29 maggio 2024

Quello che mancava alla scena italiana: intervista a iako

Iako è italiano, ma ascoltando il suo nuovo EP Apriti Grattacielo (Island Records) non lo direste. Di sicuro non è la lingua a trarre in inganno: canta in italiano e parlandoci si avverte ogni tanto l'accento veneto. È la musica stessa a disorientare: un sound che a queste latitudini non siamo abituati ad ascoltare, se non altro non da artisti nostrani. Iako invece sembra essere proprio l'eccezione alla regola. Nelle 5 canzoni che compongono il disco ci sono tanti generi che si contaminano fra loro, c'è molta elettronica, post-dubstep alla Burial come lui stesso mi confermerà, e tanti altri rimandi: da James Blake a Franco Battiato, passando per Stormzy e Skepta. Sarà che Jacopo Rossetto - questo il suo nome - ha vissuto per diversi anni a Londra e li si è fatto le ossa a furia di open mic e sessioni in studio. Lo incontro alla Casa degli Artisti di Milano, dove per un mese ha tenuto una residenza artistica e per una sera anche uno showcase aperto al pubblico, un momento intimo e catartico che gridava sussurrando che la sua musica fosse raccontata.

iako intervista Casa Degli Artisti
iako @ Casa degli Artisti di Milano | Credits: Maria Laura Arturi

Apriti Grattecielo è il tuo primo EP, ma in realtà hai già diversi anni di esperienza, a partire dal periodo in cui hai vissuto nel Regno Unito. Cosa ti sei portato a casa da Londra?

Ho fatto un sacco di gavetta lì. Avevo un mio progetto che si chiamava sempre iako, ma era tutto in inglese, con una band con solo strumenti suonati, senza elettronica. Io suonavo il pianoforte e la formazione del gruppo era standard: batteria, basso, chitarra (e per un periodo anche un violino). Ho girato tanto per i locali di Londra: il progetto era cantautorale, ma più sul versante folk rispetto a quello che faccio ora. Quel periodo mi ha dato tantissimo, mi ha insegnato a stare sul palco. Ho fatto anche tanti open mic: subito dopo essermi trasferito mi costringevo a farne per due settimane almeno almeno uno al giorno (ride, ndr). Era il 2015 ed era una cosa che si usava (e si usa) moltissimo. Grazie agli open mic ho conosciuto un sacco di gente con cui sono ancora in contatto e soprattutto mi sono messo in gioco con le mie prime canzoni in inglese, nonostante non parlassi ancora bene la lingua e con una serie di ostacoli (anche mentali). È un ambiente molto accogliente: trovi quelli che si esibiscono chitarra e voce, come quelli che arrivano con strumenti costruiti in casa.

Quella degli open mic è una grandissima palestra, che purtroppo qui in Italia ha sempre fatto fatica a decollare.

Sì, è un piccolo scalino che forse qua manca. Non ci sono pretese, non ci sono giudizi: ognuno cerca di fare il proprio meglio sia per suonare che per ascoltare.

iako @ Casa degli Artisti di Milano | Credits: Maria Laura Arturi

A livello di sound com’è cambiato il tuo approccio nel corso di questi primi anni?

Ho assorbito veramente qualsiasi cosa mentre sono stato lì. Una cosa che mi affascina molto dell’Inghilterra anche adesso è che sono molto attenti al multiculturalismo e al multi-genere per quanto riguarda la musica. Penso a BBC Radio che ascolto spesso: ha almeno 8 canali dedicati a cose diverse, c'è molta varietà e non c'è diffidenza, i compartimenti non sono stagni. C'è molta apertura. Sicuramente ho ascoltato tantissima elettronica post-dubstep, che è un grande termine, ma che comprende tutta la scena che va da Burial a Floating Points, tutto questo filone di ricerca elettronica. Poi in realtà ho ascoltato anche tanto rap, se ti devo dire un nome ti direi Stormzy. Così come mi sono innamorato di una cantautrice irlandese che si chiama Lisa Hannigan: è molto folkeggiante, usa delle melodie tradizionali. Ricordo di esserene andato a un suo concerto da solo, perché nessuno dei miei amici voleva venire (ride, ndr). Il suo album del 2016 At Swim mi ha cambiato la vita, per come penso la musica e le melodie quando le scrivo. 

Nell'EP si sentono molto queste diverse contaminazioni. Fra l'altro, so che hai lavorato e partecipato a una session in studio di Skepta.

Sì, io ero l'ultimo degli assistenti (ride, ndr), però è stato un grande momento!

Immagino! Anche perché come prima esperienza dev'essere stata una bella figata.

Sì assolutamente, Skepta aveva appena vinto il Mercury Prize. C'era pure Dizzee Rascal in studio... sai tutte queste figure un po' leggendarie. Prima di andare là nemmeno lo conoscevo.

