15 aprile 2024

Credete all'hype: gli Yard Act dal vivo sono fantastici

Il racconto del live degli Yard Act alla Santeria di Milano

Dopo un clamoroso album d'esordio (qui l'intervista) e un'altrettanto degno successore, la band capitanata da James Smith - prima a Bologna e poi a Milano - si è dimostrata incredibile pure dal vivo.

È una torrida serata primaverile e sono da poco passate le 21.30 quando gli Yard Act salgono sul palco. A vederli così sembrano (sono?) una band di nerd, una versione più cool dei personaggi di The Big Bang Theory, per intenderci.

Lo show si apre sulle note di An Illusion e fin dai primi momenti si capisce che questo gruppo ha una marcia in più: per come suona, per come sta sul palco, per come riesce a dare e restituire l'energia che arriva dal pubblico, come se fosse una partita di tennis forsennata. Non solo grazie al carisma e all'energia frenetica e nevrotica del frontman, ma anche grazie a tutti gli altri componenti, a partire dal chitarrista Sam Shipstone. In un mondo fatto di band con minimo 2-3 chitarre, trovarsi davanti a un gruppo con un solo chitarrista con una tecnica e una padronanza del genere non lascia indifferenti. È un piacere per le orecchie che non finisce più.

Nel frattempo lo show continua con Dead Horse e la successiva When The Laughter Stops, tratta dall'ultimo album Where's My Utopia?, il cui titolo compare ben visibile scritto sui led davanti al tastierista/sassofinista/DJ. Ci sono anche due coriste, che però non si limitano al loro ruolo "naturale", ma sono un elemento dirompente dello show: durante diversi pezzi abbandonano le retrovie del palco per affiancare Smith e interagire con lui in veste di attrici e ballerine.

Lo show è un climax costante, tutti i presenti sono completamente presi dagli Yard Act: persino in fondo alla sala non si vede gente parlare (una cosa che di base meriterebbe sempre una denuncia penale) e non ci sono telefonini in aria, se non per filmare qualche spezzone dei singoloni della band come We Make Hits, Dream Job e The Overload.

Ci sono anche momenti fuori dalla solita routine, come quando a metà live il frontman fa salire sul palco una fan per girare una ruota, che deciderà a sorte quale pezzo tratto dall'EP Dark Days suonare.

Smith durante tutto il concerto continua a dare il cinque e stringere le mani alle prime file. Ringrazia in italiano il pubblico, tra frasi di rito come "Grazie" e "Ti amo!" ad un sicuramente meno scontato "fuck the French" (che dica lo stesso sugli italiani in Francia? Chissà). Fa tutto parte dell'universo del band, fatto di contraddizioni e ironia, dove musica, commedia e tragedia si fondono. E non è un caso che poco prima della fine arrivi anche una dedica per tutte le persone che soffrono a causa delle guerre del mondo: Ucraina, Sudan, Gaza. Si leva un fragoroso applauso dalla sala, mentre ormai la serata volge al termine.

C'è spazio per la conclusiva The Trench Coat Museum con Murkage Dave (che aveva aperto la serata) come ospite. È la catarsi finale, con le prime file che non hanno mai spesso di pogare e, tutti gli altri, di ballare.

Si torna a casa con una certezza: che magnifica utopia sarebbe sperare che la maggior parte dei live fosse come questo appena vissuto.

Fotogallery a cura della nostra Maria Laura Arturi: