03 giugno 2025

I Car Seat Headrest sono rinati come una fenice: l’intervista

Passare da tre concerti sold out con migliaia di spettatori al quasi scioglimento della band, nel giro di qualche settimana, non deve essere semplice. È quello che è successo ai Car Seat Headrest nel 2022, quando il batterista Andrew Katz e il frontman Will Toledo si sono presi il Covid. Katz ne è uscito, ma per Toledo è stato solo l’inizio del calvario, che l’ha visto dover lottare con gli effeti del Long Covid e dell’insorgere di un’intollerenza all’istamina. Di conseguenza la band è stata costretta a rimanere ferma, non sapendo se sarebbe mai tornata operativa. Per fortuna Will ha iniziato a reagire alle cure e passo dopo passo i Car Seat Headrest hanno trovato una loro nuova normalità. Lo scorso 2 maggio hanno pubblicato il loro ultimo album The Scholars, probabilmente il loro lavoro più ambizioso, dove mitologia, teatro e letteratura si fondono insieme. 

"Arriva un punto nella vita in cui devi fronteggiare grandi tragedie e guardare in faccia la morte, se vuoi rinascere dalle ceneri come una fenice" mi dice il loro chitarrista Ethan Ives, riflettendo su tutto questo periodo complicato che li ha fatti tornare insieme per questo nuovo ambizioso album.

Car Seat Headrest intervista
Car Seat Headrest | (c) Carlos Cuz

Dopo un periodo difficile, alla fine siete riusciti a tornare: vi eravate giusto esibiti nei vostri tre show più grandi di sempre al Brooklyn Steel di New York, e vi siete dovuti fermare perché Will e Andrew si sono ammalati. Nella carriera di ogni band ci sono alti e bassi, ma voi siete caduti senza sapere se sareste più riusciti a rialzarvi. Com’è stato ricominciare come band?

È stato spaventoso, perché quando ti trovi in una situazione del genere non sai mai che ne sarà della band, se riuscirai ancora a fare musica insieme. È come se ci fossimo isolati tutti nelle nostre bolle, siamo rimasti in contatto ma senza sentirci ogni giorno: ci aggiornavamo ogni tanto e aspettavamo di capire se saremmo riusciti a suonare insieme di nuovo. Questa cosa per un artista è davvero snervante. Come hai detto tu la vita di un musicista ha alti e bassi e le cose possono cambiare molto in fretta. Quando le cose vanno bene è molto facile convincersi che le cose continueranno a farlo per sempre e quindi inizi a programmare gli anni a venire di conseguenza. Ma poi tutto cambia drasticamente e ti crolla il mondo addosso: non puoi più fare programmi.

Mi ricordo quando sono entrato nella band, è stato tutto molto veloce: dopo cinque mesi avevamo un contratto discografico e ho lasciato il college per andare in tour con i ragazzi a tempo pieno. Non avevo mai avuto nessun lavoro prima, non ero mai stato in una band seria prima e improvvisamente mi sono ritrovato a girare il paese per suonare per lavoro.

Immagino foste pronti anche all’eventualità di dire addio alla vostra band. C’era una parte di te che stava già pensando a un futuro da solista?

In realtà no. Tutti volevamo fare uscire nuova musica come Car Seat Headrest e nessuno di noi ha mai tirato in ballo lo scioglimento del gruppo. Più che altro non avevamo idea di quanto tempo ci sarebbe voluto per poterci rimettere in pista. E quindi in quel limbo inizi a farti delle domande, e ti chiedi cose tipo: “dovrei trovare iniziare a cercare lavoro come commesso in un negozio di elettronica?” (ride, ndr) All’inizio della pandemia avevo avuto gli stessi pensieri: dato che era impossibile suonare in pubblico, avevo iniziato a pensare ad alternative all’infuori della musica. Ho iniziato a scrivere molto e ad esercitarmi sempre di più: ho sfruttato il lockdown come una sorta di workshop lunghissimo per migliorarmi come musicista. Quando poi abbiamo ripreso a suonare e Will si è ammalato seriamente sono ricaduto in quel loop e ho scritto tantissimo.

La registrazione di The Scholars è stata diversa dal vostro solito: a questo giro avete fatto le cose in maniera più analogica, giusto?

Abbiamo registrato tutto su ProTools, ma per la prima volta è stato un processo con la band al completo.

Quindi questo album è nato con voi in una stanza che jammavate insieme?