Eh sì, Dizzee in Inghilterra è un mito. Aveva pure collaborato con gli Arctic Monkeys anni fa.

Già! Per gli inglesi è una leggenda vivente.

iako intervista Casa Degli Artisti
iako @ Casa degli Artisti di Milano | Credits: Maria Laura Arturi

Fermo restando che quella era fra la tue primissime esperienze, hai notato differenze fra le session in studio fatte lì e quelle che hai fatto poi qua in Italia (come ad esempio quella con Mace)?

È una buona domanda. Sicuramente alcune cose sono simili, ma ci sono anche tante differenze. La cosa che ho visto in Inghilterra è che lì si dà un valore certo alla musica, a partire dall'ascoltatore medio, c'è tutto un discorso culturale dietro. C'è la tendenza a formare delle piccole comunità, prima di lavorare insieme a nuova musica. Lì non mi è mai capitato di vedere sconosciuti incontrarsi in studio e mettersi a lavorare per la prima volta insieme. Qui in Italia c'è la tendenza delle etichette di accoppiare a freddo gli artisti e i produttori: mi è capitato in passato e per me non ha funzionato. È una cosa azzardata per me. Si rischiano di fare cose che somigliano a tante altre. I primi tempi che ero tornato in Italia mi capitava di trovarmi in situazioni del genere e rimanevo sempre con una sensazione strana. Con il tempo ho iniziato semplicemente a rifiutare questo genere di proposte e adesso tutto quello che faccio nasce da rapporti che ho già. Mace su questo è uno dei più attenti e più in linea con quello che penso io: anche lui tende a formare gruppi di amici o comunque valorizzare molto l'aspetto umano al di là della musica. Per come sono fatto penso che avere dei rapporti più estesi, che non si limitino solo al lavoro in studio, faccia bene alla musica e alle persone che ci stanno intorno. Se no ti scarichi solo suonando e poi torni a casa: è come un lavoro generico, non ha senso per me.

Una volta tornato in Italia hai anche deciso di iniziare a cantare in italiano. Non ti sentivi a tuo agio con l'inglese o semplicemente per provarci seriamente qui ti sei detto di cantare nella tua lingua madre?

In realtà è stata una cosa random, anche perché quando ho iniziato a scrivere in italiano non avevo veramente deciso di tornare qui. Per anni ho avuto una sorta di rifiuto nei confronti della musica italiana (anche se ci sono cresciuto: ho ascoltato tanto i cantautori del passato, più che le cose contemporanee). Un giorno però, mentre ero chiuso in camera a Londra a scrivere e produrre durante il lockdown, qualcuno mi manda questa canzone di Battiato che si chiama L'ombra della luce. Sono finito per spararmi questa canzone in loop per un mese. Da lì mi è venuta voglia di scrivere in italiano. Non c'è stata nessuna idea premeditata del tipo "ora torno in Italia e mi metto a scrivere in italiano". Anche perché in inglese mi sono sempre divertito, e poi in realtà neanche so se scriverò per sempre in italiano. Quando ho iniziato mi ha preso bene, era una sfida: la nostra lingua non ti dà tanta via di scampo, è molto più macchinosa e meno musicale, ci sono pochissime parole con una sillaba. I ritmi serrati sono difficili da creare in italiano. E quindi quando vuoi dire una cosa bene devi usare tutto il tuo cervello per riuscire a dirlo in maniera interessante (ride, ndr). È una sfida che non avevo mai affrontato prima, forse per paura, poi in realtà negli ultimi due anni mi sono divertito molto.

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iako @ Casa degli Artisti di Milano | Credits: Maria Laura Arturi

Sto notando che hai impresso nella mente i momenti specifici che ti hanno cambiato la vita musicale: prima mi hai citato l'album di Lisa Hannigan, ora la canzone di Battiato. Ne approfitto per chiederti se allo stesso modo c'è un live che ti ha cambiato la vita.

Di concerti ce ne sono molti, ma se devo sceglierne uno direi un live di B.B. King che ero andato a vedere con mio padre, grande appassionato di blues. Eravamo andati a sentirlo poco prima che morisse. Io ero alle superiori e mi ricordo semplicemente che era in un parco in estate, c'erano 45 gradi e poi c'era lui che ha suonato per 3 ore. Era pieno di zanzare e si difendeva solo con un asciugamanino che aveva sul collo e che sventolava ogni tanto. Non riusciva a muoversi, stava seduto, ma ha suonato con una voglia e con una passione che mi ha colpito: vedere qualcuno arrivare a quell'età a suonare così e con quel fuoco sacro ti gasa.

Tornando ad Apriti Grattacielo, quanto è stato importante la tua residenza artistica alla Casa degli Artisti di Milano?

