goddess, Fay Milton | Credits: Rob Greig

Diamond Dust è una canzone molto cinematografica, con quell’intro sognante con il rumore della pioggia che cade. So che l’hai scritta assieme a Izzy Bee Phillips durante una giornata piovosa. Avete campionato il suono della pioggia quello stesso giorno?

Lascerò che sia un mistero, perché penso sia più bello così (ride, ndr). Ho scritto quella canzone assieme a Izzy dei Black Honey, anche lei è una mia grande amica. Ci sentivamo entrambe molto sopraffatte dalle nostre vite in quel periodo. I Black Honey fanno rock e pure io vengo da una band che ha sonorità molto potenti, ma quando ci siamo ritrovate insieme abbiamo creato qualcosa di molto vulnerabile e sognante. E penso che anche in questo caso sia successo proprio perché non avevamo regole e potevamo fare ciò che volevamo. Quella canzone riflette quindi come ci sentivamo entrambe in quel periodo, è un brano molto dolce. Diciamo che la pioggia stava cadendo mentre la stavamo registrando (ride, ndr). 

C’è anche un pezzettino di Italia in questo tuo esordio, dato che hai fatto una cover in inglese di Grande degli Afterhours. Com’è nata questa nuova versione?

Ho conosciuto Manuel grazie a un amico comune, Giorgio Testi, che è un regista. Abbiamo scoperto per caso di condividere con Manuel lo stesso giorno di compleanno, il 15 marzo, e questo ha creato subito una connessione fra noi. Lui è un uomo davvero dolce e adorabile. Ho sentito quella canzone ho pensato che fosse bellissima. Capisco qualcosina di italiano, ma non abbastanza da capire tutto il testo. Allora poi gli ho chiesto di cosa parlasse la canzone e mi ha spiegato che parlava di suo padre e mi sono innamorata ancora di più di quel pezzo. Ho pensato che nessuno che parla inglese avrebbe mai capito la bellezza di quella canzone e così ho deciso di crearne una versione in inglese, intitolandola Golden. Abbiamo tradotto il testo e con Shadow Stevie abbiamo deciso di farne una versione più delicata. Rodrigo (D’Erasmo, ndr) degli Afterhours ha suonato l’assolo di violino nel pezzo, quindi c’è sempre un piccolo tocco degli Afterhours anche in questa versione. L’ho fatta sentire a Manuel e gli è piaciuta tantissimo. Sono davvero felice di questo.

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Ascoltando l’album si ha la sensazione che ogni pezzo sia legato al successivo esattamente nell’ordine in cui lo si ascolta. È stato difficile ordinare la tracklist?

Sono molto felice tu l’abbia detto, perché le canzoni sono molto diverse fra loro, hanno un tipo di energia diversa l’una dall’altra, e quando ho dovuto decidere l’ordine della tracklist ho scelto di seguire il mio istinto e il mio cuore. Non è stato semplicissimo, ma sono molto felice di sentire che abbia senso anche per qualcun altro, oltre a me! (ride, ndr).

Per me è come quando ascolti una playlist fatta bene: magari può avere pezzi molto diversi fra loro, ma se vengono disposti nel modo giusto, allora è fatta.

Quella è l’idea! Amo le playlist e i mixtape, ne ascolto un sacco. L’idea di fondo era proprio quella di una playlist per quest’album.

È interessante, perché spesso gli artisti mi dicono che le playlist per loro stanno diventando un problema.

La gente può ascoltare il mio album nell’ordine che vuole, basta che lo faccia (ride, ndr). È il 2025: come artista non puoi aspettarti che tutti ascoltino i tuoi nuovi album dall’inizio alla fine nell’ordine che hai scelto. Anche se in realtà capisco benissimo il discorso.

L’ultimo brano è la chiusura ideale del disco per via delle sue tematiche, riguardo la direzione che il mondo sta prendendo, tra cambiamento climatico, crisi globale. Tu sei sempre stata in prima linea, fondando e dirigendo Music Declares Emergency.

L’ho fondata nel 2019, perché sentivo il bisogno di dover contribuire e sensibilizzare le persone riguardo l’emergenza climatica. Quando andavo nei cortei a manifestare per il clima avevo sempre l’impressione che fossero tanti piccoli gruppi sparpagliati qua e là, e allora ho pensato che, dato che è una tematica che ci riguarda tutti, la musica fosse un mezzo perfetto per ampliare la platea e raggiungere quante più persone possibili. In questi 6 anni siamo davvero riusciti a farlo: penso che soprattutto nel Regno Unito le persone siano diventate molto più consapevoli dei problemi climatici, e vogliono sapere cosa poter fare per aiutare e credere che i loro leader possano davvero iniziare a battersi per cambiare le cose. Il cambiamento climatico rimane una delle battaglie cruciali del mondo odierno. Il tempo atmosferico ha un’influenza fortissima sulla vita delle persone: una giornata di sole ti può far sentire bene, ma se pensi a come stia cambiando negli ultimi anni, con variazioni impazzite, temperature troppo alte o troppo fredde, calamità varie, mi spezza il cuore. Sarà sempre un argomento che avrò a cuore. Music Declares Emergency adesso è un movimento globale, con gruppi sparsi in tutto il mondo. Non penso che l’abbiate in Italia però, quindi se qualcuno vuole far partire il movimento anche lì, siete i benvenuti!

Intervista a Fay Milton per il suo nuovo album Goddess
Fay Milton aka Goddess | Credits: Dave East

Hai in programma di fare qualche altro concerto sporadico in giro per l’Europa?

Penso che ne farò solo uno! È triste che sia solo uno, ma sarebbe davvero complicato programmare più date con tutte le cantanti coinvolte. Forse in futuro riuscirò a creare uno show da portare in tour, ma per il momento non c’è niente.

Adesso che sei ufficialmente una producer, hai intenzione di produrre altri artisti, dato che con le Savages siete sempre in pausa?

Sì, siamo in pausa e si avvicina il decimo anniversario dell’uscita del nostro secondo album e mi rende sicuramente entusiasta pensare a come festeggeremo questo avvenimento.

Incredibile che siano passati quasi già dieci anni da Adore Life!

(ride, ndr) Sì, è folle come il tempo vola! Comunque tornando alla tua domanda, alcuni artisti mi hanno chiesto di produrre la loro musica e non vedo l’ora di farlo e di lavorare con nuove persone e creare nuova musica.

E invece con le Savages avete in programma di fare qualcosa per questo decimo anniversario? Magari dei concerti, una reissue…

Per ora non c’è nulla di programmato!

Ma probabilmente ci sarà…

Io non ho detto nulla. (ride, ndr).