Sì, dopo il MADLO tour ho spinto molto perché andassimo in questa direzione. Avevo scritto molto in quel periodo, fra cui due album per il mio side project. Sentivo il bisogno di aver voce in capitolo anche nei Car Seat e poter contribuire con la mia scrittura. Ho pensato che sarebbe stato molto bello e divertente per noi aprirci a un metodo più collaborativo. Quando noi tutti siamo entrati nella band, Will aveva un sacco di materiale da pubblicare che aveva già scritto. Quindi i primi tempi sono stati dedicati praticamente solo a quello. Ma con il MADLO tour siamo arrivati alla fine di quel ciclo e ci siamo ritrovati per la prima volta senza avere una tonnellata di materiale a cui attingere. Così, quando è arrivato il momento di scrivere nuova musica, ho chiesto se potevamo registrare il nuovo album più come band e meno come progetto solista. Non che l’idea fosse solo mia ovviamente, era condivisa da tutti gli altri.

E per quanto riguarda il vostro nuovo metodo di lavoro come band?

Scrivere questo album è stato una dicotomia tra quello che definisco top down writing e bottom up writing, ossia tra il partire da un’idea platonica e sviluppare tutto il resto a partire da essa e il cominciare a scrivere dal nulla, come se fosse un workshop dove parti ispirato da quello che ti suscita il momento e da lì provi a trovare un filo comune.

Car Seat Headrest - The Scholars album cover
Car Seat Headrest - "The Scholars"

Avete presentato l'album dicendo che è stato ispirato al poema apocrifo dell’arcivescovo Guillermo Guadalupe del Toledo, che a un occhio attento altro non è che la traduzione spagnola di Will Toledo. Ma perché “Guadalupe”? Ci sono addirittura dei thread su Reddit a riguardo.

(ride, ndr) Sicuramente Will saprebbe dirti il perché, ma penso che il motivo sia che gli piacesse il riferimento, come se fosse davvero un suo avo (ride, ndr).

The Scholars è un album molto complesso, non solo da un punto di vista musicale, ma anche lirico, con un sacco di riferimenti alla mitologia, alla letteratura, al teatro… Da dove siete partiti per costruire tutto questo?

È stato un processo fatto di stratificazioni. Di solito prima di metterci a registrare ogni canzone Will aveva già una demo da cui partire con un suo protagonista o una storia. Come se fosse il principio di uno scheletro a cui dovevamo costruire i muscoli, la carne e tutto il resto. Abbiamo cominciato sempre da lì per le nostre jam per provare molte idee diverse, per capire la lunghezza, il ritmo, gli arrangiamenti. E pian piano abbiamo aggiunto uno strato all’altro, se non altro da un punto di vista musicale. 

Dal punto di vista lirico e tematico, invece, ho lavorato con Will in maniera simile: sapevo di partire da un suo tema a cui ancora mancavano però tutti i dettagli. Così abbiamo cercato di capire quali tematiche si sarebbero legate bene e quali altre sfumature poter aggiungere. È stato come aggiungere vari ingredienti e vedere cosa succedeva. Alcuni sono rimasti nella versione finale, altri li abbiamo tolti. Ad esempio quando stavamo scrivendo Reality avevamo inserito delle citazioni a Easy Rider e a tutti quei film sui motociclisti della controcultura. Pensavamo che avrebbe aggiunto un determinata atmosfera alla canzone: alla fine abbiamo tolto tutto! (ride, ndr) Questo processo è stato come un lunghissimo workshop dove abbiamo aggiunto un tassello alla volta.

A proposito di citazioni, la protagonista di Gethsemane è Rosa, una studentessa della Parnassus University: è un riferimento al film di Terry Gilliam?

Ohh, effettivamente sai che non lo so? Quel riferimento l’ha messo Will, ma non sarei sorpreso se fosse quello il motivo!

Quanto è stato importante il cinema per la realizzazione di questo album e per il video stesso di Gethsemane? Vedendolo ci ho visto dei riferimenti ai film di Ingmar Bergman.

Fino al giorno delle riprese del videoclip non avevo parlato molto con il regista, quindi non sapevo come sarebbe stato. Arrivati sul set ho saputo che i principali punti di riferimento erano appunto Bergman e Possession (1981) di Żuławski, insomma l’avanguardia europea. Invece per quanto riguarda la musica, per ironia della sorte, questo album probabilmente è stato quello meno influenzato dal cinema. La maggior parte delle citazioni e riferimenti del disco sono pre-cinematografici: opere, pièce teatrali, libri, eccetera. Detto questo, io sono un grande cinefilo: quando non suono passo il tempo a guardare film! Di conseguenza quando poi scrivo non riesco a non farmi influenzare inconsciamente da tutte le cose che guardo. E questo mi riporta alle session fatte con Will di cui ti parlavo, dove magari un’idea ci faceva venire in mente collegamenti con film visti o cose del genere.