È stata molto importante, perché mi ha permesso di approfondire anche alcuni rapporti lavorativi/umani che erano iniziati poco prima. È stato un bellissimo momento, perché anche se avevo tante cose da fare, il fatto di poter invitare amici e collaboratori ha creato una buonissima atmosfera che mi ha ispirato molto. Le idee per l'EP erano già tracciate, però questo mi ha dato comunque una buona spinta. Sono stato alla Casa degli Artisti ogni giorno per un mese, e durante il mio showcase ho fatto anche un paio di brani che poi sono finiti in Apriti Grattacielo. Suonarli davanti a degli sconosciuti e vedere la loro reazione positiva mi ha dato una carica in più.

iako @ Casa degli Artisti di Milano | Credits: Maria Laura Arturi

Adesso ti aspetta il tour e farai anche una data a Londra.

Sarà bellissimo. Ho suonato lì anche nel 2022, la prima volta che ho suonato dei pezzi in italiano. È stato molto interessante, perché nessuno ovviamente aveva capito nulla, ma tra una canzone e l'altra cercavo di spiegare il mood, le persone erano incuriosite. Adesso tornarci con delle cose nuove di cui sono molto più consapevole e fiero sarà davvero bello. E poi ho ancora molti amici e un bel po' di vita personale lì.

Domanda a bruciapelo: immagina di poter scegliere liberamente, se potessi aprire un artista in tour quest'estate, chi sarebbe?

Oddio! Beh, ho visto che i The Smile suonano in Italia...

Ecco. Guarda volevo vedere se lo dicevi, perché ti avrei visto bene in apertura a loro o anche a James Blake...

... O anche ai Massive Attack! Ho visto che tornano pure loro.

Direi che sono proprio i riferimenti che mi aspettavo.

James Blake è un artista che mi ha dato molto, i Radiohead pure, anche nelle nuove formazioni. I Massive Attack forse un po' meno, ma comunque tutta quella scena mi ha sempre appassionato.

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iako @ Casa degli Artisti di Milano | Credits: Maria Laura Arturi

C'è un pezzo fra queste 5 tracce che ti ha fatto sbattere la testa più volte, perché non riuscivi a trovare la forma definitiva?

Si, c'è! (ride, ndr) Si chiama fuori di me ed è un pezzo che non ha una vera forma, ma alla fine l'ha trovata nel nel disco e mi piace tanto, ci tengo molto a livello emotivo. Rappresenta un momento di chiusura di tutto quel periodo di cui parla l'EP. Per i live lo stiamo ri-arrangiando e si è trasformato di nuovo. È un brano che vuole cambiare, che si riesce plasmare a seconda delle situazioni. Lo avevo scritto tantissimo tempo fa, aveva un ritornello completamente diverso, adesso ha una specie di hook... L'ho accantonato per 1-2 anni e poi l'ho ripreso in mano a inizio 2024 e mi ha folgorato di nuovo. Ho provato a rifare il ritornello, poi ho buttato via tutto, poi ho ripreso e modificato e poi alla fine ho cambiato tutto il brano (ride, ndr). Diciamo che però l'essenza del pezzo e le sue sensazioni erano sempre quelle. È cambiato solo mille volte nella forma.

Hai già idee per il tuo album d'esordio o ci penserai più avanti?

Mah... se ho dei pezzi? Non lo so. Non c'è niente di certo e mi sto dando un po' di tempo dopo questo EP per capire un po' meglio le prossime mosse. Vorrei viaggiare un po' e dimenticarmi anche della musica, per poi riprendere a fare un disco da zero. Ci sono delle idee, ma sono solo bozze, dei suoni.

Dove vorresti viaggiare?

L'anno scorso sono stato in Cina, per pochissimo, meno di 10 giorni. Vorrei tornare. Non credo che ci riuscirò, ma idealmente vorrei girarmi la Cina. Poi, parlando di mete più vicine, vorrei stare un po' a Napoli quest'estate. Anche se in realtà non ho un'esigenza specifica riguardo al posto, vorrei solo fare un po' di esperienze diverse da Milano. Gli ultimi mesi sono stati molto sedentari per giusti motivi: adesso ho bisogno di nuove esperienze per fare nuova musica.
Comunque devo dire che sono stupito, non mi hai ancora chiesto niente di X Factor! Di solito me lo chiedono tutti: "Raccontaci del tuo passaggio a X Factor, bla bla bla".

Guarda, dato che l'hai tirato fuori tu, allora te lo chiedo!

(ride, ndr) Mannaggia a me! Lo dicevo solo perché ero stupito, non perché volevo che me lo chiedessi (ride, ndr). X Factor è stata un'esperienza molto strana, ma mi ha insegnato un sacco di robe. Ho sempre fatto musica in maniera personale, introspettiva, anche solitaria. Quindi trovarmi catapultato su un palco così grande in tv mi ha fatto scoprire cose su me stesso: cose che non sapevo di poter fare, e anche cose che ho capito di non voler fare. Anche quella è stata scuola, in un certo senso.

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iako @ Casa degli Artisti di Milano | Credits: Maria Laura Arturi