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Il tema centrale dell’album è probabilmente la fede. Tu che rapporto hai con la spiritualità?

La presenza di una tematica del genere è sicuramente merito di Will e del suo percorso legato ai problemi di salute affrontati. Penso che abbia riscoperto la fede mentre si stava curando. Come successo a molte altre persone, il Covid gli ha fatto cambiare punto di vista su molti preconcetti che pensava fossero dei punti fermi, come la società. Sicuramente per lui la fede è diventata importante proprio per l’esperienza drammatica che ha dovuto affrontare.

Per quanto mi riguarda sono sempre stato una persona molto laica, non ho mai avuto un rapporto personale con la fede. Non era parte della vita dei miei genitori e di conseguenza non me l’hanno trasmessa. Però mi interessano i riferimenti culturali generati da essa. Ci sono molti artisti che hanno comunque usato immaginari religiosi in maniera molto forte: penso che Nick Cave ci abbia costruito sopra una carriera! (ride, ndr)

Un’altro tema cardine dell’album è la speranza, che deriva dalla fede e all’esperienza di Will. Da un lato quindi c’è questo aspetto scaturito dall’aver superato gravi problemi di salute, dall’altro c’è un mondo che però continua a cadere a pezzi.

Quello che amo di questo album è che non è un concept album tradizionale, ma è astratto abbastanza da poter avere molteplici interpretazioni. Ovviamente non posso dire cosa significhi per i miei compagni di band, ma per me parla del ciclo della vita: un cerchio fatto di vita e di morte dove a un certo punto ti devi ritrovare a fronteggiare grandi tragedie e guardare in faccia la morte, prima di risorgere dalle proprie ceneri come una fenice. È il terrore e la paura che si prova nel rendersi conto di dover attraversare tutto ciò prima o poi: per potere rinascere bisogna sempre affrontare l’oscurità.

Car Seat Headrest in concerto al Brooklyn Steel
Car Seat Headrest in concerto al Brooklyn Steel di New York, 2022 | (c) Emilio Herce

Quest’estate tornerete in tour, seppur in maniera diversa da come eravate abituati. Avete già in programma di suonare questo album dall’inizio alla fine?

È una cosa che speriamo di fare. L’abbiamo suonato per intero in acustico lo scorso febbraio in occasione di un piccolo concerto privato tenuto solo per amici, familiari e giornalisti. A fine serata eravamo davvero molto contenti, aver suonato tutte le canzoni nel loro ordine è stato davvero molto figo. Da lì ho cominciato a pensare che sarebbe stato bello se fossimo riusciti a suonare quante più tracce possibili del nuovo album in tour. Mi piace proprio l’idea di suonare qualcosa dall’inizio alla fine.

Planet Desperation non dev’essere facile da suonare dal vivo, con la sua durata di oltre 18 minuti…

(ride, ndr) Sì e infatti ne abbiamo parlato più volte fra noi! Ogni volta che facevamo le prove e si avvicinava il momento di provarla, ci dicevamo “oh no eccoci, ci risiamo!”, ma poi ci siamo detti di immaginarcela come se fossero 5-6 brani da suonare attaccati. È strano, perchè da un lato in questo disco c’è il materiale più assurdo e complesso che abbiamo mai creato, dall’altro è stato anche fra i più semplici da traslare dallo studio a un palco, probabilmente perchè l’album è nato da una grandissima jam session.

E quando l’avete scritta invece? Non l’avevate già immaginata come un’unione di più brani?

(ride, ndr) Non penso che nessuno di noi avesse in mente di scrivere un pezzo così lungo a tavolino! Avevamo diverse parti di canzoni che ancora non avevano trovato una collocazione nel disco e ci dispiaceva lasciarle fuori. Così abbiamo deciso di lavorare sul materiale che avevamo e provare a metterlo insieme in una sorta di grande medley.

Avete in programma di tornare in tour prossimamente anche in Europa e in Italia?

Ci piacerebbe un sacco. Al momento stiamo usando quest’anno come una sorta di test, per capire quanto riusciamo a stare in tour. Se la salute di Will continuerà a migliorare sicuramente lo faremo!